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Vola alta la fantasia generatrice sulle ali della fanciullezza, per sua natura incline all’indagine dell’irrazionale; tanto più irrazionale quanto più ignoto, misterioso e propedeutico a innescare nell’animo ancora parzialmente incontaminato, nonostante le innumerevoli informazioni che oggi arrivano anche a questa età, quel senso di epifania che un adulto può solo ricordare con vaga, quanto irrinunciabile nostalgia. E “Penguin Highway” potrebbe essere davvero tutto qui e sarebbe senz’altro sufficiente a renderci lieto il prosieguo della giornata, ma l’opera d’esordio dell’ottimo Ishida va ben oltre la semplice appartenenza al genere, per incontrare tematiche che strizzano l’occhio a un pubblico certamente più adulto rispetto a quello dei coetanei del protagonista di questa storia. Per quanto l’opera possa avere un suo naturale target di riferimento, sorprende decisamente il modo in cui è ben caratterizzato il piccolo Aoyama, il quale nonostante in principio possa dare l’impressione di essere saccente, pieno di sé e poco incline al confronto con i pari età, si rivelerà al contrario, man mano che la storia sviluppa i motivi essenziali, un bambino sensibile, aperto al confronto, allo stesso tempo responsabile e avventato quanto basta per superare ciò che la ragione non aiuta a comprendere. Fino ad accettare anche il sopraggiungere del dubbio, la gioia della condivisione, l’aiuto dell’altro, il senso di vuoto dovuto alla perdita di chi si ama. Il tutto all’interno di una storia bizzarra, agile nella sua struttura e lieve come può esserlo un vento di primavera, ma profonda quanto basta per far emergere dal contesto surreale suggestioni di una certa complessità e sentimenti che reali lo sono più che mai. Sentimenti che non hanno tempo né età, né tanto meno un confine tematico entro cui debbano essere necessariamente circoscritti.

Tra sci-fi e racconto di formazione, la vicenda si sviluppa attraverso le riflessioni, i dubbi, le scoperte e le prese di coscienza del piccolo Aoyama, e incentra i suoi sui motivi più intimi ed esistenziali sul rapporto tra il bambino e la sorellona, alternando sapientemente serio e faceto, e poggiando tutto ciò su dialoghi non banali, soprattutto considerando il gap dovuto alla differenza d’età tra i due personaggi principali. “Quando si va lontanissimo si finisce per arrivare al punto di partenza”, dice la sorellona ad Aoyama, circa a metà della pellicola. “Penguin Highway” evidenzia più volte questa circolarità, sia narrativa che “filosofica”, se così la si può definire, questo tornare al punto di partenza dopo un lungo percorso, che sia reale o ideale non importa. Quello che l’opera ci tiene in effetti a rimarcare è che ciò che conta è il percorso, rispetto all’approdo. Evidente il richiamo ai fondamenti della dottrina shintoista, e più in generale a una ciclicità della vita che permea da secoli la cultura giapponese e larga parte delle filosofie estremo orientali. A differenza di “Weathering with You”, del pur bravo Makoto Shinkai, qui il richiamo alla dottrina tradizionale nipponica non è un puro pretesto per giustificare l’elemento fantastico, ma ha una precisa valenza narrativa, a partire proprio dall’apparizione dei pinguini. Molto più in linea con il cinema di Hayao Miyazaki, da questo peculiare punto vista, l’opera di Ishida attinge al culto animista e alla dimensione che trascende la realtà non tanto per indagare la dimensione stessa o spiegarne l’improvvisa comparsa, quanto per dimostrare che i sentimenti umani restano tali anche di fronte al mistero più insondabile. “Il mondo diventa sempre più assurdo. Dici che è un problema?” Chiede in un momento non semplice, ma con fare quasi divertito, la sorellona a Aoyama. È una domanda meno retorica e banale di ciò che in apparenza può sembrare e prelude al pirotecnico finale, nel quale scopriremo che la via dei pinguini non è altro che un tragitto per entrare in contatto con una dimensione parallela (quelle tipiche dei romanzi di Haruki Murakami, per intenderci) che gli esseri umani, in particolari circostanze, hanno la possibilità di attraversare.

La pellicola si avvale di un apparato tecnico di buonissimo livello che poggia su animazioni piacevoli, pur non essendo originalissime, su una solida regia e su un supporto sonoro adeguato. Da un’idea buffa e stravagante, ne deriva dunque un film animato che si eleva decisamente oltre la media di genere, dando l’opportunità a Ishida, utilizzando al meglio il testo di Tomihiko Morimi, di mostrare in modo riconoscibile, già da questo primo lungometraggio, la sua personale poetica cinematografica, la quale sembra dichiarare i suoi debiti nei confronti dell’opera del compianto maestro Satoshi Kon e di quella, più recente, di un altro grande regista come Mamoru Hosoda.

“Penguin Highway” è un anime certamente da vedere, forte di una storia che coinvolge più per come innesta i motivi sentimentali in una dinamica buffa e surreale che per la sua cornice fantasy. Si concentra sui personaggi, evitando volutamente le spiegazioni su tutto ciò che di straordinario avviene, e chiude su note malinconiche, non negando agli spettatori quel filo di commozione che dà sostanza ai sentimenti che emergono nell’agrodolce epilogo.