Recensione
Kyashan Sins
7.5/10
Recensione di dawnraptor
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"Kyashan Sins" è un anime che suscita sentimenti molto contrastanti.
Si può dire che sia una fabbrica di emozioni, ma purtroppo non tutte quelle che stimola sono positive, e non solo perché è profondamente cupo e malinconico, oserei quasi dire tragico.
In primis occorre specificare che non ho mai visto la serie originale del 1973, anche se non è escluso che non lo faccia in seguito, per cui non ci saranno paragoni con l’opera madre. Come è forse giusto che sia, perché quella di cui parlo è questa opera, e nessun’altra.
Kyashan si risveglia senza alcun ricordo, ci dicono dopo un sonno di cent’anni, in un mondo in completo decadimento, caratterizzato quasi ovunque da distese desertiche, vento incessante, città fantasma e robot in rovina. La maggior parte di questi automi è di tipo apparentemente molto primitivo e porta segni più o meno pesanti di ruggine e disfacimento. Ci sono poi alcuni robot, come lo stesso Kyashan e una mezza dozzina d’altri, che hanno un aspetto molto più rifinito, più o meno completamente umano. Col tempo, anche questi altri subiscono l’effetto della rovina imperante, disfacendosi in ruggine e, quindi, morendo. Gli esseri umani sono pochissimi e hanno scarsa importanza ai fini della storia.
Quello che ci dicono subito è che Kyashan avrebbe un tempo ucciso Luna, il Sole che dava salvezza a speranza a tutti, e da quel momento la rovina si sarebbe abbattuta sul mondo. Qualcuno ha messo in giro la voce che chi divora Kyashan sarà al sicuro dalla onnipresente morte per l’incessante deterioramento, per cui il nostro è costantemente aggredito da stuoli di automi più o meno in forze, al mantra di 'uccidere Kyashan, divorare Kyashan'.
E’ con una certa meraviglia che lo vediamo autoripararsi dopo ogni battaglia, rimettendosi completamente a nuovo, qualunque fosse la gravità delle ferite. In pratica, dopo aver ucciso Luna, Kyashan sarebbe diventato immortale, unico essere in grado di vivere in eterno. E questa sua immortalità, unita al senso di colpa che comincia a provare per la convinzione di essere la causa della rovina del mondo, diviene uno dei leitmotiv dell’anime. Che sia accompagnato dal cane robotico Flender, o dalla piccola Ringo, o da Lyuze, una giovane dell’entourage di Luna inizialmente in cerca di vendetta, alla fine le battaglie reali e interiori del nostro eroe sempre su questi concetti vertono: la morte ovunque imperante, contrapposta alla sua immortalità, e il senso di colpa per essere la causa del disfacimento del mondo.
Si tratta di 24 episodi il che, per un anime incentrato su temi così cupi e ripetitivi, agli occhi di chi scrive si è rivelata una lunghezza eccessiva. Nella prima dozzina di puntate accade ben poco, trattandosi più che altro di una serie di episodi autoconclusivi in cui viene pian piano sviscerato il concetto della colpa di Kyashan, della decadenza del mondo, della sua immortalità, e in cui si conoscono diversi personaggi di contorno, alcuni dei quali lo accompagneranno fino alla fine. Ci sono vicende che sottolineano l’importanza del non morire da soli, o di coltivare i propri sogni e convinzioni anche guardando in faccia il proprio infausto destino.
Ogni episodio, preso in sé, è un piccolo e solenne gioiello ma, messi tutti in fila, finiscono per irritare lo spettatore superficiale di scarsa pazienza, quale può essere la sottoscritta. Più di una volta ci si domanda esasperati: sì, ok, tutto bellissimo, ma la trama dov’è?
La trama arriva passata la boa della metà della serie, e non si può nemmeno dire che tutte le puntate precedenti siano servite per un efficace world building: l’esistenza dei vari tipi di robot va presa con un atto di fede, non sappiamo come vivano e funzionino, molti piangono e paiono provare emozioni, necessitano di riposo, alcuni si baciano, ce ne sono addirittura di bambini, e che crescono. Insomma: non ci viene detto assolutamente nulla di come sia nato e funzioni questo mondo in rovina. È così e basta.
