Recensione
Recensione di Pan Daemonium
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--- Questa recensione è una funerea eulogia, una trenodia dedicata alla morte di Neon Genesis Evangelion - ed alla nostra liberazione, sfociante che sia nella vita o nella morte. Il film in questione è trattato incidentalmente ed il voto risente anche delle tante insoddisfazioni che la Rebuild mi ha dato nel corso degli ultimi 9 anni, da quando mi ci sono avvicinato la prima volta. ---
"Thrice upon a time". Tre era considerato numero fortunato e magico nell'antichità.
Davanti al male gli antichi Romani sputavano tre volte con intenti apotropaici. Il tre li avrebbe aiutati.
Eppure il 2021, l'anno che viviamo, ha visto la tentata morte di una persona a me vicina, la morte di Kentarou Miura e la conseguente fine prematura di Berserk - e ora la fine di Evangelion, l'unica vera fiamma nella produzione di Hideaki Anno.
Evangelion era in realtà morto tanto tempo fa. Non per una questione nostalgica e misoneista, di rifiuto di questa novità "ricostruttrice", misconoscendola e riconoscendo unicamente la serie animata classica (1995-96). Evangelion era effettivamente morto, oggettivamente morto. La parabola di crescita interiore di Shinji, questo anti-eroe rappresentante il popolo giapponese rimasto agli occhi di Anno infante e immaturo, senza punti di riferimento e modelli di vita e morale adulta (https://archive.ph/FQFuh), si concludeva degnamente con la sua rinascita - con l'applauso finale che lo riconosceva come degno cittadino e amico, come non-più-bambino ("a tutti i bambini del mondo: congratulazioni"). Anno non aveva, probabilmente, tenuto in considerazione il fatto di aver creato un'opera non meramente introspettiva, ma anche mistica, ergentesi su di un piano più elevato rispetto alla media, mescolante gli stilemi classici di mecha e kaiju con fin troppo altro, seppure in un modo agli occhi dei più arguti troppo caotico e dilettantescamente esoterico. Una ricetta esplosiva che creò una esplosiva fanbase sostanzialmente insaziabile. Le minacce di morte, all'epoca ancora prese sul serio (siamo lontani dalla desensibilizzazione odierna), colpirono vivamente Anno, che si rivolse anche verso l'estremo gesto (https://www.youtube.com/watch?v=mCkeQIAOuBg). Il disgusto di Anno per la comunità a cui lui aveva rivolto la sua opera, che aveva spronato a rialzarsi, a maturare, ma che aveva risposto con un ritorno di fiamma, si condensa nel 1997 nel film "The end of Evangelion" (EoE), agli occhi di molti la focaccia soporifera data in pasta a Cerbero. Anno inserì nella parte finale di EoE piccole riproduzioni di queste minacce e questi insulti che ricevette e che lo portarono, pochi anni dopo (2002-04), ad ammettere che "after Eva, there was a time when I wanted to stop being an otaku. I was sick of the stagnation of the anime industry and fans. I was filled with self-hatred back then. I was desperate." Queste dichiarazioni, inserite nei capitoli extra del manga "Insufficient direction" co-prodotto da Anno stesso e la sua neo-moglie (2002), si inseriscono in una nuova fase di vita dell'autore. Il matrimonio cambia Hideaki Anno e cambia il suo modo pessimista di vedere l'esistenza, introversa e chiusa, incurante.
Eppure, nel mentre, nella vita reale avveniva più o meno ciò che avveniva nel mondo immaginario di NeoTokyo-3. La community, come l'Idra di Lerna, più passava il tempo e più accresceva il numero delle proprie teste e la propria temibilità nutrendosi di accessori, giochi da tavolo e digitali, fumetti - tutto targato NGE – esattamente come nella serie originale ad un Angelo ne seguiva un altro ed un altro ancora, senza requie. La fama degli Eva si nutriva di sé stessa, ma la responsabilità non poteva che ricadere sul creatore stesso. Hideaki Anno, non so se più nolente che volente o viceversa, si imbarca perciò nel 2006 in questa "storia che si ripete" (come dichiarato in un pamphlet pre-Rebuild: https://archive.ph/ReFyB): la ricostruzione di Neon Genesis Evangelion, ma in realtà la sua esorcizzazione.
