Recensione
Recensione di ::Koizumi::
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Per cosa andrebbe valutato un manga oggi, nel 2013? Per quello che effettivamente riesce a regalarmi ora, per quello che ha offerto in passato, per il suo valore enciclopedico, per tutte queste cose assieme o per altro ancora?
E' effettivamente ingiusto non valutare l'età di un'opera, ma è altrettanto ingiusto ingigantirne i meriti solo perché ha il bonus di essere venuta prima.
Nessuno ad esempio negherà mai il contributo che Hirohiko Araki ha dato al mondo dei manga grazie al suo Jojo, sicura fonte di ispirazione per moltissimi autori moderni, fatto sta che leggendo ora Stardust Crusader vengono fuori tutti i limiti di un'opera monotematica, povera di contenuti e tremendamente grezza, ben lontana dai commenti entusiastici che si leggono un po' ovunque, che sanno molto di premio alla carriera più che di effettive valutazioni oggettive o soggettive che siano.
Il problema principale di questa terza serie di Jojo è che sacrifica qualsiasi aspetto di quella che può essere la narrazione di un manga, puntando unicamente sui combattimenti.
Lo fa in maniera pesante, troppo pesante, senza se e senza ma: l'intero manga sembrerà in realtà un picchiaduro su carta, con combattimenti a ritmo serrato uno dopo l'altro, in attesa che di arrivare al "boss finale", come da tradizione dei vecchi cabinati arcade.
E non c'è veramente nient'altro, perché i personaggi sembrano appunto quelli di un picchiaduro e come tali sono caratterizzati (molto bene) soltanto esteriormente, ma risultano poco più che manichini in balia dei combattimenti, e nel corso dei volumi non avranno uno straccio di crescita psicologia ma nemmeno di riflessione o di approfondimento.
La trama poi è di una pochezza disarmante e si basa sull'andare dal punto A al punto B per sconfiggere il Boss finale magicamente risorto rispetto a quello che avevamo imparato nella prima serie, con in mezzo tutta la serie di scagnozzi usa e getta che arrivano e muoiono nel giro di massimo due volumi.
Veramente esagerato, a mio modesto modo di vedere.
Tutto questo, abbiamo detto, è per lasciare carta bianca allo sviluppo dei combattimenti, e ovviamente almeno questi sono all'altezza della situazione: per l'epoca probabilmente furono come un fulmine a ciel sereno nel mondo dello shonen manga, siccome rivoltavano come un calzino tutto quello che in quell'ambito si era visto fino a quel momento.
Si ha infatti un misto di tecnicismi, poteri sovrannaturali che non per forza di basano sulla forza bruta ma che spesso si fondano sulla strategia, colpi di scena nella gestione dello scontro e situazioni sempre al limite che sicuramente possono risultare di un certo appeal.
Personalmente però non sono un amante del solo combattimento, mi piace ma solo se è in funzione ad una motivazione più nobile, solo quando dietro allo scontro fisico c'è anche uno scontro ideologico, e allora sono disposto a sopportare anche volumi interi di mazzate, ma così no, francamente dopo un po' perdo la pazienza.
Qui poi il tutto è suggellato da quello che io definisco "nemico usa e getta": alla faccia del concetto di caratterizzazione dei personaggi, qui come già detto i buoni si trovano ad affrontare uno dopo l'altro senza soluzione di continuità tutta una serie di "macchiette" che arrivano, fanno 3 battute, un paio di provocazioni e poi muoiono in maniera spesso indecorosa.
Ora, se proprio devo leggere un manga di soli combattimenti, lo preferisco quando almeno ho 2 fazioni a combattersi, con scontri ripetuti tra gli stessi personaggi e con in mezzo una fase di power up con realativa crescita.
Ed ecco appunto un'altra cosa che non mi è piaciuta: qui il protagonista acquisisce un potere nel primo capitolo e magistralmente lo impara ad usare immediatamente, come fosse un veterano, non c'è crescita nemmeno da questo punto di vista, e questo per quanto mi riguarda e è un passaggio d'obbligo in ogni battle shonen che si rispetti.
A livello grafico comunque Araki sa distinguersi, e se nelle prime 2 serie il suo disegno è molto figlio degli standard dell'epoca, con semplici omaccioni pieni di muscoli, qui iniziano a notarsi con forza tutti i tratti distintivi dello stile che lo ha reso famoso, in bilico tra lo sporco, il grezzo e il kitsch e con grande attenzione al chara design e al vestiario stiloso dei vari personaggi.
