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C'è un difetto congenito nella fabbricazione umana: l'incomunicabilità. Non solo l'incapacità da parte dell'Uomo di relazionarsi o empatizzare con i suoi simili, ma soprattutto la totale asintonia con le sue moire interiori, col suo costruttore, il Demiurgo.
Dio è silente.
Se non si è fra i pochi eletti in grado di sentirne la voce o di interpretarne i segni, non si può che constatare la sua totale afonia. La sua onnipotenza si percepisce solo in forme indirette o per interposta persona.
Come si può comunicare se non si conosce la scala delle note dell'universo?

Il tema dell'incomprensione fra gli uomini fu uno dei comandamenti delle opere di un altro dio, quello dei manga, Osamu Tezuka.
Il padre del moderno fumetto giapponese considerava le difficoltà di relazione come il vero peccato originale alla base dei mali che soffocano l'esistenza terrena. E questo suo pilastro tematico è espresso con totale chiarezza nella sua interpretazione di uno dei classici immortali della letteratura mondiale: "Delitto e Castigo" di Dostoevskij.

Questa riduzione voluta dal maestro fu probabilmente ispirata dalla versione che egli stesso mise in scena con la sua compagnia teatrale studentesca, e testimonia la grande importanza che la cultura occidentale ebbe per la creazione del suo immenso e immaginifico corpus produttivo.

La trama rispecchia i canoni base di quella del romanzo.
A San Pietroburgo, poco prima dello scoppio della Rivoluzione d'Ottobre, il giovane e squattrinato studente Raskòl'nikov commette un omicidio assassinando una vecchia usuraia per questioni di denaro. Il gesto è dettato anche dal disprezzo provato verso una persona avida e insensibile, nella convinzione che il mondo sarebbe un posto migliore senza simili soggetti.
L'omicida ritiene quindi questa azione non un crimine ma un atto a beneficio dell'Umanità.
Ma fin da subito Raskòl'nikov non riesce a gestire il peso del suo operato. Angoscia e disagio diventano suoi compagni quotidiani e lentamente si fa strada un costante senso di inquietudine che turba il suo animo sconvolto e sospettoso.
Il giudice istruttore Porfirij non crede alla colpevolezza di un uomo arrestato e accusato dell'omicidio, e sospetta del giovane studente che diventa sempre più paranoico, nonostante l'affetto di sua madre e sua sorella o il crescente sentimento che prova per Sonja, una giovane costretta alla prostituzione per indigenza. L'infelice ma virtuosa ragazza ha una fede incrollabile che diviene l'unica fonte di sollievo per l'animo di Raskòl'nikov afflitto dal senso di colpa.
Tra insidie e soprusi sociali la resa dei conti è sempre più vicina e l'ombra della Rivoluzione incombe fino al suo scoppio che coincide con l'epilogo della storia.


Nel 1953 Tezuka cominciava già a diventare l'icona che tutti conosciamo ed aveva ormai avviato la pubblicazione in contemporanea dei suoi lavori più iconici come "Astro Boy", "Kimba il leone bianco" e "La Principessa Zaffiro".
Fra le tante produzioni in corso trovò il tempo di confezionare questa versione di "Delitto e Castigo", ultima opera che pubblicò per un editore di Osaka.
Il "dio dei manga" elaborò una traduzione secondo il suo stile, attingendo a piene mani non solo dalla trama e dalle tematiche del romanzo di Dostoevskij, ma soprattutto ai canoni e agli stilemi del fumetto occidentale.
Al tempo Tezuka era ancora pienamente nel segno dei suoi primi punti di riferimento, identificabili con le espressioni della settima e della nona arte elaborate dal canone statunitense. Una firma che rende subito riconoscibile la mano del maestro, ammiratore esplicito di modelli d'oltreoceano del fumetto e dell'animazione come i Fleischer Studios e ovviamente la Disney.
L'impostazione delle vignette, il ritmo compositivo, la cifra stilistica e la dinamica delle azioni e dei dialoghi sono tutti delineati nel solco di una semantica nota e che fece la fortuna della carriera dell'autore. Il bianco e nero è giocato in maniera magistrale rendendo palpabili tutte le sfumature emotive e la potenza delle passioni legate alle vicende. L'uso dei tagli di luce e dei piani obliqui segue un registro tecnico dal sapore autoriale che esula dal medium base. La vis espressa è infatti riconoscibile come un chiaro omaggio alle impostazioni cinematografiche da storyboard.
Emblematica in tal senso la sequenza che segue la dinamica dell'omicidio che apre i fatti del racconto:
l'azione si svolge in un gioco sequenziale che ricorda le tecniche registiche di Alfred Hitchcock, con l'autore che inquadra le scale del condominio come teatro delle concitate vicende. Tezuka sfrutta questo espediente per esaltare la tensione e le ricadute scenografiche delle percezioni e delle emozioni del protagonista. Una sequela di corse, capitomboli, scoperte e fughe rocambolesche, con più personaggi che invadono la scena del crimine costringendo l'omicida ad un comico quanto macabro gioco a nascondino.
Il tutto in uno schema che si dipana su uno sfondo reiterato per ben undici pagine, nelle quali si assiste ad ogni sorta di spostamento possibile degli attori in scena (da sinistra a destra e dall'alto verso il basso e viceversa), uno dei quali trova pure il modo di uscire dallo spazio delle vignette, rompendo quindi una metaforica "quarta parete".

