Recensione
Vincenzo
8.5/10
Recensione di dawnraptor
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Spettacolare, ma con diversi problemi anche etici
E’ terribilmente difficile recensire Vincenzo, e ancor più assegnargli un voto.
Partiamo dalla premessa che l’ho visionato in lingua originale, sottotitolato in inglese. Ora lo sto riguardando su Netflix doppiato in italiano, e non posso dire di essere soddisfatta di molte delle voci, anche se quella di Vincenzo è un palmo sopra e non delude per nulla.
Dal punto di vista dello spettacolo è quanto di meglio si possa immaginare: cinematografia attenta e curata, recitazione eccellente da parte di tutti, ottima gestione della suspense. Tra l'altro, anche se in alcuni punti la computer grafica è un po' carente (per esempio nei viaggi in auto), ho dovuto guardare un behind the scenes per scoprire che le scene iniziali non sono affatto girate in Italia come sembra. Potenza dei teloni verdi e azzurri con le crocette! Chapeau.
La colonna sonora è magnifica, specie per un europeo, essendo composta in parte da pezzi di musica classica e operistica, in omaggio al fatto che Vincenzo sarebbe un mafioso proveniente dall’Italia. Ma soprattutto le tracce di musica moderna sono ottime, mi sono avvicinata a questo titolo proprio dopo aver ascoltato casualmente un brano su Youtube, ma molti altri pezzi sono coinvolgenti, e usati molto a proposito: Mafia, Retributor, Stopped time, Un diavolo scaccia l'altro, Holy anger, Dark side of me... dovrei citarne almeno una dozzina. Né si può tacere l’effetto sorpresa nel sentire Song Joong Ki parlare in un italiano pesantemente accentato, sì, ma perfettamente comprensibile. Per uno spettatore italiano è decisamente spiazzante.
Il viso cesellato di Song Joong Ki, su un corpo minuto da ballerino, è perfetto per interpretare la parte di uno spietato assassino, sornione e letale come il gatto sazio che era il suo soprannome in Italia: calcolatore, gelido nella furia e dirompente nella lotta, ma tenero negli affetti, anche nascosti. Non si può però trascurare la magnifica prova di Ok Taec Yeon, che ha saputo interpretare le mille sfumature di uno psicopatico con una efficacia da brividi, spesso rubando la scena al pur bravissimo protagonista nominale dello show. Anche Jeon Yeo Been, l’avvocato protagonista femminile, ha recitato molto bene, così come tutta la nutrita serie di attori nelle parti di spalla e di supporto. Menzione d’onore per Kim Yeo Jin: la sua Choi Myung Hee è veramente rivoltante. Applausi.
La storia è appassionante e si gioca su diversi livelli: Vincenzo Cassano, ora “consigliere” (o meglio, consigliori) di un clan mafioso, ma nato in Corea e adottato da una famiglia italiana a 8 anni, torna nella madrepatria per recuperare un’ingente fortuna nascosta in un palazzo. Nel contempo, combatte contro un gruppo societario, affiancato da uno studio legale particolarmente aggressivo, che vuole produrre una nuova droga e abbattere il palazzo che cela il suo tesoro per costruirci un grattacielo. Gli inquilini dell’edificio, ora avversari, ora alleati, formano una squadra di caratteristi simpatica e affiatata.
Di carne al fuoco ce n’è abbastanza e, come succede in altri drama, si pesta molto sul tema della corruzione imperante ad ogni livello. Anzi, più che la lotta dei protagonisti contro il chaebol cattivo, il vero leit motiv della serie parrebbe essere la rappresentazione di tutti i possibili modi e motivi per cui la corruzione viene impiegata. I colpi di scena si susseguono e, nonostante la rivelazione dell’identità del boss finale avvenga già nei primi episodi, per quanto mi riguarda assolutamente non prevista, la tensione non si abbassa.
Ora, si tratta di uno spettacolo, e si sa che uno spettacolo non può essere realistico, però qui siamo andati proprio al di là di ogni tentativo di plausibilità. Pare che Vincenzo, il mafioso italiano, sia l’unico in grado di battere il corrotto cattivo, chiunque egli sia. E ce lo dicono chiaro, pure. Ma in questa sua lotta, a mano a mano, le vittime crescono sempre di più, e non tutte ad opera dei malvagi. Definire Vincenzo un antieroe è forse perfino troppo gentile. Del resto, egli stesso ci dice che non ha intenzione di cambiare, per quanto i suoi antichi delitti lo perseguitino nei sogni. E’ fatto così: un gatto sazio cui piace giocare con la preda fino all’arrivo della fame. Lo dimostrerà soprattutto nel finale, quando porterà a compimento le sue vendette in un crescendo di crudeltà forse un pelino sopra le righe.
