Recensione
Dareka no Manazashi
7.5/10
Il viaggio è un mondo in cui l’avventuroso è quotidiano e la quotidianità è avventurosa.
- F. Caramagna
Rendere il quotidiano, la semplicità e i banali momenti di vita corrente qualcosa di unico e indimenticabile: questo, da sempre, è il più grande talento di Shinkai sensei, più precisamente lo Shinkai degli inizi, il giovane uomo dai sogni malinconici e silenziosi, quello della neve che cade per sempre, ma non gela i cuori, quello dei treni infiniti che tagliano tramonti freddi e di stanti, del futuro prossimo e impossibile, delle monolitiche e aliene città a specchio che vanno a perdersi nel profondo dell’animo di adolescenti affamati di vita, sogni e speranze.
Makoto Shinkai, l’uomo capace di raccontarci albe e crepuscoli filtrandoli attraverso lo spettro dell’infinito.
"Dareka no Manazashi" è un corto di nemmeno sette minuti.
Banale, semplice, quasi del tutto privo di trama, dal ritmo identico e compassato, dolcemente monotono, capace di cullarci in una sequenza di spaccati quotidiani tanto leggeri quanto profondi.
L’arte accattivante e nel contempo acerba del primo Shinkai si fonde ad un freddo realismo, e proprio il voler rappresentare ciò che accade senza eccedere, semplicemente narrando, illustrando e seguendo l’evolversi degli eventi, rende questo corto un vero e proprio ossimoro, tanto banale quanto poetico, un micro-cameo di dolce/amaro realismo, excursus quotidiano d’una famiglia in un dato lasso di tempo durante lo scorrere delle loro vite.
La protagonista sembrerebbe la giovane Aya, andata via di casa per prendersi la propria vita e il proprio futuro a piene mani, alle prese con lavoro, solitudine e genitori sparsi per il globo, mentre una tranquilla e rassicurante voce narrante ci introduce ad uno skyline notturno, una miriade di luci come focolari artificiali, ognuno di essi una stanza, un salone, un luogo illuminato capace di raccontare chissà quante storie diverse, storie che non conosceremo mai. È il tramonto, sulla metro una mano stringe forte una delle maniglie per mantenersi in equilibrio, ed il sole sparisce lentamente dietro le guglie di cemento e i monti all’orizzonte. La voce narrante non si ferma, ma ancora non abbiamo ben chiaro di chi si tratti, e non ce l’avremo fin quando il cerchio narrativo non si chiuderà con un ulteriore tocco di grazia e malinconica dolcezza.
Tecnicamente splendido – non è certo una novità, - anche se “primitivo”; animazioni fluide, cromatica scelta con cura, pastellata e luminosa, ricca di contrasti che hanno reso celebre l’autore, marchi di fabbrica che lo hanno contraddistinto nella sua ascesa in questi ultimi quindici anni. Si tratta di un’opera compatta, artisticamente leggera, visivamente piena e semplice, capace di comunicare un senso di sterminata immensità che fa da contraltare alle nostre piccole vite, un concatenarsi di fatalità, gioie e tristezza, tant'è che la morale fatalista non si palesa ma, implicitamente, ineluttabile si percepisce: la vita è sia ciò che scegliamo, sia ciò che ci accade, e nelle difficoltà impariamo a combattere, a stringere i denti e andare avanti, perché dopo una salita, presto o tardi ci sarà una discesa e le cose andranno meglio. Già, guardare avanti, tema carissimo nel panorama nipponico, il tutto accompagnato da una colonna sonora semplice ma preziosa, principalmente note di pianoforte che scandiscono ritmi agrodolci dettanti i tempi dell’opera, sostenendo piuttosto bene scene e dialoghi.
Il corto vola via, rapido e scorrevole, a riprova che per trasmettere qualcosa di toccante e al tempo stesso poco approfondito è necessario saper utilizzare le parole, le note e i colori pertinenti, ingredienti di una ricetta che Makoto Shinkai ha imparato a preparare in modo minuzioso e inconfondibile, soprattutto (incredibile ma vero) a inizio carriera.
Sette minuti spesi bene che potrete apprezzare nella loro spensierata e semplice schiettezza. Slice of life al suo massimo ed al suo minimo: una piccola gioia per gli occhi, una dolce carezza per il cuore.
Ci sono cose al mondo che passano sottotono, spesso incomprese o date per scontate, emozioni che scivolano sottopelle, vibrano un attimo, e sarebbe un vero peccato perdersele; per questo vanno colte quando possibile.
