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5.0/10
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Ci sarebbero un milione di cose da dire su «Shamo», così tante che sono felice di averlo acquistato [e rivenduto] anche solo per i discorsi che ci potrei intavolare con chiunque lo abbia letto. Tuttavia, stavolta sarò brutale: «Shamo» poteva essere un capolavoro, ma non lo è. «Shamo» è quel manga che aveva tutte le potenzialità per diventare un'opera d'arte, quel manga che effettivamente lo è stato, per metà della storia, ma che qualche genio incompreso ha scelto di mandare in malora, arrogandosi i suoi diritti e imponendosi il difficile compito di continuare qualcosa che non si è [obiettivamente] in grado di portare avanti in autonomia. «Shamo» è composto da trentaquattro volumi, e quando i primi venti ti fanno sognare, e i successivi quattordici (sottolineo: quattordici!) ti fanno imprecare, hai due opzioni: o ti convinci che ti siano piaciuti (e se li hai apprezzati davvero hai tutta la mia invidia), oppure ammetti che l'acquisto di «Shamo» lo dovresti consigliare solo a tuo cugino, quello che ti sta antipatico... E preoccuparti, intanto, di rivenderlo.

Non parlerò della trama: da un lato, per non allungare la recensione; dall'altro, perché credo che lo stupore che si ha nell'aprire i primi volumi stia proprio nella storia fuori dal comune. Mi limito quindi a dirvi che «Shamo» ha per protagonista un folle, un ragazzino di sedici anni che apprende il karate e ne fa una ragione di vita, adottandolo come mezzo per ottenere ciò che vuole e per dare una forma alla sua furia cieca, per sfogare la sua frustrazione, compiendo azioni insensate e totalmente prive di morale. Un ragazzino che vedremo crescere, elevare l'arte marziale a livelli inauditi, per poi cadere nelle mani di un disegnatore che non solo ha scelto di liberarsi di Izō Hashimoto, in parte ideatore e già sceneggiatore di «Akira», ma che ha anche avuto la bella idea di continuarsi la storia da solo, senza assumere qualcun altro che ne avesse lontanamente le competenze, né tantomeno confidandosi, che ne so, con sua moglie, magari, quantomeno per capire se la bomba di storia che si stava venendo a creare non rischiasse di diventare una porcata allucinante.

Questo è «Shamo». Un capolavoro mancato che ha per protagonista un individuo violento, difficile da amare, e probabilmente impossibile da comprendere e accettare; un antieroe che da un certo punto in poi si tenta, in maniera brusca, e senza alcuna idea alla base, di trasformare in un agnellino, in un individuo piacevole, finendo inevitabilmente per rendere lui e il manga stesso un obbrobrio, con un contorno di eventi ai limiti dell'umano comprensibile e antagonisti tirati fuori da un film dei fratelli Vanzina. «Shamo» costa, occupa uno spazio allucinante, e lo sconsiglio a tutti coloro che, terminata la lettura di un manga, tendono, come me, a chiedersi: «Questo fumetto mi ha soddisfatto abbastanza da meritarsi il tempo, i soldi e lo spazio che mi ha richiesto? Lo rileggerei mai, in futuro? Posso dire che mi sia davvero piaciuto?». Perché se non state semplicemente cercando un'opera famosa; se non state cercando di occupare spazio in libreria per il solo gusto di farlo; se non state cercando un manga famoso per il puro gusto di averlo, e se ritenete che anche le "opere d'arte" possano farvi stare male di stomaco, allora, amici miei, conviene che vi fermiate qua.