Recensione
"Mai fiore più orgoglioso sbocciò nella mia vita. Tu, loto di fiamma scarlatta, tu eri il vento che sfiorava la mia cima. Lo senti? È il poema del vento e degli alberi. Il fremere della mia giovinezza."
Queste righe fanno da intermezzo ad una delle opere più particolari dell'animazione nipponica.
1887.
Un giovane uomo, Serge Battour, è in visita all'istituto Lacombrade, nei pressi di Arles, l'ex collegio in cui studiò e dove visse la sua adolescenza. L'occasione non è solo un modo per fare un viaggio sul viale dei ricordi, ma per rievocare un passo fondamentale della sua vita, una stagione fatta di immense gioie e orrori, di passioni e dolori, seguendo le orme di un ricordo dolce e struggente che come un fantasma aleggia ancora nelle camere vuote e nei giardini appesantiti da un autunno malinconico.
È l'inizio di un flashback che riporterà Serge ai tempi in cui visse il periodo più gioioso e drammatico della sua vita, quando conobbe il suo compagno di stanza, Gilbert Cocteau.
"Il poema del vento e degli alberi" è un OAV del 1987 tratto dall'omonimo manga di Keiko Takemiya, opera culto del genere shojo e seminale per quello allora nascente del Boys' Love.
L'anime, prodotto dalla Shogakukan e dall'Herald Enterprise, è diretto da un gigante come Yoshikazu Yasuhiko (YAS), regista, mangaka e character designer che ha prestato il suo talento ad anime che al loro tempo fecero scuola, legando il suo nome a franchise del calibro di "Gundam".
Esclusi titoli simili tuttavia, YAS si segnala spesso per le sue produzioni altamente autoriali, squisitamente di nicchia, nonostante le sue doti tecniche e narrative non abbiano nulla da invidiare al sensazionalismo pop.
Basti pensare al sense of wonder che emerge in serie come "Giant Gorg" o in molti dei suoi film.
Ad uno di questi, "Crusher Joe", prestò anche il suo contributo proprio Keiko Takemiya nel 1983.
La sua scelta come possibile traduttore della monumentale opera della mangaka non è quindi affatto strana, soprattutto se si considera che YAS non è del tutto insensibile a modelli e forme estetiche dal gusto omoerotico. Reduce da "Arion", il regista si cimenta stavolta con un genere e un filone narrativo molto particolari, all'epoca poco noti fuori dalla ridotta cerchia degli appassionati, perlopiù donne.
Un altro manga simile della Takemiya, "Natsu e no Tobira", era già stato tradotto in un film anime nel 1981 dallo studio Madhouse. Tuttavia i temi sentimentali (omoerotici o meno) e i toni melò di quest'altra opera sono anni luce dal carattere acceso e potente del manga che YAS si apprestava ad adattare.
La scommessa era forte e forse fu in parte sottovalutata.
L'intenzione iniziale era probabilmente quella di produrre una serie di OAV, ma purtroppo il primo non ebbe un successo sufficiente da permettere di proseguire l'adattamento dei seguenti capitoli del manga, che a tutt'oggi risulta praticamente animato solo per un decimo.
L'anime si ferma infatti all'incirca a metà del terzo capitolo, di cui riprende nel titolo originale la dicitura Sanctus. Riassumere in una serie di OAV tutti i capitoli dell'opera di riferimento era senza dubbio un'impresa molto ambiziosa, e la trama ne ha fatto le spese, perdendo molte sfumature, sviluppi e dettagli di contorno, nonché alcuni personaggi secondari, sacrificati d'importanza o completamente spariti.
Tuttavia lo zampino della Takemiya alla supervisione si coglie nel fatto che il suo lavoro non è stato affatto mutilato o snaturato nei suoi temi fondamentali, e anzi per paradosso il senso principale del manga ne risulta perfino esaltato con l'aggiunta di elementi di trama inediti. I quali, attraverso l'espediente del flashback, sembrano creare una sorta di suggello che, oltre a fungere da epilogo formale della storia, pare invitare lo spettatore a riviverla, fantasticando sui suoi esiti o invitando al recupero del manga stesso.
