Recensione
Erased
8.5/10
Chi di noi non ha mai provato la sensazione così familiare, in parte nostalgica e al contempo straniante del déjà vu? Fenomeno psichico che, con una definizione frettolosa e forse impropria, viene considerato una sorta di “falso riconoscimento”. Non ci sono certezze inossidabili in merito, ma tutto mi è sempre sembrato fuorché un falso riconoscimento. Mi è sempre piaciuto pensare, non avendo nemmeno io certezze in merito alla questione, né dottrinarie e né tanto meno scientifiche, che i déjà vu siano segnali o tracce improvvise di vite da noi precedentemente vissute, manifestazioni di un karma che cerca di sciogliere i suoi nodi lungo l’arco di una delle diverse esistenze che ci sono concesse e che l’inconscio probabilmente cela alla coscienza, allo stato di veglia. Del resto, il déjà vu è fatto della sostanza dei sogni, a ben guardare, così impalpabili e indecifrabili eppure così potenti e fonte di un’energia impossibile da classificare secondo canoni empirici. "Erased – La città in cui io non ci sono", è un anime che si serve di questo semplice eppur controverso espediente narrativo, il déjà-vu appunto, per raccontarci una storia che fonde diversi registri narrativi e la cui superficie di genere può esser considerata come thriller dalle atmosfere nostalgiche.
Satoru è un ventinovenne che lavora come fattorino a Tokyo, ma è anche un’aspirante mangaka le cui possibilità sono al momento frustrate da una certa impersonalità e mancanza d’empatia nella caratterizzazione delle storie proposte. Satoru però ha un potere particolare a tutti ignoto, ovvero quello di tornare indietro nel tempo di pochi minuti, indipendentemente dalla sua volontà, per prevenire un evento nefasto e salvare la vita alle persone. Egli lo chiama “revival”, ed è in effetti una sorta di déjà-vu. Un giorno, però, in seguito ad un tragico evento, Satoru viene catapultato nel passato fino nel 1988, al tempo in cui aveva appena 11 anni. Un revival inatteso e di portata temporale assolutamente inconsueta rispetto ai precedenti. Ma non è casuale il tempo in cui è stato calato e nel quale si ritrova fanciullo, in quanto in quel lontano passato si erano consumati eventi delittuosi ai danni di alcune sue compagne di scuola. Satoru capisce che è tornato indietro nel tempo per scongiurare quei delitti e per evitare la tragedia che dal presente lo aveva catapultato nel passato. Deciso a portare a compimento la delicata missione che un fato inconoscibile e beffardo gli aveva affidato, in un primo momento si mette sulle tracce di un killer seriale che in quel periodo aveva ucciso tre sue coetanee, cercando di proteggerne una in particolare: Kayo. Ma nonostante gli sforzi e la consapevolezza di aver cambiato in parte il passato, non riesce a salvare Kayo e si ritrova ricatapultato improvvisamente nel presente e braccato per un delitto che non ha commesso. Ma i viaggi a ritroso nel tempo non sono terminati, e Satoru avrà modo di tornare nel 1988 per venire a capo di un mistero che lega indissolubilmente il passato al presente, e che cambierà per sempre il suo futuro.
Nel raccontarvi per sommi capi la vicenda ho cercato di fornire meno informazioni possibili su un anime la cui complessità narrativa non è data solo dagli sbalzi temporali, peraltro non così numerosi come forse immaginabile, quanto per una effettiva commistione tra i generi che rende assolutamente affascinante questa storia, ed una evoluzione dei personaggi che non è possibile – né interessante per chi legge – approfondire in sede di presentazione. "Erased" è un anime decisamente più da guardare che da raccontare, per l’interessante sviluppo della storia e per il modo con il quale Tomohiko Itō ha scelto di proporcela. Tratto da un manga di successo in madrepatria, "Boku dake ga inai machi" (La città in cui io non ci sono), "Erased" si avvale di ottime caratterizzazioni animate e di una regia che sceglie un affascinante espediente visivo, quello di cambiare il formato video nel momento in cui dal presente emergono le immagini del passato, attraverso l’ausilio delle bande nere che danno l’effetto pellicola, la cui sensazione è quella di vedere un film nel film. Una sorta di specchio nello specchio, quello nel quale ritrovare il riflesso dei vortici temporali che ci raccontano apparentemente la stessa storia ma che, in realtà, proprio per la determinazione del protagonista e in ossequio a una concezione circolare del tempo (non solo psicologico) e del racconto (e più in generale della vita, della realtà vissuta), sempre cara alla cultura e alla tradizione nipponica, sono aperture per nuove storie, nuovi mondi, nuove realtà. E infatti sono molteplici le possibilità con cui la vicenda, per Satoru, può terminare. E ad ogni sbalzo temporale il ragazzo/bambino ne è sempre più consapevole.
