Recensione
Audition
8.0/10
"Audition", uscito in patria nel 1999, è il film che ha fatto conoscere al pubblico internazionale il regista giapponese Takashi Miike. In Italia è arrivato nel 2004, trasmesso direttamente in televisione, ed è stato distribuito nelle sale cinematografiche solo per tre giorni nel gennaio 2023.
La trama è basata su quella dell'omonimo romanzo di Ryu Murakami. Aoyama, regista di mezza età rimasto vedovo diversi anni prima e con un figlio adolescente a carico, spinto anche da quest'ultimo medita la decisione di risposarsi e, con l'aiuto del suo amico produttore cinematografico Yoshikawa annuncia delle audizioni per scegliere la protagonista femminile di un film, ma solo per finta: la sua intenzione è infatti di scegliere la sua futura sposa tra le giovani che si sono presentate all'audizione. Una di queste, l'avvenente ventiquattrenne Asami, lo colpisce molto, tanto da fargli decidere di andare a fondo nella sua conoscenza, sebbene Yoshikawa lo metta in guardia sul fatto che ci sono diversi punti oscuri nel suo racconto. Aoyama fa di tutto per rintracciarla e finisce in un incubo che va al di là di quello che avesse mai potuto immaginare.
Il film, a parte la toccante scena iniziale della morte della moglie di Aoyama davanti al marito e al figlioletto, in tutta la sua prima parte mostra uno spaccato di vita quotidiana assolutamente normale e tranquillo, quasi "banale". La tensione incomincia a crescere quando Aoyama cerca di rintracciare Asami, intrufolandosi in luoghi squallidi e venendo a contatto con personaggi sottilmente inquietanti. Lo spettatore che non avesse alcuna informazione sulla trama rimarrebbe comunque totalmente spiazzato davanti al climax che preannuncia la fine, in cui non sembrano esserci limiti all'orrore e sembra di riconoscere un certo compiacimento (a mio avviso eccessivo) del regista nell'indugiare sui particolari più splatter. Un indizio di quanto stava per arrivare era dato dalla breve scena in cui Asami nel suo appartamento sente lo squillo del telefono: ciò da una certa parte risponde a una domanda che lo spettatore poteva essersi posto (Asami esiste realmente o è un fantasma?), dall'altra fa sì che se ne ponga un'altra, ancora più inquietante.
Il personaggio con cui personalmente ho empatizzato di più è stato Shigeiko, il figlio adolescente di Aoyama che dà indirettamente il via agli eventi e ha un ruolo anche nella conclusione.
La contrapposizione tra le due parti per me è proprio uno dei punti di forza del film, che concentra tutta la parte orrorifica in pochi minuti, dando però anche una via di scampo allo spettatore grazie agli spezzoni onirici e immaginativi di Aoyama che alleggeriscono le sensazioni dell'orrore.
La trama è basata su quella dell'omonimo romanzo di Ryu Murakami. Aoyama, regista di mezza età rimasto vedovo diversi anni prima e con un figlio adolescente a carico, spinto anche da quest'ultimo medita la decisione di risposarsi e, con l'aiuto del suo amico produttore cinematografico Yoshikawa annuncia delle audizioni per scegliere la protagonista femminile di un film, ma solo per finta: la sua intenzione è infatti di scegliere la sua futura sposa tra le giovani che si sono presentate all'audizione. Una di queste, l'avvenente ventiquattrenne Asami, lo colpisce molto, tanto da fargli decidere di andare a fondo nella sua conoscenza, sebbene Yoshikawa lo metta in guardia sul fatto che ci sono diversi punti oscuri nel suo racconto. Aoyama fa di tutto per rintracciarla e finisce in un incubo che va al di là di quello che avesse mai potuto immaginare.
Il film, a parte la toccante scena iniziale della morte della moglie di Aoyama davanti al marito e al figlioletto, in tutta la sua prima parte mostra uno spaccato di vita quotidiana assolutamente normale e tranquillo, quasi "banale". La tensione incomincia a crescere quando Aoyama cerca di rintracciare Asami, intrufolandosi in luoghi squallidi e venendo a contatto con personaggi sottilmente inquietanti. Lo spettatore che non avesse alcuna informazione sulla trama rimarrebbe comunque totalmente spiazzato davanti al climax che preannuncia la fine, in cui non sembrano esserci limiti all'orrore e sembra di riconoscere un certo compiacimento (a mio avviso eccessivo) del regista nell'indugiare sui particolari più splatter. Un indizio di quanto stava per arrivare era dato dalla breve scena in cui Asami nel suo appartamento sente lo squillo del telefono: ciò da una certa parte risponde a una domanda che lo spettatore poteva essersi posto (Asami esiste realmente o è un fantasma?), dall'altra fa sì che se ne ponga un'altra, ancora più inquietante.
Il personaggio con cui personalmente ho empatizzato di più è stato Shigeiko, il figlio adolescente di Aoyama che dà indirettamente il via agli eventi e ha un ruolo anche nella conclusione.
La contrapposizione tra le due parti per me è proprio uno dei punti di forza del film, che concentra tutta la parte orrorifica in pochi minuti, dando però anche una via di scampo allo spettatore grazie agli spezzoni onirici e immaginativi di Aoyama che alleggeriscono le sensazioni dell'orrore.