"Dareka no Manazashi" va colto senza nessuna aspettativa, lesto, bevuto tutto d’un fiato.
- F. Caramagna
Rendere il quotidiano, la semplicità e i banali momenti di vita corrente qualcosa di unico e indimenticabile: questo, da sempre, è il più grande talento di Shinkai sensei, più precisamente lo Shinkai degli inizi, il giovane uomo dai sogni malinconici e silenziosi, quello della neve che cade per sempre, ma non gela i cuori, quello dei treni infiniti che tagliano tramonti freddi e di stanti, del futuro prossimo e impossibile, delle monolitiche e aliene città a specchio che vanno a perdersi nel profondo dell’animo di adolescenti affamati di vita, sogni e speranze.
Makoto Shinkai, l’uomo capace di raccontarci albe e crepuscoli filtrandoli attraverso lo spettro dell’infinito.
"Dareka no Manazashi" è un corto di nemmeno sette minuti.
Banale, semplice, quasi del tutto privo di trama, dal ritmo identico e compassato, dolcemente monotono, capace di cullarci in una sequenza di spaccati quotidiani tanto leggeri quanto profondi.
L’arte accattivante e nel contempo acerba del primo Shinkai si fonde ad un freddo realismo, e proprio il voler rappresentare ciò che accade senza eccedere, semplicemente narrando, illustrando e seguendo l’evolversi degli eventi, rende questo corto un vero e proprio ossimoro, tanto banale quanto poetico, un micro-cameo di dolce/amaro realismo, excursus quotidiano d’una famiglia in un dato lasso di tempo durante lo scorrere delle loro vite.
La protagonista sembrerebbe la giovane Aya, andata via di casa per prendersi la propria vita e il proprio futuro a piene mani, alle prese con lavoro, solitudine e genitori sparsi per il globo, mentre una tranquilla e rassicurante voce narrante ci introduce ad uno skyline notturno, una miriade di luci come focolari artificiali, ognuno di essi una stanza, un salone, un luogo illuminato capace di raccontare chissà quante storie diverse, storie che non conosceremo mai. È il tramonto, sulla metro una mano stringe forte una delle maniglie per mantenersi in equilibrio, ed il sole sparisce lentamente dietro le guglie di cemento e i monti all’orizzonte. La voce narrante non si ferma, ma ancora non abbiamo ben chiaro di chi si tratti, e non ce l’avremo fin quando il cerchio narrativo non si chiuderà con un ulteriore tocco di grazia e malinconica dolcezza.
Tecnicamente splendido – non è certo una novità, - anche se “primitivo”; animazioni fluide, cromatica scelta con cura, pastellata e luminosa, ricca di contrasti che hanno reso celebre l’autore, marchi di fabbrica che lo hanno contraddistinto nella sua ascesa in questi ultimi quindici anni. Si tratta di un’opera compatta, artisticamente leggera, visivamente piena e semplice, capace di comunicare un senso di sterminata immensità che fa da contraltare alle nostre piccole vite, un concatenarsi di fatalità, gioie e tristezza, tant'è che la morale fatalista non si palesa ma, implicitamente, ineluttabile si percepisce: la vita è sia ciò che scegliamo, sia ciò che ci accade, e nelle difficoltà impariamo a combattere, a stringere i denti e andare avanti, perché dopo una salita, presto o tardi ci sarà una discesa e le cose andranno meglio. Già, guardare avanti, tema carissimo nel panorama nipponico, il tutto accompagnato da una colonna sonora semplice ma preziosa, principalmente note di pianoforte che scandiscono ritmi agrodolci dettanti i tempi dell’opera, sostenendo piuttosto bene scene e dialoghi.
Il corto vola via, rapido e scorrevole, a riprova che per trasmettere qualcosa di toccante e al tempo stesso poco approfondito è necessario saper utilizzare le parole, le note e i colori pertinenti, ingredienti di una ricetta che Makoto Shinkai ha imparato a preparare in modo minuzioso e inconfondibile, soprattutto (incredibile ma vero) a inizio carriera.
Sette minuti spesi bene che potrete apprezzare nella loro spensierata e semplice schiettezza. Slice of life al suo massimo ed al suo minimo: una piccola gioia per gli occhi, una dolce carezza per il cuore.
Ci sono cose al mondo che passano sottotono, spesso incomprese o date per scontate, emozioni che scivolano sottopelle, vibrano un attimo, e sarebbe un vero peccato perdersele; per questo vanno colte quando possibile.
"Dareka no Manazashi" va colto senza nessuna aspettativa, lesto, bevuto tutto d’un fiato.