Quello che disturba, però, è proprio la ghenga degli inquilini del palazzo: brava gente timorosa, se pur con un sacco di talenti e passati nascosti che, col tempo e la vicinanza con Vincenzo, passa dall’essere un gregge di pecore spaventate a un branco di lupi, accettando qualsiasi violenza. Quando i cadaveri intorno a Vincenzo si accumulano tutti, perfino un poliziotto, accettano la cosa senza batter ciglio, collaborando alla riuscita dei piani per sconfiggere i (più) cattivi. Ci si chiede che fine facciano tutti questi cadaveri, perché nessuno intervenga, come se l’intero corpo di polizia fosse reso impotente, assieme a quello giudiziario. Poco verosimile. Nessuno dei semi-buoni paga mai il fio delle sue colpe, e la legge sembra sempre esistere per essere violata e/o sfruttata da tutti. Gli affittuari si trasformano in una banda di vigilantes e viene dato per scontato, e sotto sotto sempre giustificato, l’uso della violenza specialmente da parte di Vincenzo, che viene osannato come una specie di semidio.
Non si comprende bene quale sia il messaggio etico che il drama vuole trasmettere: la corruzione e lo sfruttamento sono così orribili che contro di essi si può usare qualsiasi mezzo? O va tutto bene perché la figura del mafioso italiano funge da deus ex machina che risolve la situazione a modo suo lasciando pulita la coscienza della brava gente coreana? Il fatto che si tratti di una produzione Netflix consola poco.
Un’altra pecca dolorosamente visibile all’interno della serie è la risoluzione di un paio di situazioni per mezzo di casualità: se dico che ad un certo punto un frangente potenzialmente letale viene risolto dall’intervento di uno stormo di uccelli, intenzionalmente guidati da un piccione semi domestico che Vincenzo ha chiamato Inzaghi, mi credereste?
A prescindere dal cliché dell’italiano mafia, pizza, e per fortuna poco mandolino, alla fine il background mafioso appare in realtà piuttosto poco, e Vincenzo lo sembra praticamente solo di nome, come pretesto per il suo essere brutale. Sì, usa metodi violenti, sì, ha contatti telefonici con il suo clan, ma non aspettiamoci una saga alla Corleone perché saremmo delusi. Che poi, mi domando quanto sia violenta, la posizione di consigliere all’interno di una famiglia mafiosa, visto che i flashback di Vincenzo sono parecchio sanguinosi. Il suo passato viene però lasciato fuori dalla narrazione, la sua infanzia bypassata, le motivazioni che lo spinsero ad unirsi alla mafia spiegate in una sola, breve, frase. Il suo personaggio non pare effettuare rilevanti percorsi di crescita o cambiamento.
Ma non bisogna pensare che la serie sia solo violenza e cadaveri, per quanto l'azione abbia una grande rilevanza. C’è in effetti una cospicua parte umoristica, portata avanti principalmente dagli affittuari del palazzo, che sdrammatizza spesso molte situazioni. Purtroppo non sempre l’effetto casca completamente a proposito e le due anime del drama, quella sorridente e quella tragica, a volte non risultano ben amalgamate. Inzaghi insegna.
E arriviamo alla parte romantica della storia. Buona ultima, perché in effetti è tale la sua importanza ai fini del drama. La chimica fra Vincenzo e l’avvocata Hong Cha Young funziona sicuramente molto di più nell’ambito dell’associazione a delinquere che in quello amoroso. Due occasioni di bacio, di cui una per recita: un po’ pochino per definire il loro rapporto una storia d’amore. Chiamiamolo contentino per lo zoccolo duro degli amanti delle romanticherie ad ogni costo. Non che se ne senta il bisogno: la storia va avanti benissimo anche senza coinvolgimenti emotivi di tipo amoroso.
Quindi, in sunto, un drama che ho guardato tutto d’un fiato, per cui mi sento già in crisi d’astinenza. Un drama che ho visto con grande piacere perché sono riuscita, come già per altri titoli, a scollegare la parte critica del cervello durante la visione. Ho potuto così godere della performance degli attori, delle splendide musiche, delle scene di lotta ben coreografate, della suspense crescente che mi ha spinto a proseguire la visione fino alle ore piccole per diversi giorni. Ma un drama che ha alcune pecche nella trama, nello sviluppo di alcuni personaggi e problemi morali non indifferenti. Non un capolavoro, ma un prodotto che, visto con la giusta predisposizione, saprà intrattenere ed entusiasmare. Vogliamo paragonarlo a Tarantino? Non abbiatevene a male.
