Recensione
Recensione di zettaiLara
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Prodotto da Mad House e distribuito da Shochiku, il film "Shinko e la magia millenaria" (マイマイ新子と千年の魔法 "Maimai Shinko to Sen-nen no Mahō") è arrivato nei cinema giapponesi il 21 novembre 2009 e lì vi è rimasto per un tempo sorprendentemente lungo, pari a sette mesi circa. Per l'Italia ricordiamo invece che la pellicola era giunta in anteprima nazionale doppiata all'edizione 2019 del Giffoni Film Festival.
Nella presentazione al film del 1 novembre 2019 presso il Cinema Astra di Lucca, Gualtiero Cannarsi e il traduttore Francesco Nicodemo hanno fornito agli spettatori pochi elementi, gli stessi che poteva avere il pubblico giapponese all'epoca dell'uscita nei cinema del film.
Si tratta del capolavoro del regista Sunao Katabuchi, docente d'arte a Tokyo, che oggi conosciamo soprattutto per la direzione de "In questo angolo di mondo" ("Kono Sekai no Katasumi ni"), ma che è stato in verità assistente di Hayao Miyazaki sin dagli esordi, già dai tempi de "Il Fiuto di Sherlock Holmes".
In "Shinko e la magia millenaria" Sunao Katabuchi cura la regia e la sceneggiatura di un soggetto originale altrui, poiché il film è tratto infatti dal libro del 2004 "Maimai Shinko" (マイマイ新子) di Nobuko Takagi, acclamata scrittrice che ha conseguito in patria il 90° Premio letterario Akutagawa nonché il 35° Premio Tanizaki, e per i suoi contributi è stata inoltre insignita del premio come "bunka kōrōsha", ovvero Personalità dagli Alti Meriti Artistici. A sua volta, il testo originale è una versione romanzata dell'autobiografia della Takagi, nata nella prefettura di Yamaguchi nel sud del Giappone, dov'è ambientata la storia del film.
In questo gioco di continui rimandi siamo in verità solo agli inizi: il film ne è un tripudio, dal momento che la storia è ambientata in un passato collocato su piani temporali diversi, uno dei quali richiama parzialmente il testo letterario "Le note del guanciale" ("Makura no Soshi") della poetessa Sei Shōnagon.
Ci troviamo dunque nella primavera del 1955 a Mitajiri nella prefettura di Yamaguchi: Shinko Aoki ha nove anni ed è cresciuta con le storie del nonno riguardanti la vita di quei luoghi un millennio prima. Ma ci troviamo anche, al contempo, in un'epoca remota distante mille anni, di quando la principessina Nagiko Kiyohara viveva in quello stesso villaggio, all'epoca in cui l'area era conosciuta come provincia di Suō con capitale Kokuga. Shinko rivede quei tempi, quella bimba e le sue vicende. Secondo la ragazzina, la propria capacità di vedere nel passato è un potere che le deriva dal ciuffo che si ostina a rimanere ribelle sulla testa e che lei chiama "ghiribizzo", mentre in lingua originale è "mai mai", da cui il riferimento nel titolo.
Frattanto l'amicizia con Kiiko Shimazu, studentessa appena trasferitasi dalla capitale Tokyo, sembra del tutto fuori discussione, poiché le due bambine sono diverse come il giorno e la notte: tanto è compita, beneducata e introversa Kiiko, quanto Shinko non fa mistero della propria esuberanza e del volitivo carattere da maschiaccio. E, tuttavia, ambedue paiono trovare della complementarità l'una nell'altra e, complice anche una scatola di cioccolatini ripieni al whisky, stringeranno un legame che le porterà ad abbeverarsi e imparare dalle rispettive differenze culturali, crescere insieme, affacciarsi alla vita degli adulti e scoprirne le note dolciamare.
