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"Una persona veramente forte non fa del male a nessuno”.
Buonista, moralista, falso esistenzialista, intenso e pieno di sorprese: “Summer Time Rendering” parte come il più classico dei thriller sovrannaturali, fortemente influenzato da titoli che hanno scritto la storia del genere, a cominciare dal viscerale “Higurashi No Naku Koro Ni” e la sua tranquilla, sinistra Hinamizawa, o l’ancor più memorabile “Shiki”, che ha fatto propria più di tante altre narrazioni l’eterna, atroce diatriba fra sopravvivenza e giustizia.
Dunque, “L’esecuzione del periodo estivo”, il render di un dato lasso di tempo: partiamo, per chiarezza, dall’antefatto.
Il fulcro è un tranquillo paesino su di un’isoletta rurale al largo dei mari nipponici del Sud, luogo apparentemente mansueto dove ben presto scopriremo annidarsi misteri e orrori senza nome, un plot visto e rivisto per tracce del genere. Sebbene la narrazione parta in sordina, già il finale del primo episodio apre a inaspettati e clamorosi scenari pronti a confondere e a fuorviare, sfruttando un espediente per nulla originale, tuttavia decisamente incisivo, se saputo trattare con dovuta saggezza.
Artisticamente sufficiente ma incapace di eccellere se non in qualche sparuta sequenza, l’opera in questione si avvale d’ottime animazioni nei momenti cardine, accompagnate gagliardamente da una colonna sonora minimale, eppure incisiva; nel complesso, l’intero comparto tecnico si può tranquillamente collocare appena sopra la media nel panorama dell’animazione seriale attuale.
Degni di nota e decisamente accattivanti sono i campi di prospettiva in movimento studiati con grande minuzia, atti a creare un suggestivo dinamismo, elementi che supportano l’atmosfera inquietante che permea quasi interamente la narrazione.
Sul versante sonoro, l’opening del primo arco narrativo si presenta visivamente insicura e scialba, poco evocativa, bensì musicalmente affascinante, capace di lasciare nella mente dello spettatore una traccia indelebile. La seconda opening risulta forse più banale, ma di grande potenza adrenalinica; molto meglio invece le ending, decisamente alternative, ricche di sfumature sovrannaturali e malinconiche, permeate d’un senso di solitudine che apre a sensazioni da esplorare, coinvolgenti, emotivamente intense, corredate da camei epilogativi che suggeriscono indizi per il prosieguo della trama.

“Summer Time Rendering”, ovvero il potere dietro al velo che sta dietro al velo che sta dietro a un altro benedetto velo che al mercato l’autore comprò.
Cominciamo dall’inizio: nel più banale e classico dei paeselli dov’è scontato che accadrà qualcosa di spaventoso, borgo vetusto e salmastro su di un’isola sperduta, cogliamo sin da subito sfumature ansiogene, annodate a incubi reiterati e gabbie oniriche a cavallo fra realtà e menzogne intellegibili, che cattureranno sin da subito il protagonista - Shinpei Ajiro, giovane ragazzo di ritorno all’isola nativa per trascorrere un week-end con vecchi amici e famiglia, in concomitanza del classico, prevedibile ma sempre suggestivo festival estivo locale (altro espediente narrativo ormai rimesto che, se indossato con stile, risulta comunque solido e piacevole).
Tutto comincia con qualcosa di innocuo, semplice. Trasversalmente spaventoso. Già l’incipit lascia trasparire sprazzi di un inconcepibile paradosso che stravolge piacevolmente le percezioni.
Shinpei è sul traghetto che lo porta all’isola, ma si è addormentato. Sembra stia facendo uno strano sogno, e si sveglia di soprassalto finendo addosso a una prosperosa e giovane donna seduta di fronte a lui.
Appare come un inizio davvero banalotto e poco interessante, e invece si tratta di una trappola che ci trascinerà in una spirale di eventi incalzanti, roboanti e (fin troppo) complicati.
Il tratto artistico ricalca lo stato d’animo generale della storia: ove l’azione si fa efferata, violenta e convulsa, lo stile adottato si sconvolge, diviene confuso, quasi uno schizzo animato, una sorta di bozza che mostra gli eventi più atroci, comunicando intensamente e più caoticamente possibile il ventaglio di sofferte emozioni che vivono i protagonisti.
Nei primi episodi, il suddetto sistema di reiterazione studiato per confondere e gettare nel panico lo spettatore funziona molto bene, mette tanta carne al fuoco e crea un’atmosfera intensa di suspense che rapisce; continui cambi di fronte, colpi di scena e inganni incrociati si susseguono in un ritmo perfetto, incalzante, con epiloghi d’episodio studiati per ottenere climax vertiginosi e iniettare ulteriore enfasi al prosieguo.

