Recensione
Rokka no Yuusha
8.0/10
Non fatevi ingannare dalle apparenze: questo è un giallo travestito da fantasy.
Cosa distingue “Rokka: Braves of the Six Flowers” (“Rokka no Yuusha”) dalle decine di serie fantasy esistenti? La risposta, potrà sembrare senza senso, è che appunto questo in realtà non è un fantasy. O almeno, non nella sostanza.
Il background introduttivo e le battute iniziali in effetti potrebbero far pensare di sì: in passato comparve un’entità maligna, il Dio Demone, che si diffuse come una metastasi in tutte le terre portando morte e distruzione coi suoi mostruosi servitori. A ergersi a difesa dell’umanità fu la Dea del Fato che, però, non riuscì a distruggere definitivamente il maligno, ma poté solo addormentarlo. Il Dio Demone è perciò destinato ciclicamente a ridestarsi, e tocca ogni volta a sei eroi predestinati impedire l’evento nefasto. Questo grazie alla loro unione che può risvegliare un grande potere, lascito della Dea del Fato.
La storia dell’anime parte appunto alla vigilia del risveglio del Demone.
A questo punto ci si aspetterebbe il tipico svolgimento da titolo fantasy, col viaggio degli eroi alla volta del “boss finale”, con tutta una serie di avventure e incontri ad arricchire il pellegrinaggio, e cose così. Ma in “Rokka no Yuusha” l’avventura fantasy praticamente termina ancor prima di iniziare: i predestinati si incontrano in un tempio, ma, invece di poter da lì partire per adempiere alla loro missione, si ritrovano irrimediabilmente intrappolati da una barriera magica e, cosa più importante, di eroi ce ne sono sette, anziché sei.
Chi sarà la talpa? Chi è l’infiltrato del Dio Demone che ha intrappolato gli eroi per permettere al Dio Demone di risvegliarsi indisturbato?
Inizia così una “battaglia” a base di deduzioni, indizi, sospetti, depistaggi e colpi di scena, che tiene desto l’interesse dall’inizio alla fine.
I personaggi son ben caratterizzati, anche se magari abbastanza stereotipati: Adlet Maia, il protagonista, è il tipico idealista disposto a mettere ottusamente in gioco la propria vita se necessario; Nachetanya è la solita pettoruta e dolce donzella che tutti (maschi in primis) venerano; Goldov è il cavalier servente ottuso e dal carisma inesistente; Flamie è la denpa dallo sguardo spento e atteggiamento misantropo; Hans è il classico ladro astuto e agile come un gatto; Chamot è la bambina letale che prende tutto come un gioco, anche la morte; e Maura, la figura matura del gruppo, che non esita ad agire con estrema, intransigente e fatale severità, se necessario.
Una rosa ristretta ma varia, insomma, che crea subito terreno fertile per alleanze, intrighi e sospetti; visto che alcuni personaggi sono più diffidenti di altri, altri appaiono particolarmente insospettabili, altri ancora sono particolarmente manipolabili.
Però, proprio in quanto “giallo”, forse è proprio qui che sta il più grosso limite di “Rokka no Yuusha”: in tutti i gialli il colpevole va pescato tra i personaggi. Quindi, se questi son pochi, anche solo andando per esclusione ed eliminando magari quelli più scontati e gli altri proprio non credibili, alla fine non è che sia poi così difficile capire chi possa essere il cattivo. E qui di personaggi ce ne sono solo sette.
Certo c’è da riconoscere che lo svolgimento non è banale o troppo scontato. Inoltre, anche se il grosso dell’avventura si svolge tra le quattro mura di un tempio, e relativi (nebbiosi) dintorni, c’è da dire che l’azione non manca.
Ci sono poi avvenimenti durante la narrazione che ti fanno dubitare a turno di questo o quel personaggio, e comunque il bello è arrivare alla fine per capire davvero le ragioni dietro a tutta la vicenda e l’immancabile “spiegone finale” in stile “Detective Conan”, con tanto di recap e ricollegamento di tutti gli indizi elargiti durante lo svolgimento della trama.
L’anime è tratto dall’omonima novel, che è ancora in corso in patria; quindi è normale che, anche se la vicenda di questa serie ha una conclusione, vengano comunque lasciati presupposti per un ipotetico prosieguo; questo con un ultimissimo colpo di scena che, va be’, consideriamolo solo un di più per ora.
Il character design non è particolarmente originale e le ambientazioni simil-precolombiane sono un po’ incerte. Vi sono interventi in computer grafica per quel che riguarda effetti particellari, poteri dei personaggi e la resa dei pochi demoni che appaiono; questi ultimi forse non si integrano benissimo col resto. Insomma il comparto grafico è di discreto livello, fa bene il suo dovere, senza far gridare al miracolo. Così come le musiche.
“Rokka: Braves of the Six Flowers” in definitiva è un prodotto che trova la propria cifra stilistica nell’atipicità della sua natura ibrida: il voler proporre in un contesto fantasy quella che sembra una trama pescata da un classico romanzo di Agatha Christie o Arthur Conan Doyle è un'idea che sostanzialmente funziona. Pur non eccellendo in nessuno di questi due aspetti, resta un anime che intrattiene e cattura durante tutta la sua durata senza particolari cali, coinvolgendo lo spettatore in questo gioco di ruolo in cui tutti dovrebbero sospettare di tutti e, soprattutto, senza inciampare sul finale.
Titolo tranquillamente fruibile e godibile a sé stante, indipendentemente dal fatto che possa seguirne o meno una seconda stagione.