Per quanto Neon Genesis Evangelion fosse già di per sé, come detto sopra, terminato - morto non era però il suo lascito. Il Rebuild non è altro che la critica di Anno alla sua stessa creatura. Un lungo e goffo "addio" che ha impiegato 15 anni per poter esser pronunciato. Il liberarsi del masso da parte di Sisifo. Come sottolineato da M. Zucchi (https://archive.ph/ReFyB), il Rebuild ha sofferto di una sovrabbondanza di finanziamenti, cosa che ha portato al dedicarsi in modo pleonastico alla sua façade action e mecha, spesso - anche qui, nel quarto capitolo - assolutamente sfacciata, insulsa nella sua gigantografia. In modo similare il costante fan service e le nudità prima d'ora mai così impudentemente ostentate. Inizio a ritenere, però, che questi tratti - da me tanto criticati e disprezzati - consistano, in realtà, nell'ultimo sfregio di chi ha il potere di avere l'ultima parola, ovverossia Anno in persona. Siamo stati tutti innamorati di Rei e siamo stati tutti attratti di Asuka. In balia e ostaggio della deformazione (in parte per colpa di Anno stesso, che da "primo" otaku ha impresso la sua visione delle sue protagoniste su di noi) della sua opera d'arte e dei personaggi della sua opera d'arte, l'autore decide di dare alla community quello che la community avrebbe sempre voluto, per quanto infimo potesse essere. I tronfi e lunghi scontri aerei, le nudità e gli accenni sessuali ripetuti, il nuovo ruolo di Rei (ed in parte di Asuka) di adolescente innamorata di Shinji - tutto ciò è quello che nella nostra giovinezza avevamo sognato accadesse, ma che Anno si era rifiutato di concederci.
Non avremmo sempre voluto ritrovare una Rei che aspettasse Shinji a casa come una fedele fidanzata ed un'Asuka i cui contorni potessero essere raddolciti dalla parvenza dell'amore? Non avremmo sempre voluto osservare più carnalità espressa e non repressa? Non avremmo voluto, alla fine, che tutto ciò non finisse mai? Nel terzo capitolo della ricostruzione di NGE, il più bistrattato dalla critica (e anche da me), il parossismo di tutto ciò diventa talmente immane da rinchiudere i nostri idoli, Asuka e Shinji, in corpi adolescenziali vita natural durante: 14 anni sono passati, ma loro sono incapaci di crescere, compressi dalla cornice della loro stessa fama, dal franchise. Primo, secondo, terzo, persino quarto "impact". Tutto ricomincia sempre, senza mai evolversi se non nella laboriosità di nomi, acronimi, modelli di Evangelion - i quali diventano miriadi, infiniti come le centinaia di migliaia di copie di pupazzi, portachiavi e quant’altro sono state prodotte. La linearità primitiva, ossia lo sconfiggere un Angelo dopo l'altro fino ad arrivare alla fine del Progetto di perfezionamento dell'uomo, si perde tra i rivoli di sottotrame mai chiarite e di molteplicità allucinanti. Evangelion, costretto ad una vita più lunga del dovuto, diventa un prodotto senile le cui cellule cominciano a impazzire, esplodendo in una esasperante complicatezza alla fine vacua ed inspiegabile, tumorale.
Attenzione: questa parte contiene spoiler!
