Recensione
Della stagione primaverile 2016, “Koutetsujou no Kabaneri” è sicuramente tra i titoli più attesi. Sarà il nuovo “Shingeki no Kyojin”? Personalmente sono molto restio a paragonare varie serie TV, soprattutto se non ho ancora avuto modo di vederle. Ebbene, dopo aver concluso questa nuova opera, posso dire che tra le due ci siano alcune somiglianze, vero, ma in linea generale si assomigliano ben poco, mostrando invece caratteristiche del tutto originali.
“Koutetsujou no Kabaneri” ha una struttura di base piuttosto semplice: dodici puntate molto dinamiche e movimentate, che uniscono la passione per gli anime d’azione al fascino perverso dello splatter. E’ presente una buona dose di sovrannaturale, che, a mio avviso, acquisisce una bellezza ancora maggiore se mischiata a un’ambientazione di tipo storico.
In un Giappone allo sbando, l’umanità si ritrova costretta a sopravvivere in un numero sempre più ristretto di “stazioni”, ovvero città fortificate, che fungono da punti di ristoro per gli unici mezzi locomotori capaci di muoversi per le desolate terre nipponiche: treni fortificati.
Ma da chi si riparano? Non vedremo spuntare giganti umanoidi, bensì “semplici” cadaveri zombie. Non ci viene raccontata la causa di questa sovrannaturale invasione, ma, di colpo, l’umanità si ritrova a che fare con tale infezione, che imperverserà e conquisterà gran parte del Giappone (non ci sono riferimenti al restante globo terrestre).
Ikoma è il protagonista, un semplice macchinista in erba, che, però, sogna di diventare un cacciatore di cadaveri grazie a un’invenzione che ha in serbo. Idealista fin nelle ossa e fortemente convinto che il fenomeno dei cadaveri non sia altro che un virus, ovviamente curabile. Le sue convinzioni, però, verranno messe a dura prova quando la città in cui si trova viene attaccata da un esercito di cadaveri. Lui, i suoi amici (tra cui la misteriosa Mumei) e i compaesani sopravvissuti fuggono su un treno e riescono a scampare il pericolo, nonostante le forti perdite.
Ma ce la faranno a cavarsela in mezzo a questo mondo selvaggio e desolato? E, ancora di più, siamo sicuri che i pericoli maggiori verranno da questi morti viventi?
Ho volutamente tralasciato un piccolo particolare nel corso della trama, così da analizzarlo maggiormente in questa sede: Ikoma verrà morso da un cadavere, ma riuscirà a fermare a metà la mutazione. Un mezzo spoiler (che viene annunciato già nell’opening) doveroso per poter raccontare pienamente il personaggio di Ikoma. Un protagonista che prende come riferimento i classici stilemi, con atteggiamenti sognatori, fin troppo idealizzati e dal carattere dolce e caritatevole. Peccato che, fin da subito, si ritrova a che fare con un dubbio esistenziale non da poco, ovvero diventare lui stesso un mezzo-cadavere, il nemico che ha proclamato di sterminare.
L’inizio di un contrasto interiore? In effetti no. Vi è giusto un germoglio, ma niente di più. La trama deve andare avanti e non c’è tempo per queste cose. Un peccato, a mio avviso, visto che c’erano le basi per creare un protagonista veramente buono. Ma bisogna precisare che tutto ciò si ripete, in parte, con gli altri personaggi. Mumei, Ayame, Kurusu, Biba... offrono tutti ottimi spunti di riflessioni, costretti però a una doverosa limitazione a causa di determinate tempistiche e, forse, alla volontà di non far cadere quest’anime in una battaglia troppo psicologica e interiore. Da notare comunque che, nel corso della serie, riescono ad evolversi e crescere, seppur di poco.
La trama, come già detto, si sviluppa in maniera piuttosto semplice e lineare. I colpi di scena ci sono, ma, a essere onesti, appaiono fin troppo prevedibili. Alle volte ho avuto l’impressione che si sia cercato più di creare le classiche “situazioni epiche”, che, invece, mostrare allo spettatore un rivolgimento più elaborato e sopraffino.
Il punto di forza è sicuramente il comparto tecnico, che ci consegna un prodotto di ottima fattura, sia per la grafica che per le musiche. I disegni mi ricordano molto anime più datati, e così pure i vari colori. Da un lato si vedono toni cupi e tenebrosi, dall’altro effetti scenici molto particolari, con tinte forti e cariche di pathos.
Le musiche riescono a coinvolgere subito lo spettatore e non si può rimanere passivi di fronte ai vari combattimenti, esaltati al massimo dalla colonna sonora.
La regia riesce comunque a svolgere un buon lavoro, sebbene non privo di difetti. Ben curato, invece, il doppiaggio.
Concludo la mia recensione con un parere complessivo: discreto. Un voto che, però, assume un sapore amarognolo, quasi di delusione. Ci si aspettava molto, o almeno questo valeva per il sottoscritto, e invece ci si è ritrovati con una serie buona, nel complesso, ma forse sottotono di fronte alle alte aspettative che vi erano riposte.
Non voglio dar troppo perso a eventuali somiglianze: dopo “Shingeki no Kyojin” sono uscite altre serie molto simili, ma credo ognuna di queste offrisse qualcosa di originale, a modo suo.
Per quanto mi riguarda, è mancata la scintilla finale. Quel dettaglio in più, capace di accendere del tutto un anime e trasformarlo in un capolavoro.