Siamo di fronte ad un'opera che ha la parvenza di un sapore squisitamente ghibliano, per certi versi, grazie all'abile mano di Katabuchi alla regia, al morbido character design, a un comparto sonoro di livello e agli splendidi paesaggi di un Giappone quanto mai rurale; lo sguardo si perde tra il verde dei boschi e delle infinite distese di campi in cui Shinko ama nascondersi, e gli occhi si soffermano a lungo nel curiosare negli interni delle rustiche abitazioni tradizionali nipponiche.
Senz'altro si tratta di un racconto che rimanda anche alle atmosfere de "Il mio vicino Totoro" nell'ambientazione campagnola e nei giochi di fantasia delle bambine, così come è impossibile non accostare il rapporto di profondo affetto esistente tra Shinko e il nonno a quello di Heidi con l'altrettanto ruvido progenitore: in entrambi i casi l'anziano ha il ruolo di guida e di dispensatore di saggezza, e vigila con occhio tenero ma severo sulla vitalità della nipote e sulle sue avventure nella natura.
Allo stesso tempo, tuttavia, il mondo in cui Shinko e Kiiko vivono è tutto fuorché idilliaco e la storia, seppur fluttuando sul piano dell'immaginazione, fa comprendere bene di avere radici saldamente ancorate al territorio di cui si racconta, e le citazioni in tal senso sono palesi, donateci dall'attenzione al dettaglio di Katabuchi: le bimbe raccontano delle "sorpresine della Glico", ovvero dell'azienda dolciaria di Osaka conosciuta fin da quei tempi sino alle aree meno sviluppate del Giappone.
Shinko menziona poi più volte i fiumi ad angolo retto, retaggio del paese edificato a scacchiera un millennio prima e che ancora conserva i nomi di antichi palazzi alle fermate dei bus.
Gli strascichi della Seconda Guerra Mondiale sono ricordi ancora vividi, tanto che il gruppetto di amici con cui le bambine amano trascorrere le giornate è da essi auto-ribattezzato in "camerata degli Arditi", in un richiamo quanto mai evidente ai corpi militari dell'esercito specializzati in missioni rischiose; le avventure dei ragazzini e le lezioni di scuola, inoltre, avvengono per tutti a piedi scalzi là dove invece Kiiko, di estrazione cittadina, indossa scarpe immacolate e bianchi calzini che fanno il paio con la candida pelle, in aperto contrasto con la carnagione ben più abbronzata di Shinko e degli amici, abituati a giocare all'aria aperta.
"La promessa del domani, è che domani rideremo tutti insieme."
Che il film "Shinko e la magia millenaria" non sia ciò che appare a un primo sguardo non è forse palese nell'immediato, ma l'impressione di una storia destinata a un pubblico infantile può essere attribuita solo da un approccio approssimativo all'opera. Oppure, ancora, il credere che si tratti di un racconto semplice è una colpa da attribuire alla bravura di Katabuchi, capace di dipingere quasi con eccessiva facilità un chiaro affresco della fanciullezza, facendolo oscillare tra il reale e l'immaginario, tra la commedia e il dramma, filtrandolo con la leggerezza dell'innocenza dei bambini.
C'è dunque il divertimento reso possibile dall'amicizia, che assume la forma concreta di un piccolo stagno artificiale in cui viziare un elegante pesce rosso, emblema di un legame, dei sogni e delle speranze che i bambini nutrono per il futuro; ma c'è anche in parallela opposizione la solitudine della passata principessina Nagiko, che soffre per la mancanza di qualcuno della propria età con cui trascorrere i propri giorni.
Vi è un continuo concatenarsi di svariati mondi: Kiiko apre il proprio a Shinko, fatto di bambole e di un'abitazione ben più benestante della media che lascia Shinko ad occhi sgranati. A sua volta quest'ultima fa accedere la bambina di città nella propria quotidianità e cerchia di amicizie, ed è proprio così che le ragazzine apprendono pian piano a relazionarsi dapprima l'un l'altra, quindi nei confronti dei propri coetanei, e per finire raffrontandosi persino con il mondo degli adulti, emblematicamente rappresentato soprattutto per tramite di un duro episodio vissuto da Shinko a riguardo del caro amico Tatsuyoshi.