La bellezza del quarto capitolo di questa saga sta proprio nel modo delicato e nello stesso tempo schizoide che ha di porre un freno a questa metastasi. I nostri protagonisti, visibilmente stanchi, si ritrovano in un anonimo e calmo villaggio sulle montagne nipponiche. La calma bucolica e miyazakiana (leggere sempre Zucchi per un paragone al riguardo: https://archive.ph/ReFyB) della vita di Rei, che impara a coltivare il riso e a sorridere, mentre Toji e Kensuke vivono la propria vita adulta nel modo più accettabile possibile per sé stessi e per il prossimo, è comunque accompagnata dal dramma infinito e faustiano di Shinji ed Asuka, intrappolati nel proprio inferno, ed è geograficamente ubicata ai lati di un contaminato cimitero di Evangelion - dei tanti Evangelion che negli anni sono nati e morti e rinati, appestando l'ambiente e l'idea originale. La melma può esondare da un momento all'altro - ed è quel che avviene. L'umanizzazione e la pace interiore ed esteriore di Rei, il personaggio più bistrattato e desolante dell'intera serie, quello per cui molti di noi han provato emozioni più sincere e forti, “scoppia” improvvisamente: Rei non può esistere fuori dal suo stesso mito e ruolo. È in quel momento che il "modo delicato" di risolvere la peste viene abbandonato per il "modo schizoide", per autocitarmi. Un ultimo scontro finale ed apocalittico che ripercorre l'ultimo scontro finale ed apocalittico di The End of Evangelion in modo pedissequo, anche graficamente, si snoda in vie oscure a livello di trama, ma non nello spirito: se nel film del 1997 Shinji era guerriero in una lunga battaglia con sé stesso, questa volta invece la guerra è rivolta al proprio creatore, quasi come il Satana di “Paradise Lost” o il Maldoror di Lautréamont. Sotto la patina edipica si ritrova il ribellarsi del protagonista non al proprio stesso padre, ma ad Hideaki Anno in persona (Anno stesso ha ammesso una sua vicinanza al personaggio di Gendou, oramai. "Now I feel closer to Gendou than Shinji": https://evangelion.fandom.com/wiki/Evangelion_3.0%2B1.0_Assorted_Translations) - sino all'ammissione di colpa, allo sfogo, al primo sfogo che Gendou non trattiene in 30 anni. L'abbraccio finale e la riappacificazione tanto agognata col padre; il placido scambio, sull’apocalittica spiaggia di 24 anni fa, di complimenti tra Asuka e Shinji e la triste ammissione di un amore che non è mai sbocciato, per cui ora è troppo tardi ("grazie per aver detto che ti piacevo. Anche a me piacevi" - ma anche la esorcizzazione dell'ipersessualizzazione di questo povero personaggio, ora libero di essere donna e non oggetto sessuale: https://archive.md/jO7Q4); il saluto a Kaworu, il rappresentante del tutto, l'ultimo Angelo, la colla che teneva tutto assieme. A questo punto tutto crolla e la quarta parete vien giù. Ci ritroviamo in uno studio cinematografico. Rimane una sola persona con cui fare i conti, colei che rappresentava la madre, la sorella e l'amante: Rei/Yuki. L'ultima ad essere salutata.
La bolla è scoppiata e l'anime stesso crolla. Shinji, seduto sull'arena dinnanzi ad un mare azzurro, purificato dalla "morte rossa" di Evangelion, si deforma e destruttura graficamente sino a divenire una bozza di disegno - ma il risveglio è alle porte. Mari, questo personaggio iniettato apparentemente senza una motivazione valida da Anno nel secondo film, diventa la catalizzatrice della rinascita in e di un mondo nuovo. Una "neon genesis" senza Evangelion. Rei con Kaworu, Asuka presumibilmente con Kensuke - e Mari con uno Shinji adulto. La speranza finale di molti di noi, ossia di vedere il trio Rei-Asuka-Shinji ancora assieme si scioglie, un po' come i corpi umani durante il Third Impact. Mari, chiamata in una scena di questo film "Iscariota" da Fuyutsuki, ci "tradisce" e "tradisce" i nostri sogni ancora debolmente attaccati a questi 30 anni di mitologia evangelioniana. Come spesso, o anzi sempre, accade nella vita reale, le persone che tanto credevamo fossero le nostra colonne portanti verranno perse e nuovi legami umani si formeranno, per quanto ciò possa essere desolante. Questa è la vita, quella vera che i personaggi di NGE hanno tanto tardato ad assaporare, anche nella sua amarezza, per essere stati intrappolati per ben tre decenni nel “sogno del cacciatore” dello spettatore medio – spettatore intrappolato anch’esso nel proprio stesso onirismo.
Fine parte contenente spoiler
Si spera, a questo punto, dopo tanto soffrire, tanto invecchiare, tanto discettare – si spera che finalmente sia finita.
E che possiamo tutti morire in pace, o vivere in pace.