Espedienti degni di un vero maestro, ispiratigli forse sempre da quella messa in scena teatrale cui prese parte in gioventù, nella quale il set era stato allestito intorno ad un'alta tromba di scale, e dove pare che Tezuka (che soffriva di vertigini) interpretasse la parte di un imbianchino, di cui erano visibili al pubblico solo i piedi.
Nei fatti il mangaka esprime la sua versione attraverso questa sua personale esperienza di incontro col romanzo.
Qui sta la potenza stilistica di un autore poliedrico, che riscrive i classici fondendo i miti del passato con quelli della modernità e creando un pastiche multimediale che combina le espressioni occidentali e orientali, sdoganando il mito attraverso la cultura pop, tra Dostoevskij e Walt Disney.

E la grandezza di Tezuka viaggia pienamente nel segno delle sue capacità artistiche e narrative.
Se sul piano scenico il maestro fu padre e ideatore di tecniche e stilemi che hanno fatto scuola, anche sul piano tematico e di sceneggiatura "il dio dei manga" dimostrò di meritare tale appellativo.

Per quanto concerne gli esiti tecnici basta osservare gli sfondi, le architetture e le prospettive per comprendere il peso innovativo delle soluzioni stilistiche del mangaka.
Si pensi al rapporto simbiotico che si viene a creare fra ambiente e soggetto, nel momento in cui la sfera emotiva individuale prende corpo nel teatro della scena, creando una perfetta osmosi tra sottotesto e contesto.
Valga l'esempio dello stato psicologico del protagonista, che in una pagina trova esito in un affannoso rifugio in extremis nella propria stanza che però dipinge sul volto del reo un'espressione di colpevolezza (o consapevolezza) che parla da sola, deformando l'aspetto di Raskòl'nikov in una smorfia di angoscia e terrore esaltati dall'uso delle ombre e della luce combinati con le fattezze gotiche dello sguardo, con un linguaggio iconografico che ricorda molto l'espressionismo tedesco.

Ma non sono da meno le tematiche.
Anche in questo Tezuka rivela la sua maestria. Il manga infatti rispetta molti canoni narrativi del testo base, ma li rielabora e li riassume secondo la propria ottica. Se sono presenti praticamente tutti i personaggi della storia originale, come Razumichin e Luzin - rispettivamente amico e antagonista di Raskòl'nikov - nel fumetto sono anche chiaramente espresse alcune libertà, come il diverso sfondo storico della trama (spostato dalla piena Russia ottocentesca all'alba della rivoluzione bolscevica), nonchè il finale del racconto.
L'epilogo infatti attenua la natura soteriologica e profondamente monoteista del romanzo, tratteggiando un profilo meno catartico e più pessimistico. Un esito che richiama temi più vicini ad autori come Pasternak; dove i drammi e i dilemmi esistenziali dell'individuo sono completamente fagocitati dal flusso di eventi macrostorici soverchianti e immanenti.
Ma è in quel suo richiamo all'incomunicabilità fra gli uomini e al rapporto con le realtà metafisiche che l'autore esprime la sua vera statura tecnica.
Il quadro sociale e storico presentati da Tezuka sono pienamente nel segno delle tematiche del romanzo. Quella che si muove sotto lo sguardo del lettore è un'Umanità stanca e disillusa, desiderosa di sfoghi esistenziali e riscatti politici veicolati da una rabbia freudianamente sommersa, schiacciata dalle convenzioni di una classe dirigente fatua e obsoleta che organizza penose farse sociali figlie di una deriva aristocratico-borghese ipocrita e pedante.