Dato che l'idea originale di possibili seguiti non ha purtroppo trovato esito, diversi elementi cardine della trama risultano troncati di netto, con suggerimenti di possibili sviluppi non chiariti e totalmente irrisolvibili senza l'ausilio del supporto cartaceo.
Ma la perizia registica di YAS riesce a far dimenticare anche questa pecca, consentendo all'opera di risultare perfettamente organica e coerente pur nella sua incompletezza e brevità (sessanta minuti).
La forza dell'anime sta proprio nel risultato di essere una piccola perla grezza, un non finito, che si segnala per il carattere pionieristico nelle trasposizioni del genere.
Traguardo tutt'altro che scontato, se si considera che "Il poema del vento e degli alberi" è un'opera difficile, che trovò resistenze nell'essere pubblicata, per via del suo carattere molto intenso, che non risparmia tematiche scomode, all'epoca perlopiù estranee al mondo del fumetto e dell'animazione.
Un prodotto audace dove pathos e afflati di passione struggente si accompagnano a momenti di abusi e violenze, tra sensualismo e sopraffazione, affetto e stupri, in un iter narrativo che punta sul melodrammatico col chiaro intento di proporre un potente e spassionato atto d'amore per il pensiero romantico e le sue ricadute nelle espressioni e negli accenti del XIX secolo.
L'anime rende alla perfezione questo contesto, grazie a un sapiente uso del colore tendente a toni cupi ma tenui, che richiamano le tinte pastello o il seppiato delle vecchie pellicole e fotografie, creando in questo modo un ottimo parallelismo filologico con il concetto di soffuso dell'idea dei ricordi.
Dominano non a caso i contrasti di luci e ombre, di assolate ma languide mattinate occitane alternate a grigie serate tagliate da fiocchi di neve candidi ma pesanti.
Il tutto esaltato da una colonna sonora perfettamente coerente al contesto storico, chiamando in causa le cupe sinfonie di Bach e le dolenti sonate di Chopin, accrescendo un tono generale che strizza l'occhio al Romanticismo gotico.
Suoni però a volte alternati da silenzi assordanti, usati per far urlare le emozioni nei momenti più accesi o drammatici.
La ricostruzione è perfetta, e nonostante alcune ingenuità restituisce al meglio l'idea di un'ambientazione romanzesca. Grazie alla cura per le scenografie di Yamako Ishikawa, interni e paesaggi non sfigurano con i loro corrispettivi cartacei.
Tuttavia, se il chara dei due protagonisti rispetta perlopiù il sema della Takemiya, praticamente quasi tutti gli altri personaggi sono filtrati da una chiara rilettura di YAS. Non ce n'è uno in sostanza che non sembri uscito da un episodio di "Gundam", il che permette subito di cogliere la firma a monte.
Come il manga, l'anime non lesina sugli eccessi e i toni drammatici delle vicende più importanti, perfettamente rispettati nel doppiaggio italiano anche nei suoi aspetti più forti, senza risparmiare insulti o imprecazioni pesanti. E anche se l'anime è un piccolo cult del genere erotico (al punto da essere qui da noi vietato ai minori di quattordici anni), il senso generale non arriva mai ai livelli del porno vero e proprio.
"Il poema del vento e degli alberi" non è mero intrattenimento a luci rosse, ma un elegante concentrato di temi e modelli figurativi e narrativi ben consolidati o proposti per la prima volta all'epoca con un carattere inedito.
L'autrice fu infatti una delle esponenti di punta del cosiddetto Gruppo 24, una comitiva di autrici perlopiù coetanee (nate soprattutto nel 1949, il ventiquattresimo anno dell'era Showa) che fu protagonista di una nuova stagione del fumetto giapponese, fino ad allora appannaggio quasi esclusivo di autori maschi che pubblicavano anche le storie dedicate alle ragazze.