Se il personaggio di Kyashan viene sviluppato molto bene, una discreta attenzione viene riservata anche ai comprimari: le già citate Lyuze e Ringo, e gli antagonisti Dio e Leda, che sono apparentemente dello stesso tipo di Kyashan, ma con la importante differenza di non essere immortali. E se Dio soffre di un pesante senso di inferiorità verso Kyashan, di cui dice di aver visto sempre solo le spalle, Leda non si fa scrupolo di irretirlo e sfruttarlo per i suoi scopi. Ma, purtroppo, quello che forse veramente manca a questa serie è un buon villain. Dio e Leda sono quasi imbarazzanti e Braiking Boss, il capintesta di cent’anni prima, è completamente non pervenuto.
Parlando dei disegni, il chara mi è piaciuto parecchio nonostante il gusto molto retro, vista la somiglianza con Saint Seya, e gli occhi enormi che si mangiano mezza faccia. Buoni, anche se non eccelsi, i fondali. Sulle animazioni, personalmente le ho trovate incostanti: ci sono stati alcuni episodi in cui c’era un’abbondanza di quadri fissi e l’inquadratura rifuggiva l’azione, altri in cui erano una gioia per gli occhi.
I doppiatori giapponesi hanno fatto un ottimo lavoro, almeno al mio orecchio, e alcune musiche di sottofondo le ho trovate particolarmente struggenti e azzeccate, anche se forse non molto varie. Le ending non mi hanno lasciato ricordi nel bene o nel male, mentre l’unica opening, dal testo azzeccatissimo, era molto bella in sé, ma ho trovato la parte musicale, per quanto orecchiabile, poco adatta all’anime: pareva di ascoltare una canzone brasiliana!
Sorvolando, come è giusto che sia, sul finale, in conclusione "Kyashan Sins" è un’opera che, a mio parere, avrebbe guadagnato molto con una mezza dozzina di episodi in meno. È vero, è un anime introspettivo e filosofico, certamente non adatto a spettatori di ogni tipo. I drammi, i simbolismi, i ragionamenti che lo permeano sono molto profondi, a volte anche troppo. Una certa ripetitività e, a tratti, un evidente intento didascalico, lo rendono sicuramente meno fruibile di quanto avrebbe potuto essere. Vedere i due antagonisti maschi in continua lordosi può essere visto come simbolico, o essere irritante. Mai come in questo caso, la bellezza sta nell’occhio di chi guarda.
Si può dire che sia una fabbrica di emozioni, ma purtroppo non tutte quelle che stimola sono positive, e non solo perché è profondamente cupo e malinconico, oserei quasi dire tragico.
In primis occorre specificare che non ho mai visto la serie originale del 1973, anche se non è escluso che non lo faccia in seguito, per cui non ci saranno paragoni con l’opera madre. Come è forse giusto che sia, perché quella di cui parlo è questa opera, e nessun’altra.
Kyashan si risveglia senza alcun ricordo, ci dicono dopo un sonno di cent’anni, in un mondo in completo decadimento, caratterizzato quasi ovunque da distese desertiche, vento incessante, città fantasma e robot in rovina. La maggior parte di questi automi è di tipo apparentemente molto primitivo e porta segni più o meno pesanti di ruggine e disfacimento. Ci sono poi alcuni robot, come lo stesso Kyashan e una mezza dozzina d’altri, che hanno un aspetto molto più rifinito, più o meno completamente umano. Col tempo, anche questi altri subiscono l’effetto della rovina imperante, disfacendosi in ruggine e, quindi, morendo. Gli esseri umani sono pochissimi e hanno scarsa importanza ai fini della storia.
Quello che ci dicono subito è che Kyashan avrebbe un tempo ucciso Luna, il Sole che dava salvezza a speranza a tutti, e da quel momento la rovina si sarebbe abbattuta sul mondo. Qualcuno ha messo in giro la voce che chi divora Kyashan sarà al sicuro dalla onnipresente morte per l’incessante deterioramento, per cui il nostro è costantemente aggredito da stuoli di automi più o meno in forze, al mantra di 'uccidere Kyashan, divorare Kyashan'.
