Recensione
Colorful (2010)
8.0/10
Recensione di pippo311lp
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«Colorful» è un film da guardare se sarete disposti a scendere ai suoi compromessi, vi potrà sorprendere nel finale con un colpo di scena che non ho volutamente approfondito in questa recensione. Il mio consiglio è quello di rallentare, dedicare 2 ore del vostro tempo a questa visione e imparare da questa storia di vita apprezzandone i dettagli.
Voglio subito spezzare una lancia in favore del film, non è drammatico quanto potrebbe sembrare dalla cover e dai primi minuti, i quali potrebbero trasmettere un senso di sconforto ricordandoci, se l'abbiamo visto, "La tomba delle lucciole" dello studio Ghibli. Entrambi i film iniziano in una stazione ferroviaria con diverse persone/anime in attesa del proprio turno, per accaparrarsi un viaggio che potrebbe cambiare la loro esistenza.
«Colorful» racconta la storia di un'anima macchiata da un gravissimo peccato, alla quale viene offerta una seconda possibilità per tornare in vita, solo a seguito del superamento di un test in cui prenderà possesso del corpo di un ragazzo di nome Makoto. L'anima reincarnata non avrà né i propri ricordi né quelli di Makoto, riceverà solo alcune informazioni dalla sua guida astrale, un'entità con l'aspetto di un ragazzino di nome Purapura. Avrà un duplice obiettivo, quello di scoprire le motivazioni che hanno portato Makoto a tentare il suicidio e provare a ricordare i propri peccati per redimersi. L’anima tenta di emulare la personalità di Makoto, restando all’interno del personaggio nel tentativo di “vestire i suoi panni”.
La storia ruota intorno alla famiglia e alle conoscenze di Makoto, seppur senza approfondimenti, in quanto la narrazione si concentra sulla quotidianità della vita del ragazzo eludendo persino le personalità dello sceneggiatore e del regista, che sembrano non esserci. Hanno deciso di filmare la storia di questa famiglia mostrando cosa succede nella loro vita dopo il tentativo di suicidio di Makoto. Sarà lo spettatore a dover cogliere le sfumature dei personaggi, le reazioni e stati d'animo non saranno filtrate o passate sotto lente di gradimento per essere immediatamente chiare a tutti. Makoto è il protagonista e la regia segue il suo punto di vista per raccontarci la storia.
Questo metodo narrativo mi ha colpito, funziona se riesce a coinvolgerti, entri a far parte di questa famiglia e inizi a vederne luci e ombre. In una famiglia non esiste “Io o Tu” c’è solo il “Noi” e in quella famiglia tutti hanno le proprie colpe. Partiamo proprio da Makoto, il più piccolo della famiglia, non si apre, interiorizza tutto e per giunta un giorno le sue due uniche fondamenta crollano nello stesso momento. Qualcuno dopo la visione potrebbe pensare che le motivazioni del suicidio siano state futili, ma non è forse vero che basta una goccia per far traboccare il vaso?
Il fratello di Makoto è un ragazzo superbo che non dimostra affetto, da l’idea di pensare solo a se stesso e fregarsene di chi gli sta intorno, “esteriormente” di fraterno non dimostra niente.
I figli hanno sicuramente ereditato dalla madre la sua incapacità di aprirsi ed esporre malcontenti e problemi, dopotutto lei è vittima e carnefice della situazione famigliare. Esterna le proprie frustrazioni attraverso il più primitivo istinto di ogni essere umano, il sesso, ma in assenza di dialogo con la famiglia, con il marito, la si può biasimare se cerca compagnia altrove?
Se la madre in una famiglia di solito è il collante, il padre è la figura di riferimento o dovrebbe esserlo. Apparentemente il padre di questa famiglia potrebbe non avere colpe, ma il silenzio è un’arma micidiale, la più pericolosa, colui che sa - e fa finta di non sapere - evitando di parlarne, non fa altro che aggravare la situazione, il dialogo è fondamentale in una coppia e in una famiglia.
In questo assordante silenzio si sviluppano i drammi e le incomprensioni, Makoto non perdona la madre e la tratta in modo barbaro, la donna cerca di tenere duro nonostante non abbia nessuno con cui poter parlare, il fratello continua ad essere distaccato e il padre continua a rimandare un confronto. Se il capitano non sa governare la sua nave, quella nave è destinata ad andare alla deriva.
Ritornando al concetto di narrazione, ho scritto “funziona se riesce a coinvolgerti”, poiché proprio la scelta narrativa ha in sé pregi e difetti. E’ lenta e poco incisiva se non riesci a seguire i suoi tempi, rischiando quindi di non apprezzare le sfumature di cui invece è ricca.