Oltre alla Takemiya, figure come Moto Hagio, Yumiko Ooshima e Ryoko Yamagishi si ritrovarono quindi in un ruolo da pioniere, decise a portare una nuova sensibilità narrativa e figurativa che soddisfacesse soprattutto quelle esigenze da fan che le autrici per prime volevano tradotte nelle opere a loro destinate. Una vera rivoluzione, che per gusti e tematiche cercava di discostarsi dal gusto tezukiano originale, ancora legato ai modelli fumettistici disneyani, per perseguire un binario autonomo figlio delle neocorrenti autoriali del gekiga.
Gusti trasognati e romantici, tratti fini e delicati, trame intense e appassionate, divennero un marchio di fabbrica di questo nuovo corso di stile dei manga. Un modello che generò stilemi riconoscibili anche fuori dal genere specifico: come i famigerati occhi dei protagonisti di queste storie, grandi e brillanti come gioielli che sembrano tagliare e catturare una luce propria, esaltando le emozioni delle vicende.
E soprattutto tematiche nuove, incentrate su relazioni omoerotiche dal sapore romanzesco e melodrammatico, ma anche da un senso erotico fortemente estetizzante, genesi del topos dei bishonen che si può ricondurre al testo di Taruho Inagaki "Shonen'ai no Bigaku" ("L'estetica dell'amore tra ragazzi"), opera che ha probabilmente ispirato nel titolo una delle denominazioni canoniche di questo nuovo genere.
Autrici come Moto Hagio e la Takemiya attinsero però anche a diversi modelli narrativi ed estetici della cultura occidentale, come i romanzi di Herman Hesse, da cui trassero le ambientazioni tipiche delle loro prime trame: istituti scolastici europei (rigorosamente maschili) improntati sul modello dei college britannici.
"Il Cuore di Thomas" della Hagio rende perfettamente questi modelli estetico-formali, e l'opera della Takemiya ne segue il segno, mutuando semantiche figurative e grafiche dell'arte occidentale fin de siecle, nel segno del Simbolismo e dell'Art Nouveau. Letture artistiche che emergono potentemente in film come "Morte a Venezia" di Luchino Visconti, tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Mann.
Interessanti non a caso le somiglianze soprattutto estetiche fra il personaggio di Gilbert e l'iconico Tadzio. Figure androgine simbolo di un'infanzia idealizzata: pura e angelicata nella forma ma foriera di dannazioni ontologiche e tentazioni neoplatoniche.
Sia la Hagio che la Takemiya furono anche ispirate in origine da "Le amicizie particolari", romanzo di Roger Peyrefitte, da cui nel 1964 venne tratta un'omonima pellicola di Jean Delannoy.
Romanzo e film sono stati perlopiù ignorati in Occidente, ma il secondo pare fosse invece divenuto un piccolo cult per le giovani donne della generazione del Gruppo 24.
La Takemiya ha sicuramente tratto ispirazione da questo film, non fosse altro per la curiosa coincidenza per cui l'istituto in cui si svolge il dramma principale si chiama esattamente come uno degli attori protagonisti della pellicola del '64: Francis "Lacombrade".
Ambientazione e diversi sviluppi sono del resto quasi mutuati alla perfezione. Ma anche in relazione al tema del contesto sociale e culturale ostile, del finale drammatico di una relazione contrastata, delle tentazioni e dei desideri clandestini sussurrati o inespressi.
Tutti luoghi narrativi e tematici che saranno il perno delle prime opere del Gruppo 24 e che faranno letteralmente scuola per i classici del genere. Infatti, per estensione, i canoni espressi dalle opere ispirate a "Le amicizie particolari" diverranno un topos semantico che come un fil rouge arriva fino ad opere come "Banana Fish" di Akimi Yoshida o "Sakuragari" di Yu Watase.