Nel diventare "grandi", dunque, si inizia ad avere a che fare con la società, a comprenderne le tante sfumature e accettarne le conseguenze, felici o meno che esse siano.
Quanto a Shinko, la ragazzina arriva a capire da sé che la magia del ghiribizzo "potrebbe non essere reale", ma l'essenziale è in verità ciò che quella magia sa compiere per davvero, nel consentire tanto a Shinko quanto a Kiiko e alla lontana Nagiko di intessere delle relazioni sociali con i propri pari e non, tutte fondamentali per la crescita di ciascuna.
"In questi campi di grano in cui sembra non esserci nulla, quaggiù c'è un segreto millenario." - Shinko -
Quale sia il motivo per il quale il film abbia inteso omaggiare l'illustre collega antecedente di mille anni la Takagi, ovvero Sei Shōnagon nella figura della piccola Nagiko, non lo conosciamo, ma di certo il riferimento è estremamente colto e letterario.
Potrebbe essere stato infatti Kiyohara no Nagiko il vero nome della Shōnagon, poetessa e donna di corte contemporanea della più celebre Shikibu Murasaki, autrice del "Genji Monogatari" nonché sua rivale nella scrittura. Sia il padre che il nonno della donna, nonché lei stessa, sono stati autori di waka, poesie composte in lingua giapponese in un periodo in cui era il cinese la lingua considerata di rango letterario più elevato. In quest'epoca chi faceva parte della corte doveva essere colto ed educato nella scrittura, essendo la letteratura un elemento chiave delle interrelazioni sociali e potendo le capacità di scrittura determinare la buona o cattiva reputazione di una persona. Le donne avevano qui un ruolo nella società e le scrittrici erano celebri poiché scrivevano in giapponese, ovvero in una lingua popolare, comprensibile da chiunque.
È in questo contesto che Sei Shōnagon, donna dall'eccellente memoria, compone "Le note del guanciale" (枕草子"Makura no Sōshi"), ovvero un testo di osservazioni e riflessioni scritte durante il tempo trascorso alla corte dell'imperatrice consorte Teishi attorno all'anno mille, nell'epoca Heian. Si tratta di un testo che nasce perlopiù in hiragana come una raccolta intima e privata prima ancora che letteraria, eppur preziosa a livello di documentazione storica del periodo, fatta di saggi, aneddoti, poesie, descrizioni, pensieri di vita quotidiana dalla notevole potenza visiva, che non era concesso rivelare pubblicamente vista la posizione rivestita dalla donna nella corte. Svelato al mondo per un banale errore dopo essere stato inavvertitamente lasciato - per l'appunto - sotto il cuscino destinato a un ospite, esso presenta un acuto stile letterario; l'importanza della Shōnagon in letteratura è tale che uno dei suoi waka è incluso nella famosa raccolta "Hyakunin Isshu" dei cento poemi, la stessa da cui trae origine il gioco tradizionale giapponese del karuta che vediamo, ad esempio, nel manga "Chihayafuru" di Yuki Suetsugu.
Alla luce di questo non stupisce poi dunque molto il valore artistico del testo originale "Mai Mai Shinko" di Nobuko Takagi, al secolo Nobuko Tsuruta, né della relativa pellicola al cinema. Già all'epoca del suo romanzo di debutto la scrittrice era stata candidata al Premio Tanizaki, mentre, per quanto riguarda il titolo di Persona al merito, si tratta di un riconoscimento che la Takagi condivide ad esempio con Hayao Miyazaki, Moto Hagio e Shigeru Miyamoto, per fare solo alcuni nomi celebri.