La storia racconta un sorta di espiazione di colpe per la famiglia e per questo motivo mi ha ricordato da alcuni punti di vista “A Silent Voice”, in cui la narrazione è simile, vera e senza filtri. Quantomeno in quest’ultimo la colonna sonora di tanto in tanto alza il livello di intrattenimento su schermo, si ricorda che è un film e non un documentario. La colonna sonora di «Colorful» fa bene il suo lavoro, accompagna sempre le scene mostrate su schermo con brani che si adattano alla perfezione ma non va mai oltre, non è la musica ad elevare le immagini ma si limita ad accompagnarle, segue fedelmente l’imparziale linea narrativa scelta. Qualche piccola rivisitazione e l’aggiunta di brani leggermente più ritmati ed indirizzati, avrebbero reso la storia più coinvolgente e fluida ad un più ampio bacino di spettatori.
Sono i suoni ambientali ed i rumori a fare da cornice alla colonna sonora, come le scarpe di Shoko che rumoreggiano esprimendo timidezza e impaccio mentre parla con Makoto, o il cinguettio degli uccelli che riempie il silenzio di un dialogo, ed ancora il suono delle bacchette di Makoto dedito a mangiare, che echeggia nella scena in cui la madre tenta di comunicare con un figlio disinteressato ed assente.
A mio parere si adattano bene alla narrazione scelta ed esaltano i momenti e i drammi vissuti dai personaggi, esprimo solo il timore che non vengano apprezzati in quanto lo spettatore medio potrebbe non coglierli. Menzione speciale per il brano “Tegami Haikei Juugo No Kimi He”, che nella parte finale del film apre un dialogo in sottofondo e lo chiude in crescendo. Bello il testo del brano “Aozora” cantato da Miwa che ritma i titoli di coda.
Graficamente la serie si attesta su buoni livelli, quasi tutte le ambientazioni fanno uso di fotografie dal vero riarrangiate poi al computer per animarle e fonderle all’insieme. Le animazioni sono fluide e pulite anche se forse in alcune scene si poteva fare qualcosina di più. L’espressività dei personaggi è ben rappresentata, a volte anche un po’ esasperata per poter rendere al meglio le emozioni, ma sempre corretta e mai fastidiosa. La palette cromatica utilizzata è neutra, la sua particolarità risiede nell’adattare saturazione e luminosità dei colori agli sfondi, in relazione alla vivacità della scena, e ai soggetti in relazione ai loro stati emotivi.
Il film vuole insegnarci ad apprezzare le sfumature di colore di noi stessi e di chi ci sta intorno, stimare chi abbiamo vicino valorizzandolo. Ci ricorda che fare una carezza, regalare un sorriso, donare un abbraccio o un saluto non sono scontati e creano legami. Di contro una ramanzina, una discussione, un confronto non sono mai superflui, ma aiutano a relazionarsi e crescere insieme.
Voglio subito spezzare una lancia in favore del film, non è drammatico quanto potrebbe sembrare dalla cover e dai primi minuti, i quali potrebbero trasmettere un senso di sconforto ricordandoci, se l'abbiamo visto, "La tomba delle lucciole" dello studio Ghibli. Entrambi i film iniziano in una stazione ferroviaria con diverse persone/anime in attesa del proprio turno, per accaparrarsi un viaggio che potrebbe cambiare la loro esistenza.
«Colorful» racconta la storia di un'anima macchiata da un gravissimo peccato, alla quale viene offerta una seconda possibilità per tornare in vita, solo a seguito del superamento di un test in cui prenderà possesso del corpo di un ragazzo di nome Makoto. L'anima reincarnata non avrà né i propri ricordi né quelli di Makoto, riceverà solo alcune informazioni dalla sua guida astrale, un'entità con l'aspetto di un ragazzino di nome Purapura. Avrà un duplice obiettivo, quello di scoprire le motivazioni che hanno portato Makoto a tentare il suicidio e provare a ricordare i propri peccati per redimersi. L’anima tenta di emulare la personalità di Makoto, restando all’interno del personaggio nel tentativo di “vestire i suoi panni”.
La storia ruota intorno alla famiglia e alle conoscenze di Makoto, seppur senza approfondimenti, in quanto la narrazione si concentra sulla quotidianità della vita del ragazzo eludendo persino le personalità dello sceneggiatore e del regista, che sembrano non esserci. Hanno deciso di filmare la storia di questa famiglia mostrando cosa succede nella loro vita dopo il tentativo di suicidio di Makoto. Sarà lo spettatore a dover cogliere le sfumature dei personaggi, le reazioni e stati d'animo non saranno filtrate o passate sotto lente di gradimento per essere immediatamente chiare a tutti. Makoto è il protagonista e la regia segue il suo punto di vista per raccontarci la storia.
Questo metodo narrativo mi ha colpito, funziona se riesce a coinvolgerti, entri a far parte di questa famiglia e inizi a vederne luci e ombre. In una famiglia non esiste “Io o Tu” c’è solo il “Noi” e in quella famiglia tutti hanno le proprie colpe. Partiamo proprio da Makoto, il più piccolo della famiglia, non si apre, interiorizza tutto e per giunta un giorno le sue due uniche fondamenta crollano nello stesso momento. Qualcuno dopo la visione potrebbe pensare che le motivazioni del suicidio siano state futili, ma non è forse vero che basta una goccia per far traboccare il vaso?
