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5.5/10
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Se potessimo associare Il film "Hal" a uno studente, sarebbe quell'alunno che eccelle in qualche materia, avrebbe capacità di poter ottenere buoni voti contando solo sulle sue qualità, ma invece scopiazza dai compagni per superare la verifica, atteggiandosi come se fosse migliore, ma a conti fatti, nel momento dell’esame finale si dimostra un quaquaraquà.

"Hal" ha un buon comparto tecnico, una buona colonna sonora che regala brani non scontati, che riescono a enfatizzare i momenti mostrati su schermo. Un discreto comparto artistico in cui la scelta cromatica risulta azzeccata, colorata, ma non eccessivamente satura, rilassante. Sfondi pieni di dettagli, descrivono bene l’ambiente in cui si svolgono le vicende, ma sempre limitati da un campo visivo abbastanza ristretto. Animazioni piacevoli e un character design particolare, curato dalla bravissima mangaka Io Sakisaka (autrice di “A un passo da te”, “Strobe Edges” e “Amarsi, Lasciarsi”), permettono al film di avere tutte le carte in regola per poter raccontare una storia appassionante, delicata ma al tempo stesso d’impatto. Eppure fallisce a causa di una sceneggiatura fin troppo pretenziosa.

La sceneggiatura, con l'obiettivo di disorientare lo spettatore, lo accompagna per tutta la durata del film a credere una realtà diversa, così da assicurarsi l’effetto “wow” per il colpo di scena finale. Per quanto il colpo di scena sia effettivamente poco prevedibile perché ben mascherato, è causa del contraccolpo che subiscono tutti gli elementi della storia. Si parla del dolore per la scomparsa di una persona amata e come soluzione a ciò, ci viene proposta la cibernetica, senza che venga spiegato il suo funzionamento, nonostante ci venga imposta una visione di tale tecnologia, e sottolineo, una triste visione di tale tecnologia, il tutto è lasciato ad una presunta conoscenza dello spettatore.
Il prodotto manca di approfondimento proprio nei suoi elementi essenziali.
Non basta un corpo che abbia le stesse fattezze della persona amata per poter prendere il suo posto. L’amore che ci viene mostrato tra i due ragazzi è vero, è fatto di parole dolci, promesse, ma anche litigi e discussioni, perciò un corpo non basta per rendere felice chi è rimasto in vita come la serie vuole alludere, è un'illusione, una triste illusione. La simulazione della personalità può avvenire solo in presenza di elementi da cui attingere, non è possibile simulare qualcosa da pochi dati soggettivi. Siamo yin e yang allo stesso tempo e questo determina la nostra personalità.
Inoltre l’elemento cibernetico non è inserito bene nell’atmosfera della serie, eppure è predominante, è cardine negli sviluppi ma al tempo stesso non approfondito. Non chiarisce se è una società tecnologicamente molto più avanzata della nostra, in cui i robot sono parte integrante della comunità, oppure è una società predominata dai robot come vuole suggerire un breve flashback. Tuttavia in un'ora di film ci viene mostrato un unico esemplare di robot, quasi come se quella tecnologia fosse estinta.

La storia dei due ragazzi è triste, colpisce emotivamente lo spettatore, ma al tempo stesso si dimostra vuota, senza identità, a causa di troppi elementi scopiazzati da altre storie simili e nemmeno personalizzati o approfonditi, il tutto contornato da sviluppi troppo rapidi e prevedibili, ma anche se banali, avrebbero potuto regalare una conclusione più interessante. Invece tutto viene mandato alle ortiche per il colpo di scena finale, che nel sorprendere cosi prepotentemente, distrugge tutto ciò che era stato discretamente seminato nei cinquanta minuti antecedenti.
Il film si conclude quindi con un nulla di fatto, un buco nell’acqua, sembra ci sia stata una risoluzione, un passo avanti, ma questo non ci viene confermato, anzi le ultimissime scene lasciano intendere una realtà ancora più triste e solitaria di come l’avevamo conosciuta.