Carenze nella caratterizzazione dei vari personaggi e piccoli difetti di trama... Ma, chissà, forse erano semplicemente troppo elevate le aspettative...
Voto finale: 7 meno
“Koutetsujou no Kabaneri” ha una struttura di base piuttosto semplice: dodici puntate molto dinamiche e movimentate, che uniscono la passione per gli anime d’azione al fascino perverso dello splatter. E’ presente una buona dose di sovrannaturale, che, a mio avviso, acquisisce una bellezza ancora maggiore se mischiata a un’ambientazione di tipo storico.
In un Giappone allo sbando, l’umanità si ritrova costretta a sopravvivere in un numero sempre più ristretto di “stazioni”, ovvero città fortificate, che fungono da punti di ristoro per gli unici mezzi locomotori capaci di muoversi per le desolate terre nipponiche: treni fortificati.
Ma da chi si riparano? Non vedremo spuntare giganti umanoidi, bensì “semplici” cadaveri zombie. Non ci viene raccontata la causa di questa sovrannaturale invasione, ma, di colpo, l’umanità si ritrova a che fare con tale infezione, che imperverserà e conquisterà gran parte del Giappone (non ci sono riferimenti al restante globo terrestre).
Ikoma è il protagonista, un semplice macchinista in erba, che, però, sogna di diventare un cacciatore di cadaveri grazie a un’invenzione che ha in serbo. Idealista fin nelle ossa e fortemente convinto che il fenomeno dei cadaveri non sia altro che un virus, ovviamente curabile. Le sue convinzioni, però, verranno messe a dura prova quando la città in cui si trova viene attaccata da un esercito di cadaveri. Lui, i suoi amici (tra cui la misteriosa Mumei) e i compaesani sopravvissuti fuggono su un treno e riescono a scampare il pericolo, nonostante le forti perdite.
Ma ce la faranno a cavarsela in mezzo a questo mondo selvaggio e desolato? E, ancora di più, siamo sicuri che i pericoli maggiori verranno da questi morti viventi?
Ho volutamente tralasciato un piccolo particolare nel corso della trama, così da analizzarlo maggiormente in questa sede: Ikoma verrà morso da un cadavere, ma riuscirà a fermare a metà la mutazione. Un mezzo spoiler (che viene annunciato già nell’opening) doveroso per poter raccontare pienamente il personaggio di Ikoma. Un protagonista che prende come riferimento i classici stilemi, con atteggiamenti sognatori, fin troppo idealizzati e dal carattere dolce e caritatevole. Peccato che, fin da subito, si ritrova a che fare con un dubbio esistenziale non da poco, ovvero diventare lui stesso un mezzo-cadavere, il nemico che ha proclamato di sterminare.
L’inizio di un contrasto interiore? In effetti no. Vi è giusto un germoglio, ma niente di più. La trama deve andare avanti e non c’è tempo per queste cose. Un peccato, a mio avviso, visto che c’erano le basi per creare un protagonista veramente buono. Ma bisogna precisare che tutto ciò si ripete, in parte, con gli altri personaggi. Mumei, Ayame, Kurusu, Biba... offrono tutti ottimi spunti di riflessioni, costretti però a una doverosa limitazione a causa di determinate tempistiche e, forse, alla volontà di non far cadere quest’anime in una battaglia troppo psicologica e interiore. Da notare comunque che, nel corso della serie, riescono ad evolversi e crescere, seppur di poco.
La trama, come già detto, si sviluppa in maniera piuttosto semplice e lineare. I colpi di scena ci sono, ma, a essere onesti, appaiono fin troppo prevedibili. Alle volte ho avuto l’impressione che si sia cercato più di creare le classiche “situazioni epiche”, che, invece, mostrare allo spettatore un rivolgimento più elaborato e sopraffino.
Il punto di forza è sicuramente il comparto tecnico, che ci consegna un prodotto di ottima fattura, sia per la grafica che per le musiche. I disegni mi ricordano molto anime più datati, e così pure i vari colori. Da un lato si vedono toni cupi e tenebrosi, dall’altro effetti scenici molto particolari, con tinte forti e cariche di pathos.
Le musiche riescono a coinvolgere subito lo spettatore e non si può rimanere passivi di fronte ai vari combattimenti, esaltati al massimo dalla colonna sonora.
La regia riesce comunque a svolgere un buon lavoro, sebbene non privo di difetti. Ben curato, invece, il doppiaggio.
Concludo la mia recensione con un parere complessivo: discreto. Un voto che, però, assume un sapore amarognolo, quasi di delusione. Ci si aspettava molto, o almeno questo valeva per il sottoscritto, e invece ci si è ritrovati con una serie buona, nel complesso, ma forse sottotono di fronte alle alte aspettative che vi erano riposte.
Non voglio dar troppo perso a eventuali somiglianze: dopo “Shingeki no Kyojin” sono uscite altre serie molto simili, ma credo ognuna di queste offrisse qualcosa di originale, a modo suo.
Per quanto mi riguarda, è mancata la scintilla finale. Quel dettaglio in più, capace di accendere del tutto un anime e trasformarlo in un capolavoro.
Carenze nella caratterizzazione dei vari personaggi e piccoli difetti di trama... Ma, chissà, forse erano semplicemente troppo elevate le aspettative...
Voto finale: 7 meno