Il fratello di Makoto è un ragazzo superbo che non dimostra affetto, da l’idea di pensare solo a se stesso e fregarsene di chi gli sta intorno, “esteriormente” di fraterno non dimostra niente.
I figli hanno sicuramente ereditato dalla madre la sua incapacità di aprirsi ed esporre malcontenti e problemi, dopotutto lei è vittima e carnefice della situazione famigliare. Esterna le proprie frustrazioni attraverso il più primitivo istinto di ogni essere umano, il sesso, ma in assenza di dialogo con la famiglia, con il marito, la si può biasimare se cerca compagnia altrove?
Se la madre in una famiglia di solito è il collante, il padre è la figura di riferimento o dovrebbe esserlo. Apparentemente il padre di questa famiglia potrebbe non avere colpe, ma il silenzio è un’arma micidiale, la più pericolosa, colui che sa - e fa finta di non sapere - evitando di parlarne, non fa altro che aggravare la situazione, il dialogo è fondamentale in una coppia e in una famiglia.
In questo assordante silenzio si sviluppano i drammi e le incomprensioni, Makoto non perdona la madre e la tratta in modo barbaro, la donna cerca di tenere duro nonostante non abbia nessuno con cui poter parlare, il fratello continua ad essere distaccato e il padre continua a rimandare un confronto. Se il capitano non sa governare la sua nave, quella nave è destinata ad andare alla deriva.
Ritornando al concetto di narrazione, ho scritto “funziona se riesce a coinvolgerti”, poiché proprio la scelta narrativa ha in sé pregi e difetti. E’ lenta e poco incisiva se non riesci a seguire i suoi tempi, rischiando quindi di non apprezzare le sfumature di cui invece è ricca.
La storia racconta un sorta di espiazione di colpe per la famiglia e per questo motivo mi ha ricordato da alcuni punti di vista “A Silent Voice”, in cui la narrazione è simile, vera e senza filtri. Quantomeno in quest’ultimo la colonna sonora di tanto in tanto alza il livello di intrattenimento su schermo, si ricorda che è un film e non un documentario. La colonna sonora di «Colorful» fa bene il suo lavoro, accompagna sempre le scene mostrate su schermo con brani che si adattano alla perfezione ma non va mai oltre, non è la musica ad elevare le immagini ma si limita ad accompagnarle, segue fedelmente l’imparziale linea narrativa scelta. Qualche piccola rivisitazione e l’aggiunta di brani leggermente più ritmati ed indirizzati, avrebbero reso la storia più coinvolgente e fluida ad un più ampio bacino di spettatori.
Sono i suoni ambientali ed i rumori a fare da cornice alla colonna sonora, come le scarpe di Shoko che rumoreggiano esprimendo timidezza e impaccio mentre parla con Makoto, o il cinguettio degli uccelli che riempie il silenzio di un dialogo, ed ancora il suono delle bacchette di Makoto dedito a mangiare, che echeggia nella scena in cui la madre tenta di comunicare con un figlio disinteressato ed assente.
A mio parere si adattano bene alla narrazione scelta ed esaltano i momenti e i drammi vissuti dai personaggi, esprimo solo il timore che non vengano apprezzati in quanto lo spettatore medio potrebbe non coglierli. Menzione speciale per il brano “Tegami Haikei Juugo No Kimi He”, che nella parte finale del film apre un dialogo in sottofondo e lo chiude in crescendo. Bello il testo del brano “Aozora” cantato da Miwa che ritma i titoli di coda.
Graficamente la serie si attesta su buoni livelli, quasi tutte le ambientazioni fanno uso di fotografie dal vero riarrangiate poi al computer per animarle e fonderle all’insieme. Le animazioni sono fluide e pulite anche se forse in alcune scene si poteva fare qualcosina di più. L’espressività dei personaggi è ben rappresentata, a volte anche un po’ esasperata per poter rendere al meglio le emozioni, ma sempre corretta e mai fastidiosa. La palette cromatica utilizzata è neutra, la sua particolarità risiede nell’adattare saturazione e luminosità dei colori agli sfondi, in relazione alla vivacità della scena, e ai soggetti in relazione ai loro stati emotivi.
Il film vuole insegnarci ad apprezzare le sfumature di colore di noi stessi e di chi ci sta intorno, stimare chi abbiamo vicino valorizzandolo. Ci ricorda che fare una carezza, regalare un sorriso, donare un abbraccio o un saluto non sono scontati e creano legami. Di contro una ramanzina, una discussione, un confronto non sono mai superflui, ma aiutano a relazionarsi e crescere insieme.