Quanto al film, oltre che il successo presso il pubblico giapponese, la pellicola ha riscosso consensi anche a livello più elevato. Essa è stata candidata al 4° Asia Pacific Screen Award come Miglior Lungometraggio Animato, e si è poi aggiudicata quattro riconoscimenti: il 2010 Audience Award come Miglior Lungometraggio Animato per un pubblico adulto all'Anima - Festival del Film animato di Bruxelles, quindi anche il BETV Award presso la medesima rassegna. Ha poi ricevuto il premio dalla giuria, sempre come Miglior Film Animato, al Fantasia Film Festival di Montréal in Canada, e il Premio d'Eccellenza del 14° Japan Media Arts Festival.
"Tuuuuuutto quanto mi insegna il nonnino." - Shinko -
L'adattamento in lingua italiana ricorda quello già udito nei film dello Studio Ghibli, benché stavolta in misura meno marcata: il linguaggio utilizzato cerca di rimandare da un lato alle complessità del testo letterario originale della Takagi, senza perderne allo stesso tempo le espressioni dialettali, poste in evidenza perlopiù attraverso volute allungamenti di vocali o sillabe.
A livello di doppiaggio, il lavoro di Chiara Fabiano su Shinko e di Vittoria Bartolomei su Kiiko è molto buono, con voci vivaci che ben esprimono al contempo le differenze caratteriali tra le due bambine; anche il tono annoiato ma volitivo di Nagiko si percepisce piuttosto bene nell'interpretazione di Carolina Gusev, e in generale ognuno dei tanti personaggi che s'incontrano durante la narrazione assume un'adeguata incarnazione in italiano per tramite del proprio doppiatore.
Quello di "Shinko e la magia millenaria" è un percorso complessivamente dai ritmi pacati, che scorre in scioltezza dall'inizio e sino alle ultime battute del film; i personaggi e le loro interazioni sono gradevoli, la storia evolve mescolando abilmente temi e toni, e a livello visivo la pellicola è piuttosto gratificante.
I diversi piani di lettura su cui gioca l'opera non sono tutti di facile o rapido accesso allo spettatore occidentale medio, che però non si vede pregiudicate le possibilità di gradimento generale del film. Si vede restituita, soprattutto, la sensazione che si tratti di una storia molto giapponese ma dai temi al tempo stesso molto universali, e per ambedue le ragioni sarà difficile giungere alla fine senza uscirne decisamente arricchiti, su molteplici livelli.
Nella presentazione al film del 1 novembre 2019 presso il Cinema Astra di Lucca, Gualtiero Cannarsi e il traduttore Francesco Nicodemo hanno fornito agli spettatori pochi elementi, gli stessi che poteva avere il pubblico giapponese all'epoca dell'uscita nei cinema del film.
Si tratta del capolavoro del regista Sunao Katabuchi, docente d'arte a Tokyo, che oggi conosciamo soprattutto per la direzione de "In questo angolo di mondo" ("Kono Sekai no Katasumi ni"), ma che è stato in verità assistente di Hayao Miyazaki sin dagli esordi, già dai tempi de "Il Fiuto di Sherlock Holmes".
In "Shinko e la magia millenaria" Sunao Katabuchi cura la regia e la sceneggiatura di un soggetto originale altrui, poiché il film è tratto infatti dal libro del 2004 "Maimai Shinko" (マイマイ新子) di Nobuko Takagi, acclamata scrittrice che ha conseguito in patria il 90° Premio letterario Akutagawa nonché il 35° Premio Tanizaki, e per i suoi contributi è stata inoltre insignita del premio come "bunka kōrōsha", ovvero Personalità dagli Alti Meriti Artistici. A sua volta, il testo originale è una versione romanzata dell'autobiografia della Takagi, nata nella prefettura di Yamaguchi nel sud del Giappone, dov'è ambientata la storia del film.
In questo gioco di continui rimandi siamo in verità solo agli inizi: il film ne è un tripudio, dal momento che la storia è ambientata in un passato collocato su piani temporali diversi, uno dei quali richiama parzialmente il testo letterario "Le note del guanciale" ("Makura no Soshi") della poetessa Sei Shōnagon.