Simbolo di questo disagio morale è il protagonista, ingenuo quanto riflessivo, ambiguo quanto emotivo; un ossimoro vivente, strattonato fra realtà e ambizioni, desideri e inibizioni.
Egli è a tutti gli effetti l'antitesi del superuomo.
Se all'inizio è convinto di percorrere la strada dell'iconoclastia, scoprirà invece di essere la più pura sintesi del questuante di idoli. Un paradosso che è la vera fonte delle sue angosce e di quella progressiva degradazione da figura statuaria e debordante a patetico derelitto vittima delle proprie incongruenze.
E in effetti se lo stesso Nietzsche dichiarò la sua passione per il classico della letteratura russa, allo stesso tempo ne criticò il senso profondamente teleologico ed evangelico.
Per Dostoevskij infatti Dio non è affatto morto. L'idolo è anzi il garante più alto di quella ricostruzione interiore necessaria all'Uomo per il raggiungimento di uno stato di equilibrio.
Raskòl'nikov non scruta nell'abisso per venire a patti con la sua ferinità, né vuole abbracciare la libertà di un'esistenza nichilista. È al contrario l'emblema di colui che auspica disperatamente la ricostruzione del feticcio consunto che lui stesso credeva di voler distruggere.
Il suo vero modello non è il titanismo nietzschiano ma l'idealismo hegeliano. Lo si assume perfettamente dalle teorie che espone tanto nel romanzo quanto nel manga. Il suo fine è il raggiungimento di quello stato etico che si nutre del progresso storico e tecnico per fasi di selezione e scarto degli strascichi percettivi. Lo studente idealista con l'omicidio mette simbolicamente in atto un "Aufhebung", un superamento, che si espleta nella transizione dal soggetto all'oggetto, la sublimazione dell'istintualità di un'azione in favore del razionalismo. Il mantra dei totalitarismi.
Non a caso dal manga come dal romanzo emerge l'inconfondibile silhouette di Napoleone Bonaparte, l'eroe di Hegel, lo "spirito del mondo" a cavallo che stermina gli uomini per il bene dell'Umanità.

Sintomo di questo drammatico paradosso logico, Raskòl'nikov deve alla fine riconoscere la sconfitta contro quei demoni che abitano in lui e fuori di lui.
A collassare non è infatti solo la sua architettura interiore ma anche quella sociale che lo circonda, forgiata dal suo stesso ideale, vittima di quell'irrazionalità (la Rivoluzione) che credeva di aver sublimato in una cecità empatica che ignora le sofferenze altrui soffocandole nella propria.
Tutto crolla nell'epilogo di Tezuka. Il jet set del delitto evapora in una chiosa finale sul viale solitario del castigo, che lascia aperto un ultimo dubbio, un dubbio dal sapore pienamente esistenzialista.

Maestro assoluto della narrativa, pioniere tanto nello stile di disegno quanto nelle tematiche, Tezuka ci ha regalato una breve ma potente riscrittura di un classico immortale, superando come quest'ultimo la prova del tempo per diventare anch'esso parte integrante del mito di un corpus molto più vasto.
Vale quindi un plauso la scelta della J-Pop di aver proposto per la collezione Osamushi un pezzo di storia del manga non degnamente riconosciuto, e forse anche un po' osteggiato se è vero, come evidenziato dalla postfazione, che il pronipote di Dostoevskij considerò addirittura blasfeme le tavole di Tezuka esposte al museo di San Pietroburgo.
Uno sdegno spiegabile forse per incomprensione del diverso registro del medium o più semplicemente come un tentativo di ribadire la sacralità di un simulacro ritenuto intoccabile.

Il che è singolare se si pensa che oggi anche le tavole di Tezuka sono anch'esse considerate come delle reliquie. Ma questo fa sempre parte di quel sintomatico gioco di riflessi storici secondo cui un "dio" ha riletto a sua volta un'opera sul rapporto con Dio.
Ecco perché vale la pena di non cedere alla tentazione di fare confronti troppo puntuali e cercare invece di dimenticare per un attimo il rigore della fedeltà assoluta in favore della capacità di perdersi nella magia di una reinterpretazione.
Questo perché in fondo non c'è incongruenza in un divertissement che rimanda allo stesso canone: il problema del rapporto con Dio o i nostri demoni. Un problema che obbliga a interrogarsi sul valore degli idoli e sul loro crepuscolo. Almeno per capire se hanno ancora qualcosa da sussurrarci o se magari siamo noi a bisbigliare al nulla.