Elementi che risultano più marcati grazie al "difetto" dell'anime di concentrarsi solo sui primi capitoli del manga, permettendo un metro di paragone e assonanza con il film francese che ispirò la fonte cartacea.
E in questo caso specifico un trait d'union fondamentale tra l'OAV e il film di Delannoy è il tema religioso, semantizzato in un sottofondo permeato da un cattolicesimo imperante e castrante, sintomo di un tradizionalismo bigotto e performativo che funge allo stesso tempo da elemento narrativo perturbatore ma anche da catalizzatore filologico che arricchisce il gioco dei contrasti e delle opposizioni semantiche tra il vecchio e il nuovo, l'età adulta dalla gioventù, il rigore dalla passione, la cappa della morale dalla catarsi del peccato.
Non sfuggano del resto le continue apparizioni del Cristo sulla croce, sintesi stessa del concetto di martirio, e per riflesso dello stesso carattere erogeno dell'estasi martiriale. Assume quindi nuova valenza anche il riferimento al sottotitolo originale dell'anime, dove il liturgico SANCTUS a caratteri cubitali sa di maliziosa connotazione di un senso velatamente morboso della santità.
Vale la pena in questo caso citare la scena dove il crocefisso in piena esaltazione durante una messa viene alternato alle scene in cui Gilbert copula violentemente con uno dei suoi amanti, godendo/soffrendo dei suoi catartici peccati.
Un effetto cinematografico che cita il montaggio delle attrazioni di eisensteiniana memoria.
In tal senso è pregevole anche l'effetto ottenuto dalla colonna sonora, che crea l'ennesimo contrasto artistico alternando i ritmi da clavicembalo di Bach (barocchi e austeri) ai virtuosismi da pianoforte di Chopin (romantici e melanconici).
Stanti tutti questi accorgimenti stilistici, nonostante i problemi di riduzione e adattamento o le limitazioni di minutaggio e sceneggiatura, l'OAV di YAS si fa notare per un ottimo comparto tecnico e una trasposizione a suo modo completa, che può soddisfare tutti i palati, anche quelli di chi non è avvezzo ai temi omoerotici o shojo in generale.
Queste righe fanno da intermezzo ad una delle opere più particolari dell'animazione nipponica.
1887.
Un giovane uomo, Serge Battour, è in visita all'istituto Lacombrade, nei pressi di Arles, l'ex collegio in cui studiò e dove visse la sua adolescenza. L'occasione non è solo un modo per fare un viaggio sul viale dei ricordi, ma per rievocare un passo fondamentale della sua vita, una stagione fatta di immense gioie e orrori, di passioni e dolori, seguendo le orme di un ricordo dolce e struggente che come un fantasma aleggia ancora nelle camere vuote e nei giardini appesantiti da un autunno malinconico.
È l'inizio di un flashback che riporterà Serge ai tempi in cui visse il periodo più gioioso e drammatico della sua vita, quando conobbe il suo compagno di stanza, Gilbert Cocteau.
"Il poema del vento e degli alberi" è un OAV del 1987 tratto dall'omonimo manga di Keiko Takemiya, opera culto del genere shojo e seminale per quello allora nascente del Boys' Love.
L'anime, prodotto dalla Shogakukan e dall'Herald Enterprise, è diretto da un gigante come Yoshikazu Yasuhiko (YAS), regista, mangaka e character designer che ha prestato il suo talento ad anime che al loro tempo fecero scuola, legando il suo nome a franchise del calibro di "Gundam".
Esclusi titoli simili tuttavia, YAS si segnala spesso per le sue produzioni altamente autoriali, squisitamente di nicchia, nonostante le sue doti tecniche e narrative non abbiano nulla da invidiare al sensazionalismo pop.
Basti pensare al sense of wonder che emerge in serie come "Giant Gorg" o in molti dei suoi film.
Ad uno di questi, "Crusher Joe", prestò anche il suo contributo proprio Keiko Takemiya nel 1983.