Ci troviamo dunque nella primavera del 1955 a Mitajiri nella prefettura di Yamaguchi: Shinko Aoki ha nove anni ed è cresciuta con le storie del nonno riguardanti la vita di quei luoghi un millennio prima. Ma ci troviamo anche, al contempo, in un'epoca remota distante mille anni, di quando la principessina Nagiko Kiyohara viveva in quello stesso villaggio, all'epoca in cui l'area era conosciuta come provincia di Suō con capitale Kokuga. Shinko rivede quei tempi, quella bimba e le sue vicende. Secondo la ragazzina, la propria capacità di vedere nel passato è un potere che le deriva dal ciuffo che si ostina a rimanere ribelle sulla testa e che lei chiama "ghiribizzo", mentre in lingua originale è "mai mai", da cui il riferimento nel titolo.
Frattanto l'amicizia con Kiiko Shimazu, studentessa appena trasferitasi dalla capitale Tokyo, sembra del tutto fuori discussione, poiché le due bambine sono diverse come il giorno e la notte: tanto è compita, beneducata e introversa Kiiko, quanto Shinko non fa mistero della propria esuberanza e del volitivo carattere da maschiaccio. E, tuttavia, ambedue paiono trovare della complementarità l'una nell'altra e, complice anche una scatola di cioccolatini ripieni al whisky, stringeranno un legame che le porterà ad abbeverarsi e imparare dalle rispettive differenze culturali, crescere insieme, affacciarsi alla vita degli adulti e scoprirne le note dolciamare.
Siamo di fronte ad un'opera che ha la parvenza di un sapore squisitamente ghibliano, per certi versi, grazie all'abile mano di Katabuchi alla regia, al morbido character design, a un comparto sonoro di livello e agli splendidi paesaggi di un Giappone quanto mai rurale; lo sguardo si perde tra il verde dei boschi e delle infinite distese di campi in cui Shinko ama nascondersi, e gli occhi si soffermano a lungo nel curiosare negli interni delle rustiche abitazioni tradizionali nipponiche.
Senz'altro si tratta di un racconto che rimanda anche alle atmosfere de "Il mio vicino Totoro" nell'ambientazione campagnola e nei giochi di fantasia delle bambine, così come è impossibile non accostare il rapporto di profondo affetto esistente tra Shinko e il nonno a quello di Heidi con l'altrettanto ruvido progenitore: in entrambi i casi l'anziano ha il ruolo di guida e di dispensatore di saggezza, e vigila con occhio tenero ma severo sulla vitalità della nipote e sulle sue avventure nella natura.
Allo stesso tempo, tuttavia, il mondo in cui Shinko e Kiiko vivono è tutto fuorché idilliaco e la storia, seppur fluttuando sul piano dell'immaginazione, fa comprendere bene di avere radici saldamente ancorate al territorio di cui si racconta, e le citazioni in tal senso sono palesi, donateci dall'attenzione al dettaglio di Katabuchi: le bimbe raccontano delle "sorpresine della Glico", ovvero dell'azienda dolciaria di Osaka conosciuta fin da quei tempi sino alle aree meno sviluppate del Giappone.
Shinko menziona poi più volte i fiumi ad angolo retto, retaggio del paese edificato a scacchiera un millennio prima e che ancora conserva i nomi di antichi palazzi alle fermate dei bus.
Gli strascichi della Seconda Guerra Mondiale sono ricordi ancora vividi, tanto che il gruppetto di amici con cui le bambine amano trascorrere le giornate è da essi auto-ribattezzato in "camerata degli Arditi", in un richiamo quanto mai evidente ai corpi militari dell'esercito specializzati in missioni rischiose; le avventure dei ragazzini e le lezioni di scuola, inoltre, avvengono per tutti a piedi scalzi là dove invece Kiiko, di estrazione cittadina, indossa scarpe immacolate e bianchi calzini che fanno il paio con la candida pelle, in aperto contrasto con la carnagione ben più abbronzata di Shinko e degli amici, abituati a giocare all'aria aperta.