Ma cosa è, davvero, “Summer Time Rendering”? A cosa si ispira?
Non ne abbiamo la conferma certa. L’ipotesi più logica e plausibile sembra essere la libera interpretazione del romanzo “La strana vita di Ivan Osokin” - libro citato proprio all’interno dell’anime -, vergato dalla mano di Petr Uspenskij, nel quale il protagonista (Ivan, appunto) decide, vista l’incredibile opportunità che gli viene concessa, di tornare indietro nel tempo nel tentativo di evitare i propri fallimenti passati che lo hanno fatto precipitare in miseria, così da cambiare radicalmente il suo infausto futuro.
Ma come tanti romanzi e celebri film - nonché la fisica teorica e la logica applicata ad essa - ci hanno insegnato, cambiare il passato ci porta a due conclusioni: o non servirà a niente, poiché ciò che è successo è già accaduto (compresi i cambiamenti dovuti a tali azioni), e quindi ogni cosa rimane immobile in un paradosso inalterabile, oppure modificare retroattivamente ciò che è stato potrebbe portare a biforcazioni della cosiddetta “timeline” (tornare indietro nel tempo e cambiare qualcosa potrebbe alterare ogni cosa, creando un futuro “alternativo” dove le cose andranno diversamente).
Ma chi ha detto che una ipotetica, nuova linea temporale sia certamente migliore di quella passata? E cambiando il passato si ha davvero la certezza di migliorare il futuro? Nel suddetto romanzo, Ivan Osokin scoprirà - nonostante la sua ostinazione - di finire per ripetere continuamente gli stessi errori, anche se ogni volta leggermente differenti, eppure irrisolti. Giungerà così alla saggia conclusione che l’unico modo di cambiare davvero la propria vita non è rimanere attaccati ai rimpianti e ai fallimenti, bensì è affrontarla con una consapevolezza superiore, un modo d’approcciarsi alla realtà con un sistema nuovo, positivo e differente, guardando avanti con orgoglio e fermezza, e non più indietro con dolore e rammarico.
Uspenskij rivanga la morale della speranza nel futuro e del credere fermamente nelle proprie capacità, e da questo “Summer Time Rendering” attinge senza scrupoli.

Il primo cour risulta davvero eccezionale, scandito da un ritmo crescente e ricco di pathos. Shinpei si troverà, suo malgrado, in una posizione analoga a quella dell’Ivan di Uspenskij, a cavallo fra sfocato surrealismo e stoico pragmatismo. I teatrini comici serviranno ad ammorbidire l’inevitabile tensione, ma non mancheranno frangenti truci e spietati. Via via che gli elementi dell’inesplicabile enigma cominceranno a sciogliersi, altri nodi verranno al pettine, complicando sempre più la trama. A molti di questi, fortunatamente, ci saranno sufficienti spiegazioni (che giungeranno quasi tutte nella seconda parte); risulta quindi lapalissiano che i primi episodi vengano impiegati per far conoscere i personaggi principali e secondari, a capire le loro sfumature superficiali e attitudini, tentativi di instaurare empatia riusciti abbastanza bene.
Un numero (fortunatamente) esiguo di sfumature poco chiare si rivelano invece indizi criptati, quasi impossibili da cogliere al primo balzo. In questo prodotto, i fan più accaniti del genere potrebbero scorgere chiari cenni ad opere come “Re:Zero” o il suddetto “Shiki” (con quest’ultimo condivide un paese isolato, scene di efferata violenza e tantissima tensione).
Infine, i flashback svolgono altresì un ruolo fondamentale, e spesso sono fra gli eventi più raccapriccianti e sconvolgenti.

Tale, complessa scacchiera piena di enigmatici pezzi con tante mosse ancora da compiere meriterebbe un finale adeguato, che in effetti c’è, ma, invece di andare a chiarire il tutto, sembra complicarlo ancora di più. Il problema di base è piuttosto la crescente confusione dovuta alla quantità incredibile di continue informazioni: nel corso della vicenda vari personaggi sembrano vestire i panni del “villain definitivo”, fin quando non viene delineato l’autentico antagonista (con motivazioni proprie seppure discutibili, ricco di sfumature di lovecraftiana memoria), ma ciò non basta a sciogliere tanta, troppa carne al fuoco. È vero che la parte finale tenta di spiegare ogni punto fondamentale irrisolto, ma molti altri rimangono insoluti, ed è evidente che gli autori abbiano desiderato lasciare punti interrogativi sospesi, o semplicemente lasciar svanire determinati elementi nell’oblio poiché poco rilevanti. Questo può anche andar bene (dove sta scritto che l’utente debba ricevere obbligatoriamente tutte le risposte? Spesso vanno colte fra le righe, o sono volutamente lasciate in sospeso, a discrezione dell’autore!); ma il vero problema dell’opera è nell’eccessiva cavillosità di alcune fra queste risoluzioni.
Il protagonista, via via che comincia a sciogliere gli enigmi fondamentali, lo fa comunicando chiaramente allo spettatore il suo modus operandi, e sebbene l’epilogo dell’ultimo episodio sia intenso e davvero emozionante, il vero problema che fa apparire “Summer Time Rendering” un “potevo essere memorabile, ma guarda che casino” è - assurdo a dirsi - il radicale, reale e incomprensibile cambio di genere proprio negli ultimissimi episodi!
Sì, avete capito bene. Da thriller sovrannaturale ricco di angoscianti venature horror capaci di tenerci attaccati allo schermo, muta pian piano in un quasi-shonen dove alcuni protagonisti riescono ad ottenere poteri speciali in perfetto stile power-up (si vedano i classici “Bleach”, “Dragonball”, “Naruto” etc). A ciò, si aggiungono ulteriori ed eccessivi colpi di scena assolutamente non necessari né davvero richiesti. Si ha letteralmente la sensazione che la trama deragli dai binari che si era sapientemente scavata, e il tutto vada a intrecciarsi in una confusione ridondante, decisamente inutile e, cosa peggiore, poco credibile.
Un vero e proprio peccato, perché, per come la struttura era andata a consolidarsi (verso un climax che pareva essere un Vaso di Pandora contenente chi sa quali orrori), il risultato finale finisce per ridimensionare l’intero lotto di idee più o meno grandiose e ottimamente interconnesse.

Un prodotto discreto che si è dato la zappa sui piedi proprio alla fine, ma, si sa, gestire al meglio il gioco dei loop temporali non è mai stata cosa facile, a meno che tu non sia lo sceneggiatore di “Dark” made-in-Netflix, o non abbia scritto la sceneggiatura del celeberrimo “Steins;Gate”.
Un progetto adrenalinico, piacevole e godibile soltanto per i primi tre quarti di serie. Peccato.