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L'ambientazione è simile a quella di "Conan, il ragazzo del futuro”: a causa di un disastro ambientale, probabilmente causato dall'uomo, la gente vive in sparuti nuclei sociali in mezzo a una giungla che sembra trovarsi in Italia, ma potremmo essere in Giappone, in Russia o in qualsiasi altro Paese del mondo. Yaya, giovane donna dalla carnagione afro, spiccatamente iraconda, ha per amico Lennie, un gigante con ritardo mentale, forse perché è l'unico che riesce a sopportarla. I due vivono di quello che trovano, entrando non di rado in case abbandonate o il cui proprietario è deceduto. Le cose cominciano a peggiorare quando si ricostituisce l'organizzazione cittadina, che adesso ha abbracciato uno stile di vita pseudo-nazista, cercando i giovani per rapirli e indottrinarli.

C’è tanta di quella carne al fuoco, in questo film, che lo svolgimento dei fatti sembra casuale. La scena in cui si abbuffano, con verso di soddisfazione finale, è roba da cinepanettone, inoltre toglie minuti preziosi per lo sviluppo o la creazione di altre scene, più importanti.

Non sappiamo di chi è la voce narrante: probabilmente della defunta zia, visto che Yaya non è il massimo dell'introspezione a posteriori. Non si capisce di chi è il diario che Yaya legge con interesse, mentre sono "ospiti" della coppia di morti nella casa sull'albero, né che cosa ci sia scritto.

Le scene d'azione sono realizzate come un videoclip musicale. La colonna sonora schiaccia i dialoghi rendendoli spesso incomprensibili, come se non bastasse la lieve cadenza dialettale della doppiatrice. La frase di esordio, "Pensavamo di ballare l'universo", non ha senso.
L'animazione in computer graphic esalta i difetti fisici dei personaggi fino alla repulsione. Non sono reali, ma nemmeno cartoni animati: né carne né pesce.

Non è il film più irritante che abbia mai visto, ma si piazza tra i primi cinque candidati. Quando Mad Entertainment deciderà di fare animazione tradizionale, avvisatemi!