E’ con una certa meraviglia che lo vediamo autoripararsi dopo ogni battaglia, rimettendosi completamente a nuovo, qualunque fosse la gravità delle ferite. In pratica, dopo aver ucciso Luna, Kyashan sarebbe diventato immortale, unico essere in grado di vivere in eterno. E questa sua immortalità, unita al senso di colpa che comincia a provare per la convinzione di essere la causa della rovina del mondo, diviene uno dei leitmotiv dell’anime. Che sia accompagnato dal cane robotico Flender, o dalla piccola Ringo, o da Lyuze, una giovane dell’entourage di Luna inizialmente in cerca di vendetta, alla fine le battaglie reali e interiori del nostro eroe sempre su questi concetti vertono: la morte ovunque imperante, contrapposta alla sua immortalità, e il senso di colpa per essere la causa del disfacimento del mondo.
Si tratta di 24 episodi il che, per un anime incentrato su temi così cupi e ripetitivi, agli occhi di chi scrive si è rivelata una lunghezza eccessiva. Nella prima dozzina di puntate accade ben poco, trattandosi più che altro di una serie di episodi autoconclusivi in cui viene pian piano sviscerato il concetto della colpa di Kyashan, della decadenza del mondo, della sua immortalità, e in cui si conoscono diversi personaggi di contorno, alcuni dei quali lo accompagneranno fino alla fine. Ci sono vicende che sottolineano l’importanza del non morire da soli, o di coltivare i propri sogni e convinzioni anche guardando in faccia il proprio infausto destino.
Ogni episodio, preso in sé, è un piccolo e solenne gioiello ma, messi tutti in fila, finiscono per irritare lo spettatore superficiale di scarsa pazienza, quale può essere la sottoscritta. Più di una volta ci si domanda esasperati: sì, ok, tutto bellissimo, ma la trama dov’è?
La trama arriva passata la boa della metà della serie, e non si può nemmeno dire che tutte le puntate precedenti siano servite per un efficace world building: l’esistenza dei vari tipi di robot va presa con un atto di fede, non sappiamo come vivano e funzionino, molti piangono e paiono provare emozioni, necessitano di riposo, alcuni si baciano, ce ne sono addirittura di bambini, e che crescono. Insomma: non ci viene detto assolutamente nulla di come sia nato e funzioni questo mondo in rovina. È così e basta.
Se il personaggio di Kyashan viene sviluppato molto bene, una discreta attenzione viene riservata anche ai comprimari: le già citate Lyuze e Ringo, e gli antagonisti Dio e Leda, che sono apparentemente dello stesso tipo di Kyashan, ma con la importante differenza di non essere immortali. E se Dio soffre di un pesante senso di inferiorità verso Kyashan, di cui dice di aver visto sempre solo le spalle, Leda non si fa scrupolo di irretirlo e sfruttarlo per i suoi scopi. Ma, purtroppo, quello che forse veramente manca a questa serie è un buon villain. Dio e Leda sono quasi imbarazzanti e Braiking Boss, il capintesta di cent’anni prima, è completamente non pervenuto.
Parlando dei disegni, il chara mi è piaciuto parecchio nonostante il gusto molto retro, vista la somiglianza con Saint Seya, e gli occhi enormi che si mangiano mezza faccia. Buoni, anche se non eccelsi, i fondali. Sulle animazioni, personalmente le ho trovate incostanti: ci sono stati alcuni episodi in cui c’era un’abbondanza di quadri fissi e l’inquadratura rifuggiva l’azione, altri in cui erano una gioia per gli occhi.
I doppiatori giapponesi hanno fatto un ottimo lavoro, almeno al mio orecchio, e alcune musiche di sottofondo le ho trovate particolarmente struggenti e azzeccate, anche se forse non molto varie. Le ending non mi hanno lasciato ricordi nel bene o nel male, mentre l’unica opening, dal testo azzeccatissimo, era molto bella in sé, ma ho trovato la parte musicale, per quanto orecchiabile, poco adatta all’anime: pareva di ascoltare una canzone brasiliana!
Sorvolando, come è giusto che sia, sul finale, in conclusione "Kyashan Sins" è un’opera che, a mio parere, avrebbe guadagnato molto con una mezza dozzina di episodi in meno. È vero, è un anime introspettivo e filosofico, certamente non adatto a spettatori di ogni tipo. I drammi, i simbolismi, i ragionamenti che lo permeano sono molto profondi, a volte anche troppo. Una certa ripetitività e, a tratti, un evidente intento didascalico, lo rendono sicuramente meno fruibile di quanto avrebbe potuto essere. Vedere i due antagonisti maschi in continua lordosi può essere visto come simbolico, o essere irritante. Mai come in questo caso, la bellezza sta nell’occhio di chi guarda.