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E se il nostro caro vecchio Sherlock Holmes, invece di un superbo londinese dell'Ottocento, fosse stato un eccentrico giapponese dei nostri tempi? E se le sue vicende venissero reinventate e traslate nella cultura nipponica?
La serie "Kabukicho no Yatsu" ha il suo maggior punto di forza nel dare una risposta a queste domande che, in particolar modo, potrebbero stuzzicare l'interesse di chiunque sia fan della classica e immortale figura di Sherlock Holmes e, allo stesso tempo, dell'animazione giapponese, nonché della cultura nipponica. Ma prima di esporvi le mie considerazioni su questo prodotto, voglio mettere le mani avanti; la mia conoscenza del lavoro originale di Conan Doyle è estremamente generica, perciò lungi da me arrischiarmi in qualsiasi tipo di comparazione fra le due opere. Anzitutto perché, per ovvie ragioni, non ne sarei in grado, ma anche perché, personalmente, non ritengo particolarmente corretto o necessario giudicare la serie in relazione all'opera originale. Terrò comunque in considerazione il fatto che alcuni personaggi e vicende, essendo già noti almeno nominalmente, arriveranno allo spettatore influenzati da determinate aspettative.

La storia apre il sipario sul malfamato quartiere a luci rosse di Kabukicho, nell'East Side di Shinjuku. Al Pipecat, all'apparenza un semplice locale per travestiti, la "signora" Hudson organizza una specie di circolo clandestino per detective, la cosiddetta "Casa degli Investigatori", dove le persone possono recarsi a proporre dei casi.
La serie è orientata su toni molto distanti fra loro; si passa da episodi con intento comico di tipo demenziale e grottesco ad episodi che cercano la tensione drammatica e il pathos. Tuttavia, anche se l'intenzione comica o drammatica è ben riconoscibile, non sempre la prima scatena ilarità o riso, e non sempre la seconda suscita tensione o coinvolgimento emotivo. Infatti la riuscita concreta di questi intenti è traballante. La capacità della serie di tenere vivo l'interesse dello spettatore è incredibilmente altalenante. A momenti di estremo coinvolgimento emotivo si alternano episodi noiosi vissuti nella più totale indifferenza.
La trama si dirama in modo lineare senza intrichi particolarmente elaborati. Essendo una serie investigativa, molto dell'interesse della serie si basa sul fascino dei misteri e sulla genialità della risoluzione e completezza delle spiegazioni. I casi sono sufficientemente interessanti (alcuni meno di altri), ma nulla di stratosferico. Alcuni passaggi dei singoli casi o della trama principale (perlopiù dettagli) restano oscuri e non spiegati, o comunque non chiarificati in modo convincente.

L'ambiente stravagante ma accogliente del Pipecat è il filo conduttore che lega tutti i personaggi; essi sono sicuramente il punto di maggior forza e interesse della serie. Essi risultano ben inquadrati e caratterizzati da personalità marcate e parecchio strampalate, coerentemente con l'ambientazione un po' sopra le righe. Il character design è indubbiamente gradevole e distintivo. Purtroppo il fatto che i personaggi siano la parte, a mio avviso, più riuscita della serie, non significa che la caratterizzazione non abbia delle lacune di discreta importanza: certi aspetti di quest'ultima vengono completamente tralasciati; nel più dei casi ciò è potenzialmente irrilevante, mentre in altri questa mancanza non consente allo spettatore di comprendere le motivazioni e il significato di determinate azioni, impedendogli di entrare in empatia con essi. Ciò non lede la piacevolezza dell'intera visione, ma sicuramente lo fa per certi passaggi, anche importanti a livello narrativo.

La prima parte della serie è quella maggiormente riuscita, in quanto gioca molto sul mistero che circonda la figura di Moriarty, che si presenta come una figura positiva, seppur certi dettagli ci inducano a sospettare un certo squilibrio mentale. Da una parte lo spettatore conosce l'indole diabolica che connota la figura del suo originale, ma dall'altra "questo" Moriarty sembrerebbe niente più che un semplice giovane irriverente, spontaneo e sorridente.
Buono o cattivo? Colpevole o innocente? L'idea dello spettatore viene indotta da una parte all'altra e quest'ambiguità può facilmente inspirare una certa curiosità.
La seconda parte, meno sapientemente impostata e troppo sbilanciata ed esagerata, non attecchisce; una tale degenerazione degli eventi necessiterebbe motivazioni e spiegazioni, assenti o non convincenti. Perciò, ad eccezione di circoscritti momenti di tensione o emozione, nella seconda parte dell'anime, l'indifferenza regna sovrana.

Dunque torniamo al discorso di prima: questa serie è fatta di alti e bassi, ed è difficile fare un commento univoco che non tradisca la bellezza di certi passaggi davvero memorabili e intensi, e allo stesso tempo non critichi la sterilità e piattezza di altre fasi, davvero poco interessanti. Il fatto che buoni personaggi permeino l'intera visione indubbiamente aiuta, ma, concluso l'ultimo episodio, non resta molto da acclamare. Perciò serie senza infamia e senza lode, con spunti di interesse qua e là, ma anche un bel po' di mediocrità.
Nonostante i difetti mi sento di consigliare la visione che, complessivamente, è piuttosto piacevole, merito anche di un comparto tecnico molto curato.