La sua scelta come possibile traduttore della monumentale opera della mangaka non è quindi affatto strana, soprattutto se si considera che YAS non è del tutto insensibile a modelli e forme estetiche dal gusto omoerotico. Reduce da "Arion", il regista si cimenta stavolta con un genere e un filone narrativo molto particolari, all'epoca poco noti fuori dalla ridotta cerchia degli appassionati, perlopiù donne.
Un altro manga simile della Takemiya, "Natsu e no Tobira", era già stato tradotto in un film anime nel 1981 dallo studio Madhouse. Tuttavia i temi sentimentali (omoerotici o meno) e i toni melò di quest'altra opera sono anni luce dal carattere acceso e potente del manga che YAS si apprestava ad adattare.
La scommessa era forte e forse fu in parte sottovalutata.
L'intenzione iniziale era probabilmente quella di produrre una serie di OAV, ma purtroppo il primo non ebbe un successo sufficiente da permettere di proseguire l'adattamento dei seguenti capitoli del manga, che a tutt'oggi risulta praticamente animato solo per un decimo.
L'anime si ferma infatti all'incirca a metà del terzo capitolo, di cui riprende nel titolo originale la dicitura Sanctus. Riassumere in una serie di OAV tutti i capitoli dell'opera di riferimento era senza dubbio un'impresa molto ambiziosa, e la trama ne ha fatto le spese, perdendo molte sfumature, sviluppi e dettagli di contorno, nonché alcuni personaggi secondari, sacrificati d'importanza o completamente spariti.
Tuttavia lo zampino della Takemiya alla supervisione si coglie nel fatto che il suo lavoro non è stato affatto mutilato o snaturato nei suoi temi fondamentali, e anzi per paradosso il senso principale del manga ne risulta perfino esaltato con l'aggiunta di elementi di trama inediti. I quali, attraverso l'espediente del flashback, sembrano creare una sorta di suggello che, oltre a fungere da epilogo formale della storia, pare invitare lo spettatore a riviverla, fantasticando sui suoi esiti o invitando al recupero del manga stesso.
Dato che l'idea originale di possibili seguiti non ha purtroppo trovato esito, diversi elementi cardine della trama risultano troncati di netto, con suggerimenti di possibili sviluppi non chiariti e totalmente irrisolvibili senza l'ausilio del supporto cartaceo.
Ma la perizia registica di YAS riesce a far dimenticare anche questa pecca, consentendo all'opera di risultare perfettamente organica e coerente pur nella sua incompletezza e brevità (sessanta minuti).
La forza dell'anime sta proprio nel risultato di essere una piccola perla grezza, un non finito, che si segnala per il carattere pionieristico nelle trasposizioni del genere.
Traguardo tutt'altro che scontato, se si considera che "Il poema del vento e degli alberi" è un'opera difficile, che trovò resistenze nell'essere pubblicata, per via del suo carattere molto intenso, che non risparmia tematiche scomode, all'epoca perlopiù estranee al mondo del fumetto e dell'animazione.
Un prodotto audace dove pathos e afflati di passione struggente si accompagnano a momenti di abusi e violenze, tra sensualismo e sopraffazione, affetto e stupri, in un iter narrativo che punta sul melodrammatico col chiaro intento di proporre un potente e spassionato atto d'amore per il pensiero romantico e le sue ricadute nelle espressioni e negli accenti del XIX secolo.
L'anime rende alla perfezione questo contesto, grazie a un sapiente uso del colore tendente a toni cupi ma tenui, che richiamano le tinte pastello o il seppiato delle vecchie pellicole e fotografie, creando in questo modo un ottimo parallelismo filologico con il concetto di soffuso dell'idea dei ricordi.
Dominano non a caso i contrasti di luci e ombre, di assolate ma languide mattinate occitane alternate a grigie serate tagliate da fiocchi di neve candidi ma pesanti.
