Recensione
Battery
3.0/10
«Battery» (バッテリー) è una serie anime andata in onda in Giappone, su Fuji TV, all’interno del contenitore noitaminA dal 14 luglio al 22 settembre 2016.
L’anime, composto da undici episodi, è tratto da una serie di sei Light Novel scritte da Atsuko Asano e disegnate da Makiko Satou, pubblicate in Giappone tra il 1996 e il 2005.
L’anime in questione è stato realizzato dallo Zero-G, studio giapponese fondato nel 2011 che ha realizzato diverse opere ed ha partecipato recentemente a numerosi lavori come «DIVE!!», «Grand Blue» e «My Roommate is a Cat». In cabina di regia il lavoro è stato affidato a Tomomi Mochizuki.
Takumi Arada, un talentuoso lanciatore delle scuole medie, si trasferisce assieme ai suoi genitori a casa del nonno, in una località montana. Qui incontrerà Kou Nagakura, iscritto alla sua stessa scuola, un solare ed energico lanciatore, anch’egli appassionato di baseball. I due formeranno una coppia sul campo, un lanciatore e un battitore, costituendo così quella combinazione che nel baseball viene definita “battery”.
Non gioco a baseball, ma apprezzo il baseball, quindi già un discreto inizio. Pochi mesi dopo la visione di «MIX: MEISEI STORY» avrei visto volentieri un altro spokon sul baseball e, guardando nella lista dei titoli di Amazon Prime Video, l’occhio mi è caduto proprio su questo titolo. Quindi, perché non provarlo?
Ecco, già dal primo episodio è iniziata a trapelare una certa noia e un’evidente pesantezza. Due elementi che hanno sin da subito giocato un ruolo negativo su una trama così ripetitiva e stereotipata.
I problemi in «Battery» sono tanti, animazioni escluse che risultano essere discrete e colonne sonore veramente gradevoli.
Il problema principale, parto subito pesante, sono i personaggi. Lo stereotipo dello stereotipo dello stereotipo. Il protagonista? Un ragazzino delle medie con l’arroganza di Seto Kaiba, la maleducazione di Vegeta, la spocchia di Sasuke Uchiha e il senso di sicurezza di Light Yagami. Un bimbetto che risponde male alla madre, fa l’irrispettoso con il nonno, alza la voce con gli amici, si ribella ai professori e sottomette il fratellino (o sorellina? Bah), serve altro? Ah già! Una personale auto-considerazione sportiva alla Benjamin Price (Genzō Wakabayashi per gli anti-girella) che Joe DiMaggio spostati.
Il vice-protagonista? Un ragazzone in forma con un discreto talento per il baseball, ma che soffre il complesso di inferiorità nei confronti del suo pseudo amico. Motivo che lo spinge ad impegnarsi tantissimo alla Bruce Harper (Ishizaki Ryō ancora per rimanere in tema). E mi fermo ai due personaggi principali altrimenti rischierei di fare danni.
Quindi: personaggi non molto riusciti (per non dire altro), ma almeno ci si divertirà con il baseball? No! Il baseball in quest’anime è marginale. Ah, piccola sottolineatura, è un anime sportivo sul baseball.
L’anime effettivamente si concentra molto più sui sentimenti dei personaggi, risultando così un titolo molto più sentimentale piuttosto che sportivo. Una scelta rischiosa, senza dubbio, ed è proprio abbracciando questo rischio che il titolo in questione risulta essere uno dei lavori peggio riusciti della categoria. Ma quale categoria? Boh.
Lento, inconcludente, noioso, ripetitivo, stereotipato…
Basta dai, titolo da lasciar stare.
L’anime, composto da undici episodi, è tratto da una serie di sei Light Novel scritte da Atsuko Asano e disegnate da Makiko Satou, pubblicate in Giappone tra il 1996 e il 2005.
L’anime in questione è stato realizzato dallo Zero-G, studio giapponese fondato nel 2011 che ha realizzato diverse opere ed ha partecipato recentemente a numerosi lavori come «DIVE!!», «Grand Blue» e «My Roommate is a Cat». In cabina di regia il lavoro è stato affidato a Tomomi Mochizuki.
Takumi Arada, un talentuoso lanciatore delle scuole medie, si trasferisce assieme ai suoi genitori a casa del nonno, in una località montana. Qui incontrerà Kou Nagakura, iscritto alla sua stessa scuola, un solare ed energico lanciatore, anch’egli appassionato di baseball. I due formeranno una coppia sul campo, un lanciatore e un battitore, costituendo così quella combinazione che nel baseball viene definita “battery”.
Non gioco a baseball, ma apprezzo il baseball, quindi già un discreto inizio. Pochi mesi dopo la visione di «MIX: MEISEI STORY» avrei visto volentieri un altro spokon sul baseball e, guardando nella lista dei titoli di Amazon Prime Video, l’occhio mi è caduto proprio su questo titolo. Quindi, perché non provarlo?
Ecco, già dal primo episodio è iniziata a trapelare una certa noia e un’evidente pesantezza. Due elementi che hanno sin da subito giocato un ruolo negativo su una trama così ripetitiva e stereotipata.
I problemi in «Battery» sono tanti, animazioni escluse che risultano essere discrete e colonne sonore veramente gradevoli.
Il problema principale, parto subito pesante, sono i personaggi. Lo stereotipo dello stereotipo dello stereotipo. Il protagonista? Un ragazzino delle medie con l’arroganza di Seto Kaiba, la maleducazione di Vegeta, la spocchia di Sasuke Uchiha e il senso di sicurezza di Light Yagami. Un bimbetto che risponde male alla madre, fa l’irrispettoso con il nonno, alza la voce con gli amici, si ribella ai professori e sottomette il fratellino (o sorellina? Bah), serve altro? Ah già! Una personale auto-considerazione sportiva alla Benjamin Price (Genzō Wakabayashi per gli anti-girella) che Joe DiMaggio spostati.
Il vice-protagonista? Un ragazzone in forma con un discreto talento per il baseball, ma che soffre il complesso di inferiorità nei confronti del suo pseudo amico. Motivo che lo spinge ad impegnarsi tantissimo alla Bruce Harper (Ishizaki Ryō ancora per rimanere in tema). E mi fermo ai due personaggi principali altrimenti rischierei di fare danni.
Quindi: personaggi non molto riusciti (per non dire altro), ma almeno ci si divertirà con il baseball? No! Il baseball in quest’anime è marginale. Ah, piccola sottolineatura, è un anime sportivo sul baseball.
L’anime effettivamente si concentra molto più sui sentimenti dei personaggi, risultando così un titolo molto più sentimentale piuttosto che sportivo. Una scelta rischiosa, senza dubbio, ed è proprio abbracciando questo rischio che il titolo in questione risulta essere uno dei lavori peggio riusciti della categoria. Ma quale categoria? Boh.
Lento, inconcludente, noioso, ripetitivo, stereotipato…
Basta dai, titolo da lasciar stare.