"La promessa del domani, è che domani rideremo tutti insieme."
Che il film "Shinko e la magia millenaria" non sia ciò che appare a un primo sguardo non è forse palese nell'immediato, ma l'impressione di una storia destinata a un pubblico infantile può essere attribuita solo da un approccio approssimativo all'opera. Oppure, ancora, il credere che si tratti di un racconto semplice è una colpa da attribuire alla bravura di Katabuchi, capace di dipingere quasi con eccessiva facilità un chiaro affresco della fanciullezza, facendolo oscillare tra il reale e l'immaginario, tra la commedia e il dramma, filtrandolo con la leggerezza dell'innocenza dei bambini.
C'è dunque il divertimento reso possibile dall'amicizia, che assume la forma concreta di un piccolo stagno artificiale in cui viziare un elegante pesce rosso, emblema di un legame, dei sogni e delle speranze che i bambini nutrono per il futuro; ma c'è anche in parallela opposizione la solitudine della passata principessina Nagiko, che soffre per la mancanza di qualcuno della propria età con cui trascorrere i propri giorni.
Vi è un continuo concatenarsi di svariati mondi: Kiiko apre il proprio a Shinko, fatto di bambole e di un'abitazione ben più benestante della media che lascia Shinko ad occhi sgranati. A sua volta quest'ultima fa accedere la bambina di città nella propria quotidianità e cerchia di amicizie, ed è proprio così che le ragazzine apprendono pian piano a relazionarsi dapprima l'un l'altra, quindi nei confronti dei propri coetanei, e per finire raffrontandosi persino con il mondo degli adulti, emblematicamente rappresentato soprattutto per tramite di un duro episodio vissuto da Shinko a riguardo del caro amico Tatsuyoshi.
Nel diventare "grandi", dunque, si inizia ad avere a che fare con la società, a comprenderne le tante sfumature e accettarne le conseguenze, felici o meno che esse siano.
Quanto a Shinko, la ragazzina arriva a capire da sé che la magia del ghiribizzo "potrebbe non essere reale", ma l'essenziale è in verità ciò che quella magia sa compiere per davvero, nel consentire tanto a Shinko quanto a Kiiko e alla lontana Nagiko di intessere delle relazioni sociali con i propri pari e non, tutte fondamentali per la crescita di ciascuna.
"In questi campi di grano in cui sembra non esserci nulla, quaggiù c'è un segreto millenario." - Shinko -
Quale sia il motivo per il quale il film abbia inteso omaggiare l'illustre collega antecedente di mille anni la Takagi, ovvero Sei Shōnagon nella figura della piccola Nagiko, non lo conosciamo, ma di certo il riferimento è estremamente colto e letterario.
Potrebbe essere stato infatti Kiyohara no Nagiko il vero nome della Shōnagon, poetessa e donna di corte contemporanea della più celebre Shikibu Murasaki, autrice del "Genji Monogatari" nonché sua rivale nella scrittura. Sia il padre che il nonno della donna, nonché lei stessa, sono stati autori di waka, poesie composte in lingua giapponese in un periodo in cui era il cinese la lingua considerata di rango letterario più elevato. In quest'epoca chi faceva parte della corte doveva essere colto ed educato nella scrittura, essendo la letteratura un elemento chiave delle interrelazioni sociali e potendo le capacità di scrittura determinare la buona o cattiva reputazione di una persona. Le donne avevano qui un ruolo nella società e le scrittrici erano celebri poiché scrivevano in giapponese, ovvero in una lingua popolare, comprensibile da chiunque.