Non prendetelo troppo sul serio, e andrà tutto bene. In fondo, neanche loro si prendono molto sul serio, mi sa.
E’ terribilmente difficile recensire Vincenzo, e ancor più assegnargli un voto.
Partiamo dalla premessa che l’ho visionato in lingua originale, sottotitolato in inglese. Ora lo sto riguardando su Netflix doppiato in italiano, e non posso dire di essere soddisfatta di molte delle voci, anche se quella di Vincenzo è un palmo sopra e non delude per nulla.
Dal punto di vista dello spettacolo è quanto di meglio si possa immaginare: cinematografia attenta e curata, recitazione eccellente da parte di tutti, ottima gestione della suspense. Tra l'altro, anche se in alcuni punti la computer grafica è un po' carente (per esempio nei viaggi in auto), ho dovuto guardare un behind the scenes per scoprire che le scene iniziali non sono affatto girate in Italia come sembra. Potenza dei teloni verdi e azzurri con le crocette! Chapeau.
La colonna sonora è magnifica, specie per un europeo, essendo composta in parte da pezzi di musica classica e operistica, in omaggio al fatto che Vincenzo sarebbe un mafioso proveniente dall’Italia. Ma soprattutto le tracce di musica moderna sono ottime, mi sono avvicinata a questo titolo proprio dopo aver ascoltato casualmente un brano su Youtube, ma molti altri pezzi sono coinvolgenti, e usati molto a proposito: Mafia, Retributor, Stopped time, Un diavolo scaccia l'altro, Holy anger, Dark side of me... dovrei citarne almeno una dozzina. Né si può tacere l’effetto sorpresa nel sentire Song Joong Ki parlare in un italiano pesantemente accentato, sì, ma perfettamente comprensibile. Per uno spettatore italiano è decisamente spiazzante.
Il viso cesellato di Song Joong Ki, su un corpo minuto da ballerino, è perfetto per interpretare la parte di uno spietato assassino, sornione e letale come il gatto sazio che era il suo soprannome in Italia: calcolatore, gelido nella furia e dirompente nella lotta, ma tenero negli affetti, anche nascosti. Non si può però trascurare la magnifica prova di Ok Taec Yeon, che ha saputo interpretare le mille sfumature di uno psicopatico con una efficacia da brividi, spesso rubando la scena al pur bravissimo protagonista nominale dello show. Anche Jeon Yeo Been, l’avvocato protagonista femminile, ha recitato molto bene, così come tutta la nutrita serie di attori nelle parti di spalla e di supporto. Menzione d’onore per Kim Yeo Jin: la sua Choi Myung Hee è veramente rivoltante. Applausi.
La storia è appassionante e si gioca su diversi livelli: Vincenzo Cassano, ora “consigliere” (o meglio, consigliori) di un clan mafioso, ma nato in Corea e adottato da una famiglia italiana a 8 anni, torna nella madrepatria per recuperare un’ingente fortuna nascosta in un palazzo. Nel contempo, combatte contro un gruppo societario, affiancato da uno studio legale particolarmente aggressivo, che vuole produrre una nuova droga e abbattere il palazzo che cela il suo tesoro per costruirci un grattacielo. Gli inquilini dell’edificio, ora avversari, ora alleati, formano una squadra di caratteristi simpatica e affiatata.
Di carne al fuoco ce n’è abbastanza e, come succede in altri drama, si pesta molto sul tema della corruzione imperante ad ogni livello. Anzi, più che la lotta dei protagonisti contro il chaebol cattivo, il vero leit motiv della serie parrebbe essere la rappresentazione di tutti i possibili modi e motivi per cui la corruzione viene impiegata. I colpi di scena si susseguono e, nonostante la rivelazione dell’identità del boss finale avvenga già nei primi episodi, per quanto mi riguarda assolutamente non prevista, la tensione non si abbassa.
Ora, si tratta di uno spettacolo, e si sa che uno spettacolo non può essere realistico, però qui siamo andati proprio al di là di ogni tentativo di plausibilità. Pare che Vincenzo, il mafioso italiano, sia l’unico in grado di battere il corrotto cattivo, chiunque egli sia. E ce lo dicono chiaro, pure. Ma in questa sua lotta, a mano a mano, le vittime crescono sempre di più, e non tutte ad opera dei malvagi. Definire Vincenzo un antieroe è forse perfino troppo gentile. Del resto, egli stesso ci dice che non ha intenzione di cambiare, per quanto i suoi antichi delitti lo perseguitino nei sogni. E’ fatto così: un gatto sazio cui piace giocare con la preda fino all’arrivo della fame. Lo dimostrerà soprattutto nel finale, quando porterà a compimento le sue vendette in un crescendo di crudeltà forse un pelino sopra le righe.