Quali sono i punti fermi da mantenere, allora? L’importante, certo, è salvare le tre bambine ed evitare un futuro nefasto, ma il protagonista avrà modo anche di evolvere personalmente in questo viaggio così indecifrabile ed irto di insidie, non ultima un assassino di cui si ignora l’identità. Senza svelarvi alcunché sugli snodi essenziali e conclusivi della vicenda, voglio comunque soffermarmi su un punto a mio modo di vedere fondamentale nell’interpretazione di Erased, che è senza dubbio quello sulla definizione del genere. Se lo approcciate esclusivamente come un thriller, soffermandovi solo sui meccanismi classici di genere, forse non lo apprezzerete come merita, in quanto l’assassino è facilmente intuibile dal principio e nemmeno troppo celato, a ben guardare. In più, dal punto di vista strettamente narrativo, come thriller e come storia in generale soffre di una certa asimmetria tra prima (piena di spunti notevoli) e seconda (un po’ accelerata, ma era inevitabile) parte, e non tutto è sviluppato come dovrebbe lasciando aperto qualche interrogativo di troppo. Ma la forza di Erased non è nella sua congruenza narrativa, nella sua presunta aderenza al genere e nemmeno nell’indagine psicologica dei personaggi sulla ribalta, quanto invece nell’emozione complessiva che restituisce, nel suo alone nostalgico e malinconico, nell’originalità di una storia che era davvero difficile restituire in soli 12 episodi. Ce ne sarebbero voluti almeno 6-7 di più per coprire quei buchi che l’anime in formato così breve non poteva assolutamente colmare come invece, a quanto pare, riesce a fare il manga di riferimento. Ottimo anche il comparto musicale, con l’orecchiabile e suggestiva opening, "Re:Re:", degli Asian Kung-Fu Generation, e la gradevole ending, "Sore wa chiisana hikari no yona" (Sembrava una piccola luce), di Sayuri.
Il tema forte che emerge e che si fa spazio tra le pieghe del mistery è quello dell’amicizia, costruita nella rete relazionale dell’infanzia e talmente forte da resistere al tempo, fino ad essere fondamentale per rimettere a posto i tasselli delle vite spezzate o interrotte in un presente che è forse un futuro alternativo, o solamente uno dei tanti frammenti di un tempo circolare e di un karma che ricompone magicamente i vissuti dei personaggi nel qui ed ora. In questo senso, il parallelo più prossimo con altre serie anime è più che altro con l’altrettanto intenso Ano Hana, nel quale peraltro il discorso sui motivi del destino e del karma era ben più scoperto e centrale per l’evoluzione del racconto. In "Erased" è il sentimento che resiste al tempo e alle circostanze, ad un fato che è tutt’altro che ineluttabile ma al contrario modificabile grazie a un dono inconsueto e razionalmente inverosimile ma al servizio di azioni umane più che umane, di una determinazione del protagonista che sceglie di rischiare la sua stessa vita per salvare quella degli altri. E questo suo spirito, così potente nel corpo di un esile bambino, non solo cambierà i destini di chi gli è intorno ma sopravviverà a un sonno creduto definitivo, quando arriverà l’inatteso risveglio. Il bellissimo titolo, "Boku dake ga inai machi – La città in cui io non ci sono", è proprio riferito a questo, al fatto che Satoru ha modificato e costruito ricordi i quali, grazie al continuo mutare degli scenari in cui si è ritrovato ad agire nei salti temporali, resteranno solo nella sua memoria.
Satoru è un ventinovenne che lavora come fattorino a Tokyo, ma è anche un’aspirante mangaka le cui possibilità sono al momento frustrate da una certa impersonalità e mancanza d’empatia nella caratterizzazione delle storie proposte. Satoru però ha un potere particolare a tutti ignoto, ovvero quello di tornare indietro nel tempo di pochi minuti, indipendentemente dalla sua volontà, per prevenire un evento nefasto e salvare la vita alle persone. Egli lo chiama “revival”, ed è in effetti una sorta di déjà-vu. Un giorno, però, in seguito ad un tragico evento, Satoru viene catapultato nel passato fino nel 1988, al tempo in cui aveva appena 11 anni. Un revival inatteso e di portata temporale assolutamente inconsueta rispetto ai precedenti. Ma non è casuale il tempo in cui è stato calato e nel quale si ritrova fanciullo, in quanto in quel lontano passato si erano consumati eventi delittuosi ai danni di alcune sue compagne di scuola. Satoru capisce che è tornato indietro nel tempo per scongiurare quei delitti e per evitare la tragedia che dal presente lo aveva catapultato nel passato. Deciso a portare a compimento la delicata missione che un fato inconoscibile e beffardo gli aveva affidato, in un primo momento si mette sulle tracce di un killer seriale che in quel periodo aveva ucciso tre sue coetanee, cercando di proteggerne una in particolare: Kayo. Ma nonostante gli sforzi e la consapevolezza di aver cambiato in parte il passato, non riesce a salvare Kayo e si ritrova ricatapultato improvvisamente nel presente e braccato per un delitto che non ha commesso. Ma i viaggi a ritroso nel tempo non sono terminati, e Satoru avrà modo di tornare nel 1988 per venire a capo di un mistero che lega indissolubilmente il passato al presente, e che cambierà per sempre il suo futuro.