Il tutto esaltato da una colonna sonora perfettamente coerente al contesto storico, chiamando in causa le cupe sinfonie di Bach e le dolenti sonate di Chopin, accrescendo un tono generale che strizza l'occhio al Romanticismo gotico.
Suoni però a volte alternati da silenzi assordanti, usati per far urlare le emozioni nei momenti più accesi o drammatici.
La ricostruzione è perfetta, e nonostante alcune ingenuità restituisce al meglio l'idea di un'ambientazione romanzesca. Grazie alla cura per le scenografie di Yamako Ishikawa, interni e paesaggi non sfigurano con i loro corrispettivi cartacei.
Tuttavia, se il chara dei due protagonisti rispetta perlopiù il sema della Takemiya, praticamente quasi tutti gli altri personaggi sono filtrati da una chiara rilettura di YAS. Non ce n'è uno in sostanza che non sembri uscito da un episodio di "Gundam", il che permette subito di cogliere la firma a monte.
Come il manga, l'anime non lesina sugli eccessi e i toni drammatici delle vicende più importanti, perfettamente rispettati nel doppiaggio italiano anche nei suoi aspetti più forti, senza risparmiare insulti o imprecazioni pesanti. E anche se l'anime è un piccolo cult del genere erotico (al punto da essere qui da noi vietato ai minori di quattordici anni), il senso generale non arriva mai ai livelli del porno vero e proprio.
"Il poema del vento e degli alberi" non è mero intrattenimento a luci rosse, ma un elegante concentrato di temi e modelli figurativi e narrativi ben consolidati o proposti per la prima volta all'epoca con un carattere inedito.
L'autrice fu infatti una delle esponenti di punta del cosiddetto Gruppo 24, una comitiva di autrici perlopiù coetanee (nate soprattutto nel 1949, il ventiquattresimo anno dell'era Showa) che fu protagonista di una nuova stagione del fumetto giapponese, fino ad allora appannaggio quasi esclusivo di autori maschi che pubblicavano anche le storie dedicate alle ragazze.
Oltre alla Takemiya, figure come Moto Hagio, Yumiko Ooshima e Ryoko Yamagishi si ritrovarono quindi in un ruolo da pioniere, decise a portare una nuova sensibilità narrativa e figurativa che soddisfacesse soprattutto quelle esigenze da fan che le autrici per prime volevano tradotte nelle opere a loro destinate. Una vera rivoluzione, che per gusti e tematiche cercava di discostarsi dal gusto tezukiano originale, ancora legato ai modelli fumettistici disneyani, per perseguire un binario autonomo figlio delle neocorrenti autoriali del gekiga.
Gusti trasognati e romantici, tratti fini e delicati, trame intense e appassionate, divennero un marchio di fabbrica di questo nuovo corso di stile dei manga. Un modello che generò stilemi riconoscibili anche fuori dal genere specifico: come i famigerati occhi dei protagonisti di queste storie, grandi e brillanti come gioielli che sembrano tagliare e catturare una luce propria, esaltando le emozioni delle vicende.
E soprattutto tematiche nuove, incentrate su relazioni omoerotiche dal sapore romanzesco e melodrammatico, ma anche da un senso erotico fortemente estetizzante, genesi del topos dei bishonen che si può ricondurre al testo di Taruho Inagaki "Shonen'ai no Bigaku" ("L'estetica dell'amore tra ragazzi"), opera che ha probabilmente ispirato nel titolo una delle denominazioni canoniche di questo nuovo genere.
Autrici come Moto Hagio e la Takemiya attinsero però anche a diversi modelli narrativi ed estetici della cultura occidentale, come i romanzi di Herman Hesse, da cui trassero le ambientazioni tipiche delle loro prime trame: istituti scolastici europei (rigorosamente maschili) improntati sul modello dei college britannici.
"Il Cuore di Thomas" della Hagio rende perfettamente questi modelli estetico-formali, e l'opera della Takemiya ne segue il segno, mutuando semantiche figurative e grafiche dell'arte occidentale fin de siecle, nel segno del Simbolismo e dell'Art Nouveau. Letture artistiche che emergono potentemente in film come "Morte a Venezia" di Luchino Visconti, tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Mann.
