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9.0/10
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Nell’estate del 2002 va in onda “Princess Tutu”, anime ideato da Ikuko Ito (character design della quarta serie di “Sailor Moon”) e diretto da Jun’ichi Satou (regista delle prime due serie di “Sailor Moon”, di “Ojamajo Doremi” e della saga di “Aria”). L’opera è stata realizzata dallo studio Hal Film Maker e consta di ventisei episodi; le puntate dalla 14 alla 25, tuttavia, sono state trasmesse divise in due parti ciascuna, motivo per il quale sul sito se ne segnano trentotto.

“C’era una volta un principe coraggioso impegnato in una dura lotta contro un malvagio grande corvo; per sconfiggere e sigillare il suo nemico, il principe fece a pezzi il proprio cuore: i suoi frammenti, assieme agli altri personaggi del racconto, si dispersero e si confusero col mondo reale. Drosselmeier, autore della fiaba, diede a una piccola papera la possibilità di trasformarsi in un’umana di nome Ahiru e la incaricò di raccogliere i frammenti del cuore del principe grazie ai poteri della sua controparte, ovvero la Principessa Tutù”.

L’incipit dell’anime sembra proprio quello di una fiaba, e potremmo dire che “Princess Tutù” lo è a tutti gli effetti. Tuttavia, sin dalle prime battute, è possibile individuare un altro livello narrativo in cui i personaggi diventano coscienti del proprio ruolo ed entrano in contatto con il loro autore: il punto di forza dell’anime, infatti, è quello di essere una meta-fiaba che decostruisce i canoni del racconto classico (come fece già in precedenza “La Rivoluzione di Utena”).

Nelle prime puntate, Ahiru e i suoi compagni seguono il copione scritto per loro da Drosselmeier: un copione alquanto semplice e basilare, che prevede la raccolta dei frammenti del cuore del principe come nei mahou shoujo più classici. Già a quel punto, però, la storia si dimostra tutt’altro che banale, grazie alla profonda e delicata analisi delle emozioni umane che ci viene presentata e alle innumerevoli analogie con alcuni dei racconti e dei balletti più famosi (troviamo ad esempio citazioni a “Il Brutto Anatroccolo”, “La Bella Addormentata nel Bosco”, “Giselle” o “La Silfide”). Col proseguire della serie, è possibile assistere a un ottimo e graduale approfondimento psicologico dei vari personaggi, i quali sembrano fin troppo caratterizzati per essere i soliti protagonisti piatti e artificiosi che siamo soliti trovare nelle storie per bambini. Il lavoro migliore è stato svolto, a mio avviso, sulla tenebrosa Rue, che fin da subito lotta contro la sua parte più oscura che la vuole nel ruolo del maligno cigno nero.

Gli ottimi presupposti presenti già a inizio serie mostrano il loro potenziale verso gli ultimi episodi, nei quali la meta-narrazione si erge in tutto il suo splendore: il subdolo piano dell’autore viene ormai a galla, e i vari personaggi si ritrovano a combattere contro un destino già deciso nel quale loro non sono nient’altro delle marionette nelle mani di Drosselmeier. È proprio in questo frangente che si esplicita il messaggio che l’opera desidera veicolare: i fautori del nostro futuro siamo solamente noi, sono i personaggi che devono scrivere la loro storia e non una persona terza; anche se ci è stato affidato un ruolo che non desideriamo, come quello della principessa cattiva o del cavaliere che non è in grado di proteggere nessuno, noi abbiamo il potere di cambiarlo e di decidere con le nostre forze chi vogliamo diventare realmente.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, ci troviamo dinanzi a un character design che all’apparenza può sembrare infantile, ma che in realtà si dimostra adatto al tipo di storia raccontata: i visi sono tondi, le corporature minute, le braccia e le gambe lunghe e sottili. Quest’ultima caratteristica, in particolare, si rivela funzionale alle numerose scene di danza classica che costituiscono una costante della serie. I balletti vengono rappresentati essenzialmente attraverso inquadrature statiche, che mettono in risalto le delicate ed espressive pose assunte dai personaggi, mentre le animazioni (sempre di ottima fattura come i disegni) vengono impiegate con meno frequenza. Gli sfondi dipingono ambientazioni fiabesche, ricalcate sulla base delle tipiche cittadine tedesche presenti nei racconti più famosi. Altra punta di diamante è rappresentata dalla colonna sonora, composta da tracce originali e altre tratte dai balletti più celebri: ricorrenti sono le musiche de “Il Lago dei Cigni” di Čajkovskij, le quali conferiscono grande solennità e bellezza alle scene più importanti. Modellata sul “Valzer dei Fiori” de “Lo Schiaccianoci” è anche l’opening “Morning Grace”, interpretata dalla soave voce della scomparsa Ritsuko Okazaki (cantante anche della sigla finale “Watashi no Ai wa Chiisaikeredo”).

In conclusione, “Princess Tutù” potrebbe essere di primo acchito accostata a una qualunque fiaba per bambini; tuttavia essa si rivela molto più matura e complessa, grazie ai molteplici strati narrativi, alla profonda introspezione psicologica dei personaggi, ai messaggi veicolati e al finale che si allontana dai canoni classici del “vissero tutti felici e contenti”.