Molti di noi, purtroppo o per fortuna, si erano risvegliati dal sogno tanto, tanto tempo fa - e l'effetto che questo film provoca è più o meno solamente nostalgico. Come ricordi de "le mie prigioni".
Da leggere: https://archive.md/Wa7X6
"Thrice upon a time". Tre era considerato numero fortunato e magico nell'antichità.
Davanti al male gli antichi Romani sputavano tre volte con intenti apotropaici. Il tre li avrebbe aiutati.
Eppure il 2021, l'anno che viviamo, ha visto la tentata morte di una persona a me vicina, la morte di Kentarou Miura e la conseguente fine prematura di Berserk - e ora la fine di Evangelion, l'unica vera fiamma nella produzione di Hideaki Anno.
Evangelion era in realtà morto tanto tempo fa. Non per una questione nostalgica e misoneista, di rifiuto di questa novità "ricostruttrice", misconoscendola e riconoscendo unicamente la serie animata classica (1995-96). Evangelion era effettivamente morto, oggettivamente morto. La parabola di crescita interiore di Shinji, questo anti-eroe rappresentante il popolo giapponese rimasto agli occhi di Anno infante e immaturo, senza punti di riferimento e modelli di vita e morale adulta (https://archive.ph/FQFuh), si concludeva degnamente con la sua rinascita - con l'applauso finale che lo riconosceva come degno cittadino e amico, come non-più-bambino ("a tutti i bambini del mondo: congratulazioni"). Anno non aveva, probabilmente, tenuto in considerazione il fatto di aver creato un'opera non meramente introspettiva, ma anche mistica, ergentesi su di un piano più elevato rispetto alla media, mescolante gli stilemi classici di mecha e kaiju con fin troppo altro, seppure in un modo agli occhi dei più arguti troppo caotico e dilettantescamente esoterico. Una ricetta esplosiva che creò una esplosiva fanbase sostanzialmente insaziabile. Le minacce di morte, all'epoca ancora prese sul serio (siamo lontani dalla desensibilizzazione odierna), colpirono vivamente Anno, che si rivolse anche verso l'estremo gesto (https://www.youtube.com/watch?v=mCkeQIAOuBg). Il disgusto di Anno per la comunità a cui lui aveva rivolto la sua opera, che aveva spronato a rialzarsi, a maturare, ma che aveva risposto con un ritorno di fiamma, si condensa nel 1997 nel film "The end of Evangelion" (EoE), agli occhi di molti la focaccia soporifera data in pasta a Cerbero. Anno inserì nella parte finale di EoE piccole riproduzioni di queste minacce e questi insulti che ricevette e che lo portarono, pochi anni dopo (2002-04), ad ammettere che "after Eva, there was a time when I wanted to stop being an otaku. I was sick of the stagnation of the anime industry and fans. I was filled with self-hatred back then. I was desperate." Queste dichiarazioni, inserite nei capitoli extra del manga "Insufficient direction" co-prodotto da Anno stesso e la sua neo-moglie (2002), si inseriscono in una nuova fase di vita dell'autore. Il matrimonio cambia Hideaki Anno e cambia il suo modo pessimista di vedere l'esistenza, introversa e chiusa, incurante.
Eppure, nel mentre, nella vita reale avveniva più o meno ciò che avveniva nel mondo immaginario di NeoTokyo-3. La community, come l'Idra di Lerna, più passava il tempo e più accresceva il numero delle proprie teste e la propria temibilità nutrendosi di accessori, giochi da tavolo e digitali, fumetti - tutto targato NGE – esattamente come nella serie originale ad un Angelo ne seguiva un altro ed un altro ancora, senza requie. La fama degli Eva si nutriva di sé stessa, ma la responsabilità non poteva che ricadere sul creatore stesso. Hideaki Anno, non so se più nolente che volente o viceversa, si imbarca perciò nel 2006 in questa "storia che si ripete" (come dichiarato in un pamphlet pre-Rebuild: https://archive.ph/ReFyB): la ricostruzione di Neon Genesis Evangelion, ma in realtà la sua esorcizzazione.