Interessanti non a caso le somiglianze soprattutto estetiche fra il personaggio di Gilbert e l'iconico Tadzio. Figure androgine simbolo di un'infanzia idealizzata: pura e angelicata nella forma ma foriera di dannazioni ontologiche e tentazioni neoplatoniche.
Sia la Hagio che la Takemiya furono anche ispirate in origine da "Le amicizie particolari", romanzo di Roger Peyrefitte, da cui nel 1964 venne tratta un'omonima pellicola di Jean Delannoy.
Romanzo e film sono stati perlopiù ignorati in Occidente, ma il secondo pare fosse invece divenuto un piccolo cult per le giovani donne della generazione del Gruppo 24.
La Takemiya ha sicuramente tratto ispirazione da questo film, non fosse altro per la curiosa coincidenza per cui l'istituto in cui si svolge il dramma principale si chiama esattamente come uno degli attori protagonisti della pellicola del '64: Francis "Lacombrade".
Ambientazione e diversi sviluppi sono del resto quasi mutuati alla perfezione. Ma anche in relazione al tema del contesto sociale e culturale ostile, del finale drammatico di una relazione contrastata, delle tentazioni e dei desideri clandestini sussurrati o inespressi.
Tutti luoghi narrativi e tematici che saranno il perno delle prime opere del Gruppo 24 e che faranno letteralmente scuola per i classici del genere. Infatti, per estensione, i canoni espressi dalle opere ispirate a "Le amicizie particolari" diverranno un topos semantico che come un fil rouge arriva fino ad opere come "Banana Fish" di Akimi Yoshida o "Sakuragari" di Yu Watase.
Elementi che risultano più marcati grazie al "difetto" dell'anime di concentrarsi solo sui primi capitoli del manga, permettendo un metro di paragone e assonanza con il film francese che ispirò la fonte cartacea.
E in questo caso specifico un trait d'union fondamentale tra l'OAV e il film di Delannoy è il tema religioso, semantizzato in un sottofondo permeato da un cattolicesimo imperante e castrante, sintomo di un tradizionalismo bigotto e performativo che funge allo stesso tempo da elemento narrativo perturbatore ma anche da catalizzatore filologico che arricchisce il gioco dei contrasti e delle opposizioni semantiche tra il vecchio e il nuovo, l'età adulta dalla gioventù, il rigore dalla passione, la cappa della morale dalla catarsi del peccato.
Non sfuggano del resto le continue apparizioni del Cristo sulla croce, sintesi stessa del concetto di martirio, e per riflesso dello stesso carattere erogeno dell'estasi martiriale. Assume quindi nuova valenza anche il riferimento al sottotitolo originale dell'anime, dove il liturgico SANCTUS a caratteri cubitali sa di maliziosa connotazione di un senso velatamente morboso della santità.
Vale la pena in questo caso citare la scena dove il crocefisso in piena esaltazione durante una messa viene alternato alle scene in cui Gilbert copula violentemente con uno dei suoi amanti, godendo/soffrendo dei suoi catartici peccati.
Un effetto cinematografico che cita il montaggio delle attrazioni di eisensteiniana memoria.
In tal senso è pregevole anche l'effetto ottenuto dalla colonna sonora, che crea l'ennesimo contrasto artistico alternando i ritmi da clavicembalo di Bach (barocchi e austeri) ai virtuosismi da pianoforte di Chopin (romantici e melanconici).
Stanti tutti questi accorgimenti stilistici, nonostante i problemi di riduzione e adattamento o le limitazioni di minutaggio e sceneggiatura, l'OAV di YAS si fa notare per un ottimo comparto tecnico e una trasposizione a suo modo completa, che può soddisfare tutti i palati, anche quelli di chi non è avvezzo ai temi omoerotici o shojo in generale.