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10.0/10
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È strano descrivere che cosa rappresenta per me questo anime, perché è sempre inusuale trovare un’opera che descrive la propria vita, almeno in parte.

Non vorrei soffermarmi troppo sul comparto tecnico, che comprende regia (cristallina, che inquadra spesso i personaggi al centro di scene vuote per far trasparire la solitudine, o che si sofferma sui loro volti, che traboccano di emozioni), animazioni e grafiche (perfette, sia nei momenti più ilari, che in quelli drammatici e nelle performance musicali, in cui ogni dettaglio è curato fino all’inverosimile e le movenze sono estremamente realistiche), e musiche (di rara bellezza, sia la colonna sonora, che le scelte stilistiche dei brani suonati dai personaggi della storia).
Altro aspetto molto accurato è la raffigurazione del mondo della musica classica: viene analizzata la paura di sbagliare, di deludere le aspettative, la voglia di sorprendere e di trasmettere, viene mostrato il crudele e incredibilmente complesso mondo dei concorsi, dei giudizi, dei partecipanti e della competizione che vige fra loro. Temi di cui raramente si è a conoscenza se non si è parte di questo mondo, poiché sovente associati a quello dello sport e non alla musica.

Tuttavia, ciò che più colpisce di “Shigatsu wa Kimi no Uso” è di per sé la storia; apparentemente molto semplice, quasi scontata, in cui si racconta di vicende adolescenziali, romantiche o meno, via via acquista una sfumatura sempre più originale e drammatica. I personaggi principali attorno a cui si sviluppa, molto ben caratterizzati, con tratti distintivi e realistici, contribuiscono a costituire un’opera corale, in cui è il gruppo di amici e rivali che assume significato, grazie alle relazioni tra i singoli e, soprattutto, alla musica che li unisce, ma non solo: all’interno dell’opera, ogni personaggio ha un proprio spazio e un proprio significato, che si comprende analizzando i numerosi momenti introspettivi che si alternano alle scene diegetiche. Ognuno infatti ha una propria psicologia, dei propri sentimenti, dei pensieri e delle azioni conseguenti. Tutti si trovano a dover affrontare qualche tipo di sfida, di ostacolo, di paura, di battaglia, e ognuno lo fa in modo differente, combattendo con coraggio o meno, rinnegando il proprio passato e vivendo nelle illusioni, ignorando tutto il resto per concentrarsi univocamente sulla propria guerra.

Tra tutti, tuttavia, è la perdita il mostro più temibile da affrontare: c’è chi sta perdendo la sua vita, chi il suo eroe, chi il proprio fratello, il figlio, il migliore amico, la propria madre o l’amata, chi ha perso la possibilità di diventare qualcuno, chi ha perso la capacità di sentire, chi ha perso e basta.
Ciò che è comune a Kaori, Kousei, Tsubaki, Watari, Emi, Takeshi, Nagi, Saki è l’isolamento in cui vivono, è la disincantata consapevolezza che ognuno è solo nella propria vita. Nessuno di loro, difatti, riesce a esternare le proprie sensazioni, a chiedere aiuto, a trovare una spalla su cui sorreggersi. Nessuno cerca il conforto di qualcun altro per far fronte al proprio dolore, e con il progredire della trama questo aspetto si affievolisce. Si impara ad ascoltare e a parlare, ad aiutare e a farsi aiutare.
E proprio questo viene approfondito nella trattazione della malattia di Kaori: dalla sua storia traspaiono la difficoltà di accettazione, la vergogna di mostrare la debolezza, la lotta per farvi fronte, la perdita delle speranze, il coraggio di lottare nonostante sia la fine, la sofferenza di dover abbandonare le esperienze vissute e le persone amate, la rinuncia alla propria vita.

Il tema principale dell’opera è sicuramente quello della dicotomia tra rinascita e morte, che si può ritrovare in numerosi aspetti che legano i due protagonisti (le differenti sfumature di colore dei capelli di Kaori e degli occhi di Kousei all’inizio e alla fine dell’opera, il fatto che, mentre nell’incipit è soprattutto Kaori che suona, progressivamente è Kousei a partecipare alle competizioni). Mentre Kaori si sta lentamente spegnendo a causa della sua malattia, è proprio l’incontro con Kousei che donerà nuovamente significato ai suoi ultimi mesi e le consentirà di ritrovare il coraggio e allo stesso tempo farà rinascere Kousei come musicista e come persona, nonostante l’epilogo presupponga la morte della ragazza, affrontata con una tale delicatezza ed espressività da risultare contemporaneamente realistica (poiché nella vita, spesso, anche dopo una dura lotta, non si vince) ed eterea (raffigurata come una piuma che cade dolcemente dal cielo, come i petali di ciliegio o come dei fiocchi di neve bianca).

Altro punto di fondamentale importanza è la bugia: non solo quella più palese, detta dalla protagonista all’inizio dell’opera, che ha permesso a tutte le vicende narrate di verificarsi, ma sono comprese anche tutte quelle che ciascuno dei personaggi racconta a sé stesso o agli altri. Kaori mente riguardo la sua malattia, Kousei mente riguardo il rapporto con la madre, mente a sé stesso riguardo i suoni e ha un blocco psicologico tale da non riuscire più a udire, Tsubaki mente a sé stessa sui sentimenti che prova per il suo migliore amico. Da quelle bugie si sviluppano tutti gli intrecci narrativi e, allo stesso tempo, i personaggi imparano a crescere proprio sconfiggendole.

È di difficile interpretazione il significato di questo anime: è proprio con la morte che è possibile una rinascita. È nella perdita che si possono trovare il coraggio, la forza, la grinta di proseguire sul proprio cammino. Come se l’esistenza di un singolo assumesse significato solo una volta incontrata la sofferenza. È un concetto che si sposa perfettamente con quello di maturità musicale: una capacità espressiva che si acquisisce solamente col tempo e che rispecchia il personaggio di Kaori, come artista che non segue pedissequamente lo spartito, ma che “sente” la musica come esternazione di sensazioni profonde, come flusso di energie che poi si trasforma in note. È la maturità ciò che rende tali un musicista e una persona. Qualcosa che si acquisisce solo vivendo, tramutando le proprie esperienze, i propri dolori, le proprie paure in musica, svincolandosi dai canoni perfetti della tecnica e del ritmo. E queste esperienze, come il vivere la morte di una persona cara, sono necessarie al raggiungimento della maturità, di una consapevolezza che altrimenti risulterebbe impossibile da comprendere, di un modo di pensare che ci rende semplicemente e profondamente umani.