Per quanto Neon Genesis Evangelion fosse già di per sé, come detto sopra, terminato - morto non era però il suo lascito. Il Rebuild non è altro che la critica di Anno alla sua stessa creatura. Un lungo e goffo "addio" che ha impiegato 15 anni per poter esser pronunciato. Il liberarsi del masso da parte di Sisifo. Come sottolineato da M. Zucchi (https://archive.ph/ReFyB), il Rebuild ha sofferto di una sovrabbondanza di finanziamenti, cosa che ha portato al dedicarsi in modo pleonastico alla sua façade action e mecha, spesso - anche qui, nel quarto capitolo - assolutamente sfacciata, insulsa nella sua gigantografia. In modo similare il costante fan service e le nudità prima d'ora mai così impudentemente ostentate. Inizio a ritenere, però, che questi tratti - da me tanto criticati e disprezzati - consistano, in realtà, nell'ultimo sfregio di chi ha il potere di avere l'ultima parola, ovverossia Anno in persona. Siamo stati tutti innamorati di Rei e siamo stati tutti attratti di Asuka. In balia e ostaggio della deformazione (in parte per colpa di Anno stesso, che da "primo" otaku ha impresso la sua visione delle sue protagoniste su di noi) della sua opera d'arte e dei personaggi della sua opera d'arte, l'autore decide di dare alla community quello che la community avrebbe sempre voluto, per quanto infimo potesse essere. I tronfi e lunghi scontri aerei, le nudità e gli accenni sessuali ripetuti, il nuovo ruolo di Rei (ed in parte di Asuka) di adolescente innamorata di Shinji - tutto ciò è quello che nella nostra giovinezza avevamo sognato accadesse, ma che Anno si era rifiutato di concederci.
Non avremmo sempre voluto ritrovare una Rei che aspettasse Shinji a casa come una fedele fidanzata ed un'Asuka i cui contorni potessero essere raddolciti dalla parvenza dell'amore? Non avremmo sempre voluto osservare più carnalità espressa e non repressa? Non avremmo voluto, alla fine, che tutto ciò non finisse mai? Nel terzo capitolo della ricostruzione di NGE, il più bistrattato dalla critica (e anche da me), il parossismo di tutto ciò diventa talmente immane da rinchiudere i nostri idoli, Asuka e Shinji, in corpi adolescenziali vita natural durante: 14 anni sono passati, ma loro sono incapaci di crescere, compressi dalla cornice della loro stessa fama, dal franchise. Primo, secondo, terzo, persino quarto "impact". Tutto ricomincia sempre, senza mai evolversi se non nella laboriosità di nomi, acronimi, modelli di Evangelion - i quali diventano miriadi, infiniti come le centinaia di migliaia di copie di pupazzi, portachiavi e quant’altro sono state prodotte. La linearità primitiva, ossia lo sconfiggere un Angelo dopo l'altro fino ad arrivare alla fine del Progetto di perfezionamento dell'uomo, si perde tra i rivoli di sottotrame mai chiarite e di molteplicità allucinanti. Evangelion, costretto ad una vita più lunga del dovuto, diventa un prodotto senile le cui cellule cominciano a impazzire, esplodendo in una esasperante complicatezza alla fine vacua ed inspiegabile, tumorale.
Attenzione: questa parte contiene spoiler!