Quello che disturba, però, è proprio la ghenga degli inquilini del palazzo: brava gente timorosa, se pur con un sacco di talenti e passati nascosti che, col tempo e la vicinanza con Vincenzo, passa dall’essere un gregge di pecore spaventate a un branco di lupi, accettando qualsiasi violenza. Quando i cadaveri intorno a Vincenzo si accumulano tutti, perfino un poliziotto, accettano la cosa senza batter ciglio, collaborando alla riuscita dei piani per sconfiggere i (più) cattivi. Ci si chiede che fine facciano tutti questi cadaveri, perché nessuno intervenga, come se l’intero corpo di polizia fosse reso impotente, assieme a quello giudiziario. Poco verosimile. Nessuno dei semi-buoni paga mai il fio delle sue colpe, e la legge sembra sempre esistere per essere violata e/o sfruttata da tutti. Gli affittuari si trasformano in una banda di vigilantes e viene dato per scontato, e sotto sotto sempre giustificato, l’uso della violenza specialmente da parte di Vincenzo, che viene osannato come una specie di semidio.
Non si comprende bene quale sia il messaggio etico che il drama vuole trasmettere: la corruzione e lo sfruttamento sono così orribili che contro di essi si può usare qualsiasi mezzo? O va tutto bene perché la figura del mafioso italiano funge da deus ex machina che risolve la situazione a modo suo lasciando pulita la coscienza della brava gente coreana? Il fatto che si tratti di una produzione Netflix consola poco.
Un’altra pecca dolorosamente visibile all’interno della serie è la risoluzione di un paio di situazioni per mezzo di casualità: se dico che ad un certo punto un frangente potenzialmente letale viene risolto dall’intervento di uno stormo di uccelli, intenzionalmente guidati da un piccione semi domestico che Vincenzo ha chiamato Inzaghi, mi credereste?
A prescindere dal cliché dell’italiano mafia, pizza, e per fortuna poco mandolino, alla fine il background mafioso appare in realtà piuttosto poco, e Vincenzo lo sembra praticamente solo di nome, come pretesto per il suo essere brutale. Sì, usa metodi violenti, sì, ha contatti telefonici con il suo clan, ma non aspettiamoci una saga alla Corleone perché saremmo delusi. Che poi, mi domando quanto sia violenta, la posizione di consigliere all’interno di una famiglia mafiosa, visto che i flashback di Vincenzo sono parecchio sanguinosi. Il suo passato viene però lasciato fuori dalla narrazione, la sua infanzia bypassata, le motivazioni che lo spinsero ad unirsi alla mafia spiegate in una sola, breve, frase. Il suo personaggio non pare effettuare rilevanti percorsi di crescita o cambiamento.
Ma non bisogna pensare che la serie sia solo violenza e cadaveri, per quanto l'azione abbia una grande rilevanza. C’è in effetti una cospicua parte umoristica, portata avanti principalmente dagli affittuari del palazzo, che sdrammatizza spesso molte situazioni. Purtroppo non sempre l’effetto casca completamente a proposito e le due anime del drama, quella sorridente e quella tragica, a volte non risultano ben amalgamate. Inzaghi insegna.
E arriviamo alla parte romantica della storia. Buona ultima, perché in effetti è tale la sua importanza ai fini del drama. La chimica fra Vincenzo e l’avvocata Hong Cha Young funziona sicuramente molto di più nell’ambito dell’associazione a delinquere che in quello amoroso. Due occasioni di bacio, di cui una per recita: un po’ pochino per definire il loro rapporto una storia d’amore. Chiamiamolo contentino per lo zoccolo duro degli amanti delle romanticherie ad ogni costo. Non che se ne senta il bisogno: la storia va avanti benissimo anche senza coinvolgimenti emotivi di tipo amoroso.
Quindi, in sunto, un drama che ho guardato tutto d’un fiato, per cui mi sento già in crisi d’astinenza. Un drama che ho visto con grande piacere perché sono riuscita, come già per altri titoli, a scollegare la parte critica del cervello durante la visione. Ho potuto così godere della performance degli attori, delle splendide musiche, delle scene di lotta ben coreografate, della suspense crescente che mi ha spinto a proseguire la visione fino alle ore piccole per diversi giorni. Ma un drama che ha alcune pecche nella trama, nello sviluppo di alcuni personaggi e problemi morali non indifferenti. Non un capolavoro, ma un prodotto che, visto con la giusta predisposizione, saprà intrattenere ed entusiasmare. Vogliamo paragonarlo a Tarantino? Non abbiatevene a male.
Non prendetelo troppo sul serio, e andrà tutto bene. In fondo, neanche loro si prendono molto sul serio, mi sa.