Anche il tratto si fa sempre più sicuro, così come le proporzioni, e almeno da questo punto di vista Stardust Crusaders rappresenta la maturazione definitiva dell'autore.
In conclusione, valutare quest'opera mi risulta difficile: è vero che Araki è stato il primo ad introdurre certi aspetti, ma è anche vero che quegli stessi aspetti ormai fanno parte del 90% degli shonen moderni, e che quindi agli occhi di un lettore di oggi il tutto risulterà solamente ordinaria amministrazione, ben lontana dallo stupore che provocò all'epoca della sua serializzazione.
Va considerato inoltre che in vent'anni di shonen manga, gli stessi contenuti rubati ad Araki sono stati arricchiti col tempo e contestualizzati in manga più moderni e meno grezzi, che magari oltre al combattimento riescono ad inserire altri aspetti e a rendere il manga meno monotematico di quello che è ad oggi Stardust Crusaders.
Non vorrei però che il mio giudizio venisse interpretato come una critica ai manga anni 80, perché non è questo il punto: trovo ad esempio che Ken il Guerriero sia il perfetto esempio di un manga che, pur con tanti anni sulle spalle e pur portandosi comunque dietro uno stile ormai sorpassato, riesce tutt'oggi ad essere più completo di Stardust Crusader, semplicemente perché ci offre un prodotto basato si sui combattimenti, ma anche su situazioni drammatiche, su contenuti maturi, su personaggi ben caratterizzati e in parte anche sui sentimenti.
La stessa prima serie di Jojo, pur col suo minimalismo e la sua semplicità, è un manga che cerca di svilupparsi in maniera più completa e che cerca prima di tutto di raccontare una storia.
Quando sentivo dire che la terza serie di Jojo era in assoluto la migliore, nonché una pietra miliare nella storia dei manga, mi sembrava quindi lecito aspettarmi una completezza ed una maturità di contenuti che invece non ho assolutamente trovato, il tutto a favore di combattimenti che, seppur realizzati con originalità, lasciano comunque spazio a delle critiche.
In definitiva, probabilmente la mia esperienza con questo manga è stata rovinata dalle aspettative troppo alte che avevo, colpa di una critica che tratta questo manga con troppa riverenza e con il solito abusato motto del "si stava meglio quando si stava peggio".
Do comunque la sufficienza, perché tutto sommato sarebbe ingiusto non farlo anche solo per quello che Jojo rappresenta, ma non riesco francamente ad andare oltre.
E' effettivamente ingiusto non valutare l'età di un'opera, ma è altrettanto ingiusto ingigantirne i meriti solo perché ha il bonus di essere venuta prima.
Nessuno ad esempio negherà mai il contributo che Hirohiko Araki ha dato al mondo dei manga grazie al suo Jojo, sicura fonte di ispirazione per moltissimi autori moderni, fatto sta che leggendo ora Stardust Crusader vengono fuori tutti i limiti di un'opera monotematica, povera di contenuti e tremendamente grezza, ben lontana dai commenti entusiastici che si leggono un po' ovunque, che sanno molto di premio alla carriera più che di effettive valutazioni oggettive o soggettive che siano.
Il problema principale di questa terza serie di Jojo è che sacrifica qualsiasi aspetto di quella che può essere la narrazione di un manga, puntando unicamente sui combattimenti.
Lo fa in maniera pesante, troppo pesante, senza se e senza ma: l'intero manga sembrerà in realtà un picchiaduro su carta, con combattimenti a ritmo serrato uno dopo l'altro, in attesa che di arrivare al "boss finale", come da tradizione dei vecchi cabinati arcade.
E non c'è veramente nient'altro, perché i personaggi sembrano appunto quelli di un picchiaduro e come tali sono caratterizzati (molto bene) soltanto esteriormente, ma risultano poco più che manichini in balia dei combattimenti, e nel corso dei volumi non avranno uno straccio di crescita psicologia ma nemmeno di riflessione o di approfondimento.
La trama poi è di una pochezza disarmante e si basa sull'andare dal punto A al punto B per sconfiggere il Boss finale magicamente risorto rispetto a quello che avevamo imparato nella prima serie, con in mezzo tutta la serie di scagnozzi usa e getta che arrivano e muoiono nel giro di massimo due volumi.
Veramente esagerato, a mio modesto modo di vedere.
Tutto questo, abbiamo detto, è per lasciare carta bianca allo sviluppo dei combattimenti, e ovviamente almeno questi sono all'altezza della situazione: per l'epoca probabilmente furono come un fulmine a ciel sereno nel mondo dello shonen manga, siccome rivoltavano come un calzino tutto quello che in quell'ambito si era visto fino a quel momento.