La bellezza del quarto capitolo di questa saga sta proprio nel modo delicato e nello stesso tempo schizoide che ha di porre un freno a questa metastasi. I nostri protagonisti, visibilmente stanchi, si ritrovano in un anonimo e calmo villaggio sulle montagne nipponiche. La calma bucolica e miyazakiana (leggere sempre Zucchi per un paragone al riguardo: https://archive.ph/ReFyB) della vita di Rei, che impara a coltivare il riso e a sorridere, mentre Toji e Kensuke vivono la propria vita adulta nel modo più accettabile possibile per sé stessi e per il prossimo, è comunque accompagnata dal dramma infinito e faustiano di Shinji ed Asuka, intrappolati nel proprio inferno, ed è geograficamente ubicata ai lati di un contaminato cimitero di Evangelion - dei tanti Evangelion che negli anni sono nati e morti e rinati, appestando l'ambiente e l'idea originale. La melma può esondare da un momento all'altro - ed è quel che avviene. L'umanizzazione e la pace interiore ed esteriore di Rei, il personaggio più bistrattato e desolante dell'intera serie, quello per cui molti di noi han provato emozioni più sincere e forti, “scoppia” improvvisamente: Rei non può esistere fuori dal suo stesso mito e ruolo. È in quel momento che il "modo delicato" di risolvere la peste viene abbandonato per il "modo schizoide", per autocitarmi. Un ultimo scontro finale ed apocalittico che ripercorre l'ultimo scontro finale ed apocalittico di The End of Evangelion in modo pedissequo, anche graficamente, si snoda in vie oscure a livello di trama, ma non nello spirito: se nel film del 1997 Shinji era guerriero in una lunga battaglia con sé stesso, questa volta invece la guerra è rivolta al proprio creatore, quasi come il Satana di “Paradise Lost” o il Maldoror di Lautréamont. Sotto la patina edipica si ritrova il ribellarsi del protagonista non al proprio stesso padre, ma ad Hideaki Anno in persona (Anno stesso ha ammesso una sua vicinanza al personaggio di Gendou, oramai. "Now I feel closer to Gendou than Shinji": https://evangelion.fandom.com/wiki/Evangelion_3.0%2B1.0_Assorted_Translations) - sino all'ammissione di colpa, allo sfogo, al primo sfogo che Gendou non trattiene in 30 anni. L'abbraccio finale e la riappacificazione tanto agognata col padre; il placido scambio, sull’apocalittica spiaggia di 24 anni fa, di complimenti tra Asuka e Shinji e la triste ammissione di un amore che non è mai sbocciato, per cui ora è troppo tardi ("grazie per aver detto che ti piacevo. Anche a me piacevi" - ma anche la esorcizzazione dell'ipersessualizzazione di questo povero personaggio, ora libero di essere donna e non oggetto sessuale: https://archive.md/jO7Q4); il saluto a Kaworu, il rappresentante del tutto, l'ultimo Angelo, la colla che teneva tutto assieme. A questo punto tutto crolla e la quarta parete vien giù. Ci ritroviamo in uno studio cinematografico. Rimane una sola persona con cui fare i conti, colei che rappresentava la madre, la sorella e l'amante: Rei/Yuki. L'ultima ad essere salutata.
La bolla è scoppiata e l'anime stesso crolla. Shinji, seduto sull'arena dinnanzi ad un mare azzurro, purificato dalla "morte rossa" di Evangelion, si deforma e destruttura graficamente sino a divenire una bozza di disegno - ma il risveglio è alle porte. Mari, questo personaggio iniettato apparentemente senza una motivazione valida da Anno nel secondo film, diventa la catalizzatrice della rinascita in e di un mondo nuovo. Una "neon genesis" senza Evangelion. Rei con Kaworu, Asuka presumibilmente con Kensuke - e Mari con uno Shinji adulto. La speranza finale di molti di noi, ossia di vedere il trio Rei-Asuka-Shinji ancora assieme si scioglie, un po' come i corpi umani durante il Third Impact. Mari, chiamata in una scena di questo film "Iscariota" da Fuyutsuki, ci "tradisce" e "tradisce" i nostri sogni ancora debolmente attaccati a questi 30 anni di mitologia evangelioniana. Come spesso, o anzi sempre, accade nella vita reale, le persone che tanto credevamo fossero le nostra colonne portanti verranno perse e nuovi legami umani si formeranno, per quanto ciò possa essere desolante. Questa è la vita, quella vera che i personaggi di NGE hanno tanto tardato ad assaporare, anche nella sua amarezza, per essere stati intrappolati per ben tre decenni nel “sogno del cacciatore” dello spettatore medio – spettatore intrappolato anch’esso nel proprio stesso onirismo.
Fine parte contenente spoiler
Si spera, a questo punto, dopo tanto soffrire, tanto invecchiare, tanto discettare – si spera che finalmente sia finita.
E che possiamo tutti morire in pace, o vivere in pace.
Molti di noi, purtroppo o per fortuna, si erano risvegliati dal sogno tanto, tanto tempo fa - e l'effetto che questo film provoca è più o meno solamente nostalgico. Come ricordi de "le mie prigioni".
Da leggere: https://archive.md/Wa7X6