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10.0/10
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<b>Attenzione: la seguente recensione contiene spoiler</b>

In America la chiamano “eternal summer”, l’estate eterna.
È quella condizione di tempo immobile, cristallizzato, in cui vivono molti personaggi delle serie episodiche a lungo decorso. Le avventure si susseguono innumerevoli, qualche volta si festeggiano pure compleanni e feste comandate, eppure il tempo non passa mai. È la condizione in cui, ad esempio, vivono Lupin e i suoi compagni, che hanno lo stesso aspetto e la stessa età da cinquant’anni.

Non ho nominato Lupin a caso, perché l’anime di cui mi accingo a parlare gli assomiglia sotto molti aspetti. Ho avuto quest’impressione fin dalla primissima puntata e poi ho avuto conferma, leggendo in giro, che effettivamente Lupin è stato una delle (tantissime) fonti di ispirazione per creare "Cowboy Bebop".

In "Cowboy Bebop", abbiamo un Lupin (Spike), un Jigen (Jet) e una Fujiko (Faye), che invece di fare i ladri, fanno i cacciatori di taglie. Nello spazio. Mancano Goemon e Zenigata, mentre invece ci sono Ed e Ein, un’irritante ragazzina hacker e un cane super-intelligente. In ogni episodio, devono catturare un criminale diverso, proprio come Lupin e compagni dovevano preparare un colpo diverso e, proprio come Lupin, spesso rimangono con un palmo di naso (catturano il criminale, ma per un motivo o per l’altro, non riescono a riscuotere il compenso).

Naturalmente, non sono proprio uguali ai loro modelli di riferimento. Ad esempio, in "Cowboy Bebop", è Fujiko/Faye a prendersi una cotta per Lupin/Spike, che non la degna di uno sguardo perché troppo preso da un amore perduto (che si chiama Julia, come quella di "Ken il guerriero". Chissà perché gli amori perduti giapponesi si chiamano sempre Julia. Ma non divaghiamo).

Le differenze, però, non si fermano qui. Fin dal primo episodio, si intravede una nota malinconica, triste, che si accompagna a quella più scanzonata e spesso prende il sopravvento. A episodi del tutto assurdi e demenziali (come quello del blob nel frigorifero o quello dei funghi allucinogeni) si alternano altri che colpiscono corde ben più profonde e persino inquietanti (come quello di Pierrot le Fou o della setta religiosa). Gli episodi a impatto emotivo più forte sono comunque quelli che approfondiscono il passato dei personaggi, rivelando lati nascosti della loro personalità che li allontanano sempre più dai modelli di riferimento, rendendoli personaggi a tutto tondo, complessi e unici.

Ho detto “approfondire”, ma è una parola grossa. In realtà, il passato dei personaggi, più che approfondito, viene suggerito, insinuato, mostrato in piccoli flash frammentari che toccherà a noi ricomporre, senza però mai riuscire a formare un quadro completo. Conoscere Spike, Jet, Faye e in parte anche Ed sarà come conoscere e affezionarsi a persone reali, di cui ogni giorno ci viene rivelato un nuovo aspetto, ma che non potremo mai dire di capire completamente. "Cowboy Bebop" vive di suggestioni, intuizioni, più che di pensieri coerenti.

"Cowboy Bebop" fa dannatamente bene il suo lavoro, sia quando vuole divertire che quando vuole emozionare o far riflettere. L’episodio del blob nel frigorifero, con la sua esilarante “morale” finale, mi rimarrà impresso nella memoria allo stesso modo dello splendido “Ballata degli angeli caduti”, in cui immagini e musica si uniscono in un’alchimia che onestamente non ricordo di aver mai visto prima in un’anime. La musica. Si può parlare di "Cowboy Bebop" senza nominarla? Una volta, Massimo Troisi disse scherzando che Pino Daniele scriveva le canzoni e poi andava da lui e diceva: “Ho scritto questo pezzo, ci fai un film sopra?” Ecco, non mi stupirei se si scoprisse che Yoko Kanno è andata da Watanabe e gli abbia detto: “Ho scritto questi pezzi, ci fai un anime sopra?”. Il connubio fra musica e immagini è così forte che davvero non si capisce quale dei due sia stato costruito intorno all’altro.

"Cowboy Bebop" sarebbe potuto essere solo questo e sarebbe stato ugualmente un capolavoro. Sarebbe potuto durare all’infinito, essere una delle tante serie da “estate eterna”, e avrebbe comunque avuto una sua originalità, con la sua vena malinconica, il citazionismo spinto e la splendida colonna sonora. Avrebbe potuto, ma non l’ha fatto. È andato oltre.

A un certo punto, il meccanismo dell’eternal summer si inceppa. I personaggi non riescono più a restare in quella bolla sospesa nel tempo e nello spazio, che permetteva loro di vivere avventure su avventure senza che cambiasse mai niente. Le ombre del passato si fanno sempre più grosse, la vita, il mondo reale, pretendono attenzione e la pseudo-famiglia del Bebop (il nome dell’astronave che porta in giro i nostri protagonisti) si sfalda. Il tempo passa. Le cose cambiano. Le azioni hanno delle conseguenze. Il peso di queste conseguenze si abbatterà sui protagonisti e, in un’interpretazione meta-narrativa, anche su di noi.

L’anime è finito. Fuori, c’è la vita reale, che pretende attenzione e fatica. Toccherà a te portarne il peso.