Si ha infatti un misto di tecnicismi, poteri sovrannaturali che non per forza di basano sulla forza bruta ma che spesso si fondano sulla strategia, colpi di scena nella gestione dello scontro e situazioni sempre al limite che sicuramente possono risultare di un certo appeal.
Personalmente però non sono un amante del solo combattimento, mi piace ma solo se è in funzione ad una motivazione più nobile, solo quando dietro allo scontro fisico c'è anche uno scontro ideologico, e allora sono disposto a sopportare anche volumi interi di mazzate, ma così no, francamente dopo un po' perdo la pazienza.
Qui poi il tutto è suggellato da quello che io definisco "nemico usa e getta": alla faccia del concetto di caratterizzazione dei personaggi, qui come già detto i buoni si trovano ad affrontare uno dopo l'altro senza soluzione di continuità tutta una serie di "macchiette" che arrivano, fanno 3 battute, un paio di provocazioni e poi muoiono in maniera spesso indecorosa.
Ora, se proprio devo leggere un manga di soli combattimenti, lo preferisco quando almeno ho 2 fazioni a combattersi, con scontri ripetuti tra gli stessi personaggi e con in mezzo una fase di power up con realativa crescita.
Ed ecco appunto un'altra cosa che non mi è piaciuta: qui il protagonista acquisisce un potere nel primo capitolo e magistralmente lo impara ad usare immediatamente, come fosse un veterano, non c'è crescita nemmeno da questo punto di vista, e questo per quanto mi riguarda e è un passaggio d'obbligo in ogni battle shonen che si rispetti.
A livello grafico comunque Araki sa distinguersi, e se nelle prime 2 serie il suo disegno è molto figlio degli standard dell'epoca, con semplici omaccioni pieni di muscoli, qui iniziano a notarsi con forza tutti i tratti distintivi dello stile che lo ha reso famoso, in bilico tra lo sporco, il grezzo e il kitsch e con grande attenzione al chara design e al vestiario stiloso dei vari personaggi.
Anche il tratto si fa sempre più sicuro, così come le proporzioni, e almeno da questo punto di vista Stardust Crusaders rappresenta la maturazione definitiva dell'autore.
In conclusione, valutare quest'opera mi risulta difficile: è vero che Araki è stato il primo ad introdurre certi aspetti, ma è anche vero che quegli stessi aspetti ormai fanno parte del 90% degli shonen moderni, e che quindi agli occhi di un lettore di oggi il tutto risulterà solamente ordinaria amministrazione, ben lontana dallo stupore che provocò all'epoca della sua serializzazione.
Va considerato inoltre che in vent'anni di shonen manga, gli stessi contenuti rubati ad Araki sono stati arricchiti col tempo e contestualizzati in manga più moderni e meno grezzi, che magari oltre al combattimento riescono ad inserire altri aspetti e a rendere il manga meno monotematico di quello che è ad oggi Stardust Crusaders.
Non vorrei però che il mio giudizio venisse interpretato come una critica ai manga anni 80, perché non è questo il punto: trovo ad esempio che Ken il Guerriero sia il perfetto esempio di un manga che, pur con tanti anni sulle spalle e pur portandosi comunque dietro uno stile ormai sorpassato, riesce tutt'oggi ad essere più completo di Stardust Crusader, semplicemente perché ci offre un prodotto basato si sui combattimenti, ma anche su situazioni drammatiche, su contenuti maturi, su personaggi ben caratterizzati e in parte anche sui sentimenti.
La stessa prima serie di Jojo, pur col suo minimalismo e la sua semplicità, è un manga che cerca di svilupparsi in maniera più completa e che cerca prima di tutto di raccontare una storia.
Quando sentivo dire che la terza serie di Jojo era in assoluto la migliore, nonché una pietra miliare nella storia dei manga, mi sembrava quindi lecito aspettarmi una completezza ed una maturità di contenuti che invece non ho assolutamente trovato, il tutto a favore di combattimenti che, seppur realizzati con originalità, lasciano comunque spazio a delle critiche.
In definitiva, probabilmente la mia esperienza con questo manga è stata rovinata dalle aspettative troppo alte che avevo, colpa di una critica che tratta questo manga con troppa riverenza e con il solito abusato motto del "si stava meglio quando si stava peggio".
Do comunque la sufficienza, perché tutto sommato sarebbe ingiusto non farlo anche solo per quello che Jojo rappresenta, ma non riesco francamente ad andare oltre.