Recensione
Ponyo sulla scogliera
9.5/10
Ultima opera del grandissimo Miyazaki, “Ponyo” (o “Ponyo sulla scogliera”) racchiude in sé tutti i più cari temi del Maestro: la radiosità dello sbocciare alla vita della piccola protagonista, la centralità della natura e la necessità di una vera unione tra uomo e ambiente, qualunque esso sia.
Inoltre, nelle differenze tra quest'opera di Miyazaki e due produzioni occidentali più o meno recenti che essa sembra richiamare (“La sirenetta” e “Nemo”), soprattutto per quanto riguarda la narrazione pura e semplice, scorgiamo in realtà la differenza prospettica che eleva di fatto l'opera in oggetto di analisi rispetto a questi due fac-simili per bambini realizzati in Occidente. È il contenuto filosofico di fondo, è il neanche tanto sottile fil rouge che accomuna e collega direttamente “Ponyo” a “La città incantata”, a “Laputa”, a “Totoro” e a tutti i personaggi che affollano la cinematografia geniale di questo regista.
Il tema dell'unione dei due mondi, il tema della promessa tradita dall'uomo a sé stesso. E quindi ogni geniale invenzione narrativa che vediamo soprattutto nella prima ora (la più felice della pellicola forse, perché più fruibile e simile a determinati schemi filmici ben noti), finisce per essere perfettamente funzionale e armoniosa. Ennesimo atto d'amore, insomma, al cinema e alla purezza dell'infanzia, allo sbocciare della vita come a un momento eletto in cui si può vedere meglio degli adulti, e infine all'atto d'amore stesso enunciato nel film e necessario per riconciliare i due mondi.
Un film leggero per come scorre sugli occhi, grazie ai suoi colori delicati e ‘pastellosi’. L'opera di per sé sembra semplice, soprattutto per alcuni tratti tecnici e narrativi. Ma allo stesso tempo è l'ennesimo pozzo senza fondo di significati (più o meno nascosti) che affondano le radici nelle tradizioni scintoiste nipponiche e ci giungono rafforzati nella propria valenza universale. Sottovalutato!
Inoltre, nelle differenze tra quest'opera di Miyazaki e due produzioni occidentali più o meno recenti che essa sembra richiamare (“La sirenetta” e “Nemo”), soprattutto per quanto riguarda la narrazione pura e semplice, scorgiamo in realtà la differenza prospettica che eleva di fatto l'opera in oggetto di analisi rispetto a questi due fac-simili per bambini realizzati in Occidente. È il contenuto filosofico di fondo, è il neanche tanto sottile fil rouge che accomuna e collega direttamente “Ponyo” a “La città incantata”, a “Laputa”, a “Totoro” e a tutti i personaggi che affollano la cinematografia geniale di questo regista.
Il tema dell'unione dei due mondi, il tema della promessa tradita dall'uomo a sé stesso. E quindi ogni geniale invenzione narrativa che vediamo soprattutto nella prima ora (la più felice della pellicola forse, perché più fruibile e simile a determinati schemi filmici ben noti), finisce per essere perfettamente funzionale e armoniosa. Ennesimo atto d'amore, insomma, al cinema e alla purezza dell'infanzia, allo sbocciare della vita come a un momento eletto in cui si può vedere meglio degli adulti, e infine all'atto d'amore stesso enunciato nel film e necessario per riconciliare i due mondi.
Un film leggero per come scorre sugli occhi, grazie ai suoi colori delicati e ‘pastellosi’. L'opera di per sé sembra semplice, soprattutto per alcuni tratti tecnici e narrativi. Ma allo stesso tempo è l'ennesimo pozzo senza fondo di significati (più o meno nascosti) che affondano le radici nelle tradizioni scintoiste nipponiche e ci giungono rafforzati nella propria valenza universale. Sottovalutato!