È in questo contesto che Sei Shōnagon, donna dall'eccellente memoria, compone "Le note del guanciale" (枕草子"Makura no Sōshi"), ovvero un testo di osservazioni e riflessioni scritte durante il tempo trascorso alla corte dell'imperatrice consorte Teishi attorno all'anno mille, nell'epoca Heian. Si tratta di un testo che nasce perlopiù in hiragana come una raccolta intima e privata prima ancora che letteraria, eppur preziosa a livello di documentazione storica del periodo, fatta di saggi, aneddoti, poesie, descrizioni, pensieri di vita quotidiana dalla notevole potenza visiva, che non era concesso rivelare pubblicamente vista la posizione rivestita dalla donna nella corte. Svelato al mondo per un banale errore dopo essere stato inavvertitamente lasciato - per l'appunto - sotto il cuscino destinato a un ospite, esso presenta un acuto stile letterario; l'importanza della Shōnagon in letteratura è tale che uno dei suoi waka è incluso nella famosa raccolta "Hyakunin Isshu" dei cento poemi, la stessa da cui trae origine il gioco tradizionale giapponese del karuta che vediamo, ad esempio, nel manga "Chihayafuru" di Yuki Suetsugu.
Alla luce di questo non stupisce poi dunque molto il valore artistico del testo originale "Mai Mai Shinko" di Nobuko Takagi, al secolo Nobuko Tsuruta, né della relativa pellicola al cinema. Già all'epoca del suo romanzo di debutto la scrittrice era stata candidata al Premio Tanizaki, mentre, per quanto riguarda il titolo di Persona al merito, si tratta di un riconoscimento che la Takagi condivide ad esempio con Hayao Miyazaki, Moto Hagio e Shigeru Miyamoto, per fare solo alcuni nomi celebri.
Quanto al film, oltre che il successo presso il pubblico giapponese, la pellicola ha riscosso consensi anche a livello più elevato. Essa è stata candidata al 4° Asia Pacific Screen Award come Miglior Lungometraggio Animato, e si è poi aggiudicata quattro riconoscimenti: il 2010 Audience Award come Miglior Lungometraggio Animato per un pubblico adulto all'Anima - Festival del Film animato di Bruxelles, quindi anche il BETV Award presso la medesima rassegna. Ha poi ricevuto il premio dalla giuria, sempre come Miglior Film Animato, al Fantasia Film Festival di Montréal in Canada, e il Premio d'Eccellenza del 14° Japan Media Arts Festival.
"Tuuuuuutto quanto mi insegna il nonnino." - Shinko -
L'adattamento in lingua italiana ricorda quello già udito nei film dello Studio Ghibli, benché stavolta in misura meno marcata: il linguaggio utilizzato cerca di rimandare da un lato alle complessità del testo letterario originale della Takagi, senza perderne allo stesso tempo le espressioni dialettali, poste in evidenza perlopiù attraverso volute allungamenti di vocali o sillabe.
A livello di doppiaggio, il lavoro di Chiara Fabiano su Shinko e di Vittoria Bartolomei su Kiiko è molto buono, con voci vivaci che ben esprimono al contempo le differenze caratteriali tra le due bambine; anche il tono annoiato ma volitivo di Nagiko si percepisce piuttosto bene nell'interpretazione di Carolina Gusev, e in generale ognuno dei tanti personaggi che s'incontrano durante la narrazione assume un'adeguata incarnazione in italiano per tramite del proprio doppiatore.
Quello di "Shinko e la magia millenaria" è un percorso complessivamente dai ritmi pacati, che scorre in scioltezza dall'inizio e sino alle ultime battute del film; i personaggi e le loro interazioni sono gradevoli, la storia evolve mescolando abilmente temi e toni, e a livello visivo la pellicola è piuttosto gratificante.
I diversi piani di lettura su cui gioca l'opera non sono tutti di facile o rapido accesso allo spettatore occidentale medio, che però non si vede pregiudicate le possibilità di gradimento generale del film. Si vede restituita, soprattutto, la sensazione che si tratti di una storia molto giapponese ma dai temi al tempo stesso molto universali, e per ambedue le ragioni sarà difficile giungere alla fine senza uscirne decisamente arricchiti, su molteplici livelli.