Nel raccontarvi per sommi capi la vicenda ho cercato di fornire meno informazioni possibili su un anime la cui complessità narrativa non è data solo dagli sbalzi temporali, peraltro non così numerosi come forse immaginabile, quanto per una effettiva commistione tra i generi che rende assolutamente affascinante questa storia, ed una evoluzione dei personaggi che non è possibile – né interessante per chi legge – approfondire in sede di presentazione. "Erased" è un anime decisamente più da guardare che da raccontare, per l’interessante sviluppo della storia e per il modo con il quale Tomohiko Itō ha scelto di proporcela. Tratto da un manga di successo in madrepatria, "Boku dake ga inai machi" (La città in cui io non ci sono), "Erased" si avvale di ottime caratterizzazioni animate e di una regia che sceglie un affascinante espediente visivo, quello di cambiare il formato video nel momento in cui dal presente emergono le immagini del passato, attraverso l’ausilio delle bande nere che danno l’effetto pellicola, la cui sensazione è quella di vedere un film nel film. Una sorta di specchio nello specchio, quello nel quale ritrovare il riflesso dei vortici temporali che ci raccontano apparentemente la stessa storia ma che, in realtà, proprio per la determinazione del protagonista e in ossequio a una concezione circolare del tempo (non solo psicologico) e del racconto (e più in generale della vita, della realtà vissuta), sempre cara alla cultura e alla tradizione nipponica, sono aperture per nuove storie, nuovi mondi, nuove realtà. E infatti sono molteplici le possibilità con cui la vicenda, per Satoru, può terminare. E ad ogni sbalzo temporale il ragazzo/bambino ne è sempre più consapevole.
Quali sono i punti fermi da mantenere, allora? L’importante, certo, è salvare le tre bambine ed evitare un futuro nefasto, ma il protagonista avrà modo anche di evolvere personalmente in questo viaggio così indecifrabile ed irto di insidie, non ultima un assassino di cui si ignora l’identità. Senza svelarvi alcunché sugli snodi essenziali e conclusivi della vicenda, voglio comunque soffermarmi su un punto a mio modo di vedere fondamentale nell’interpretazione di Erased, che è senza dubbio quello sulla definizione del genere. Se lo approcciate esclusivamente come un thriller, soffermandovi solo sui meccanismi classici di genere, forse non lo apprezzerete come merita, in quanto l’assassino è facilmente intuibile dal principio e nemmeno troppo celato, a ben guardare. In più, dal punto di vista strettamente narrativo, come thriller e come storia in generale soffre di una certa asimmetria tra prima (piena di spunti notevoli) e seconda (un po’ accelerata, ma era inevitabile) parte, e non tutto è sviluppato come dovrebbe lasciando aperto qualche interrogativo di troppo. Ma la forza di Erased non è nella sua congruenza narrativa, nella sua presunta aderenza al genere e nemmeno nell’indagine psicologica dei personaggi sulla ribalta, quanto invece nell’emozione complessiva che restituisce, nel suo alone nostalgico e malinconico, nell’originalità di una storia che era davvero difficile restituire in soli 12 episodi. Ce ne sarebbero voluti almeno 6-7 di più per coprire quei buchi che l’anime in formato così breve non poteva assolutamente colmare come invece, a quanto pare, riesce a fare il manga di riferimento. Ottimo anche il comparto musicale, con l’orecchiabile e suggestiva opening, "Re:Re:", degli Asian Kung-Fu Generation, e la gradevole ending, "Sore wa chiisana hikari no yona" (Sembrava una piccola luce), di Sayuri.
Il tema forte che emerge e che si fa spazio tra le pieghe del mistery è quello dell’amicizia, costruita nella rete relazionale dell’infanzia e talmente forte da resistere al tempo, fino ad essere fondamentale per rimettere a posto i tasselli delle vite spezzate o interrotte in un presente che è forse un futuro alternativo, o solamente uno dei tanti frammenti di un tempo circolare e di un karma che ricompone magicamente i vissuti dei personaggi nel qui ed ora. In questo senso, il parallelo più prossimo con altre serie anime è più che altro con l’altrettanto intenso Ano Hana, nel quale peraltro il discorso sui motivi del destino e del karma era ben più scoperto e centrale per l’evoluzione del racconto. In "Erased" è il sentimento che resiste al tempo e alle circostanze, ad un fato che è tutt’altro che ineluttabile ma al contrario modificabile grazie a un dono inconsueto e razionalmente inverosimile ma al servizio di azioni umane più che umane, di una determinazione del protagonista che sceglie di rischiare la sua stessa vita per salvare quella degli altri. E questo suo spirito, così potente nel corpo di un esile bambino, non solo cambierà i destini di chi gli è intorno ma sopravviverà a un sonno creduto definitivo, quando arriverà l’inatteso risveglio. Il bellissimo titolo, "Boku dake ga inai machi – La città in cui io non ci sono", è proprio riferito a questo, al fatto che Satoru ha modificato e costruito ricordi i quali, grazie al continuo mutare degli scenari in cui si è ritrovato ad agire nei salti temporali, resteranno solo nella sua memoria.