Voto arrotondato per eccesso a otto.
Cosa distingue “Rokka: Braves of the Six Flowers” (“Rokka no Yuusha”) dalle decine di serie fantasy esistenti? La risposta, potrà sembrare senza senso, è che appunto questo in realtà non è un fantasy. O almeno, non nella sostanza.
Il background introduttivo e le battute iniziali in effetti potrebbero far pensare di sì: in passato comparve un’entità maligna, il Dio Demone, che si diffuse come una metastasi in tutte le terre portando morte e distruzione coi suoi mostruosi servitori. A ergersi a difesa dell’umanità fu la Dea del Fato che, però, non riuscì a distruggere definitivamente il maligno, ma poté solo addormentarlo. Il Dio Demone è perciò destinato ciclicamente a ridestarsi, e tocca ogni volta a sei eroi predestinati impedire l’evento nefasto. Questo grazie alla loro unione che può risvegliare un grande potere, lascito della Dea del Fato.
La storia dell’anime parte appunto alla vigilia del risveglio del Demone.
A questo punto ci si aspetterebbe il tipico svolgimento da titolo fantasy, col viaggio degli eroi alla volta del “boss finale”, con tutta una serie di avventure e incontri ad arricchire il pellegrinaggio, e cose così. Ma in “Rokka no Yuusha” l’avventura fantasy praticamente termina ancor prima di iniziare: i predestinati si incontrano in un tempio, ma, invece di poter da lì partire per adempiere alla loro missione, si ritrovano irrimediabilmente intrappolati da una barriera magica e, cosa più importante, di eroi ce ne sono sette, anziché sei.
Chi sarà la talpa? Chi è l’infiltrato del Dio Demone che ha intrappolato gli eroi per permettere al Dio Demone di risvegliarsi indisturbato?
Inizia così una “battaglia” a base di deduzioni, indizi, sospetti, depistaggi e colpi di scena, che tiene desto l’interesse dall’inizio alla fine.
I personaggi son ben caratterizzati, anche se magari abbastanza stereotipati: Adlet Maia, il protagonista, è il tipico idealista disposto a mettere ottusamente in gioco la propria vita se necessario; Nachetanya è la solita pettoruta e dolce donzella che tutti (maschi in primis) venerano; Goldov è il cavalier servente ottuso e dal carisma inesistente; Flamie è la denpa dallo sguardo spento e atteggiamento misantropo; Hans è il classico ladro astuto e agile come un gatto; Chamot è la bambina letale che prende tutto come un gioco, anche la morte; e Maura, la figura matura del gruppo, che non esita ad agire con estrema, intransigente e fatale severità, se necessario.
Una rosa ristretta ma varia, insomma, che crea subito terreno fertile per alleanze, intrighi e sospetti; visto che alcuni personaggi sono più diffidenti di altri, altri appaiono particolarmente insospettabili, altri ancora sono particolarmente manipolabili.
Però, proprio in quanto “giallo”, forse è proprio qui che sta il più grosso limite di “Rokka no Yuusha”: in tutti i gialli il colpevole va pescato tra i personaggi. Quindi, se questi son pochi, anche solo andando per esclusione ed eliminando magari quelli più scontati e gli altri proprio non credibili, alla fine non è che sia poi così difficile capire chi possa essere il cattivo. E qui di personaggi ce ne sono solo sette.
Certo c’è da riconoscere che lo svolgimento non è banale o troppo scontato. Inoltre, anche se il grosso dell’avventura si svolge tra le quattro mura di un tempio, e relativi (nebbiosi) dintorni, c’è da dire che l’azione non manca.
Ci sono poi avvenimenti durante la narrazione che ti fanno dubitare a turno di questo o quel personaggio, e comunque il bello è arrivare alla fine per capire davvero le ragioni dietro a tutta la vicenda e l’immancabile “spiegone finale” in stile “Detective Conan”, con tanto di recap e ricollegamento di tutti gli indizi elargiti durante lo svolgimento della trama.
L’anime è tratto dall’omonima novel, che è ancora in corso in patria; quindi è normale che, anche se la vicenda di questa serie ha una conclusione, vengano comunque lasciati presupposti per un ipotetico prosieguo; questo con un ultimissimo colpo di scena che, va be’, consideriamolo solo un di più per ora.
Il character design non è particolarmente originale e le ambientazioni simil-precolombiane sono un po’ incerte. Vi sono interventi in computer grafica per quel che riguarda effetti particellari, poteri dei personaggi e la resa dei pochi demoni che appaiono; questi ultimi forse non si integrano benissimo col resto. Insomma il comparto grafico è di discreto livello, fa bene il suo dovere, senza far gridare al miracolo. Così come le musiche.
“Rokka: Braves of the Six Flowers” in definitiva è un prodotto che trova la propria cifra stilistica nell’atipicità della sua natura ibrida: il voler proporre in un contesto fantasy quella che sembra una trama pescata da un classico romanzo di Agatha Christie o Arthur Conan Doyle è un'idea che sostanzialmente funziona. Pur non eccellendo in nessuno di questi due aspetti, resta un anime che intrattiene e cattura durante tutta la sua durata senza particolari cali, coinvolgendo lo spettatore in questo gioco di ruolo in cui tutti dovrebbero sospettare di tutti e, soprattutto, senza inciampare sul finale.
Titolo tranquillamente fruibile e godibile a sé stante, indipendentemente dal fatto che possa seguirne o meno una seconda stagione.
Voto arrotondato per eccesso a otto.