Recensione
La Musica di Marie
10.0/10
Recensione di Pan Daemonium
-
La capacità espressiva di Furuya, in un qualche modo ingabbiata dalle storie brevi e dagli yonkoma a cui si è sempre dedicato prima del 2000-01 - ma tanto sovrabbondante da trapelare con sfarzo -, viene per la prima volta scatenata nelle ~500 pagine di Marie, una delle sue opere più belle.
Marie ha tutto ciò che si può desiderare: un tratto delicato e orientale nelle fattezze, ma pulito e molto dettagliato con una profonda introspezione antropologica, etologica, religiosa in un contesto primordiale, direi sognante, misto ad un lirismo amoroso virgineo.
L'Autore, che comunque ha dato alla storia d'amore tra Kai e Pipi una risonanza notevole, ha avuto la grande forza di non lasciarsi eccessivamente trascinare dalla stessa. Quel che voglio dire è che pur avendo a disposizione non troppe pagine, Furuya ha deciso saggiamente di dedicare una buona fetta della narrazione al sistema socioeconomico dell'isola in cui i due protagonisti vivono, di descrivere per sommi capi le isole vicine e di definire i rapporti, le differenze e soprattutto le convergenze religiose. La religione è un punto nodale dell'opera ed assurge a salvatrice dell'uomo dalle sue bassezze, fungendo da argine morale sostanzialmente eliminando in lui il libero arbitrio.
Questa così breve opera e così candidamente disegnata ha effettivamente un messaggio pessimistico di enorme portata: può l'uomo progredire verso uno stato non-umano, non-animale, non-naturale di pace e concordia da sé o necessita di un sistema morale che lo guidi - ma dopo essere incatenato? Furuya è eclettico e spesso soppesa le risposte ("Plastic Girl"), ma in questo caso gli ultimi due terzi del secondo volume non lasciano adito alla immaginazione. Furuya risponde alle domande che ha posto e la risposta fa male, ma è così vera, tangibile.
Che cosa è Dio, perché senofanamente lo vediamo così, cosa siamo noi è cosa potremmo essere se fossimo sempre più liberi di essere noi stessi. Queste domande ricevono crude risposte, grondanti sangue.
Può sembrare che stia dando troppa importanza ai temi e poca alla trama, ma il finale cosa è se non una elevazione oltre la trama? Dopo la terribile scoperta, che ha spiazzato e sconvolto anche me, ma che arriva preceduta da un ben percepibile sentire di amarognolo, ci rendiamo conto che nulla è stato. Il secondo volume nella sua quasi interezza non è altro che una grande, complicata metafora, posta lì come rappresentazione dei quesiti posti dall'Autore, per dar loro un'assenza, una carnalità. Proprio come l'uomo ha fatto con il concetto di Dio.
Un'opera magistrale, che attirerà sia chi vuole immergersi in domande esistenziali e filosofiche, sia chi gradisce una dolorosa storia di passione, di infinita passione, di malata passione, fra due giovani ragazzi, in un ambiente bucolico e incontaminato - dall'uomo e dalla sua umanità. Un'opera poco umana, eppure così umana e quindi così bella.
Marie ha tutto ciò che si può desiderare: un tratto delicato e orientale nelle fattezze, ma pulito e molto dettagliato con una profonda introspezione antropologica, etologica, religiosa in un contesto primordiale, direi sognante, misto ad un lirismo amoroso virgineo.
L'Autore, che comunque ha dato alla storia d'amore tra Kai e Pipi una risonanza notevole, ha avuto la grande forza di non lasciarsi eccessivamente trascinare dalla stessa. Quel che voglio dire è che pur avendo a disposizione non troppe pagine, Furuya ha deciso saggiamente di dedicare una buona fetta della narrazione al sistema socioeconomico dell'isola in cui i due protagonisti vivono, di descrivere per sommi capi le isole vicine e di definire i rapporti, le differenze e soprattutto le convergenze religiose. La religione è un punto nodale dell'opera ed assurge a salvatrice dell'uomo dalle sue bassezze, fungendo da argine morale sostanzialmente eliminando in lui il libero arbitrio.
Questa così breve opera e così candidamente disegnata ha effettivamente un messaggio pessimistico di enorme portata: può l'uomo progredire verso uno stato non-umano, non-animale, non-naturale di pace e concordia da sé o necessita di un sistema morale che lo guidi - ma dopo essere incatenato? Furuya è eclettico e spesso soppesa le risposte ("Plastic Girl"), ma in questo caso gli ultimi due terzi del secondo volume non lasciano adito alla immaginazione. Furuya risponde alle domande che ha posto e la risposta fa male, ma è così vera, tangibile.
Che cosa è Dio, perché senofanamente lo vediamo così, cosa siamo noi è cosa potremmo essere se fossimo sempre più liberi di essere noi stessi. Queste domande ricevono crude risposte, grondanti sangue.
Può sembrare che stia dando troppa importanza ai temi e poca alla trama, ma il finale cosa è se non una elevazione oltre la trama? Dopo la terribile scoperta, che ha spiazzato e sconvolto anche me, ma che arriva preceduta da un ben percepibile sentire di amarognolo, ci rendiamo conto che nulla è stato. Il secondo volume nella sua quasi interezza non è altro che una grande, complicata metafora, posta lì come rappresentazione dei quesiti posti dall'Autore, per dar loro un'assenza, una carnalità. Proprio come l'uomo ha fatto con il concetto di Dio.
Un'opera magistrale, che attirerà sia chi vuole immergersi in domande esistenziali e filosofiche, sia chi gradisce una dolorosa storia di passione, di infinita passione, di malata passione, fra due giovani ragazzi, in un ambiente bucolico e incontaminato - dall'uomo e dalla sua umanità. Un'opera poco umana, eppure così umana e quindi così bella.