Recensione
Il natale di Angela
4.0/10
Recensione di dawnraptor
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Premessa: ho quasi 60 anni e sinceramente non ho troppa voglia di vedere le cose dal punto di vista di un bambino. Questa mia recensione (?) adotterà il punto di vista di una persona alle soglie della vecchiaia, sia pur con qualche concessione. Anche se si tratta di un cartone natalizio, anche se pubblico questi miei pensieri nel giorno di Pasqua, la mia bontà ha un limite (non troppo elevato, in verità).
Questo cartone animato prende le mosse da un’opera di Francis McCourt, lo scrittore nato a Brooklin da famiglia irlandese ma a quattro anni tornato in Irlanda, a Limerik, durante la Grande Depressione. Secondo Wikipedia, l’autore vinse il premio Pulitzer per Angela’s ashes, libro di tragicomici ricordi della miseria e squallore della sua infanzia.
Sempre secondo Wikipedia, Francis avrebbe avuto sei fratelli e sorelle, di cui tre sarebbero morti di stenti in tenera età. Lo stesso Francis avrebbe rischiato di morire di febbre tifoide e la famiglia, poi abbandonata dal padre, avrebbe conosciuto per anni la miseria più assoluta, sopravvivendo a stento in una umida catapecchia.
L’opera in questione, Angela and the Baby Jesus, vanta una versione per adulti e una per bambini. Possiamo credere a scatola chiusa che quella utilizzata come base per questo breve della durata di circa 30 minuti sia la seconda.
Cosa mi è piaciuto di quest’opera? Sostanzialmente, i fondali: bellissimi nel loro descrivere una Limerik di inizio ‘900 umida e fredda, spietata nei suoi vicoli tortuosi di alti muri minacciosi e gelidi, chiusi ad ogni manifestazione di calore e pietà.
Per il resto, la computer grafica utilizzata per i personaggi, e in special modo per la piccola Angela di sei anni, è terribilmente sgradevole ai miei occhi, determinando un “effetto Cicciobello” che ha un che di sinistro, riportando alla mente echi di una certa bambola assassina di Manciniana memoria. Le figure umane sono molto rigide, e spesso ancor più gli abiti, tanto che mi sono scoperta a volte ad aspettarmi l’entrata in scena di Barbie Raperonzolo o di qualcuna delle sue sorelle. Capita che le animazioni vadano a farsi un giro e, insomma, per essere stato fatto cinque anni fa, graficamente è molto carente.
Le musiche? Mah, di vago sentore natalizio e passabili, senza voli di fantasia, ma come contentino c’è una canzoncina che, almeno nella versione italiana, potrebbe facilmente diventare materia per incubi notturni. In compenso, una fastidiosissima e invadente voce narrante ci racconta buona parte della storia, specificando chiaramente di essere il figlio di Angela, e presentandoci tutto il resto della famiglia. Si tratta presumibilmente della trasposizione della reale famiglia di Francis: il genere dei fratelli non combacia, ma in tutto i ragazzini sono pur sempre quattro. Andando a scavare un pelino sotto la superficie, si scopre anche che, nella versione originale, la voce narrante è fornita da Malachy McCourt, fratello minore di Francis, attore, politico, scrittore e proprietario di pub.
L’opera avrebbe potuto essere decisamente migliore. I dialoghi sono proprio lineari e la trama è semplicissima e ingenua: la piccola Angela che, vivendo in povertà, sa cos’è il freddo, alla messa di Natale vede il bambinello nudo nella mangiatoia e decide di portarselo a casa per scaldarlo con sé sotto le coperte. Il suo viso birichino mentre pronuncia con gli altri amen, perfetta rappresentazione di una bambina che ha avuto un’idea furba, è tutto un programma. Peccato che resti tale solo nelle aspirazioni.
Essendo un prodotto destinato – spero – a un pubblico infantile, ogni aspetto negativo viene in qualche modo addolcito e reso fiabesco, a partire dallo scambio iniziale dei cappotti tra i vari fratelli che, crescendo in fretta, non entrano più negli abiti vecchi, passando per la cena di Natale che, vista en passant, pare consistere di poco più di una fetta di pane per ognuno. Un breve flashback mostra una casa col fuoco spento dove, appena dopo la nascita della sorellina minore, gli altri fratelli si stringono nel letto con la mamma per scaldarsi al calore del loro amore. Nella fiaba, il padre è in prigione per aver cercato di rubare del carbone per scaldare la famiglia, ma nella realtà il padre di Francis, che aveva difficoltà a trovare lavoro, preferiva bersi i pochi soldi piuttosto che darli in casa e alla fine sparì definitivamente. E così via.
L’indigenza, in questa favola di Natale, è troppo dichiarata senza essere percepita. Il calore della famiglia risolve ogni difficoltà. L’unico momento in cui veramente si ha la sensazione di aver toccato il cuore del problema è quando il fisarmonicista mendicante prende un panino allungando una mano lurida. Ecco, questa è la miseria che in tutto il resto del film non si avverte.
Pur provenendo da una famiglia cattolica, ci si domanda se l’autore abbia avuto dei problemi con qualche sacerdote. Perché, altrimenti, pur spingendo sulle varie cerimonie e banalità natalizie, dipingere un prete molto in carne (e quindi ben nutrito, in contrapposizione con la nostra famiglia) che inizialmente insiste per far arrestare la piccola Angela, rea di aver “rubato” la statua di Gesù bambino, lasciando al gentile poliziotto il compito di difenderla? A poco serve che il sacerdote cambi presto idea: quella che conta è l’immagine iniziale. Se il target di destinazione è molto giovane, un sotto testo del genere senza alcuna spiegazione, all’interno di una favola di Natale incentrata sulle buone intenzioni, è semplicemente imbarazzante. Anzi, è pesantemente allusivo in sé, qualunque sia il pubblico di elezione: gli insegnamenti del cattolicesimo di amore e perdono vanno a farsi un bagno in una pozzanghera.
In sunto, si tratta di un’opera che non mi ha appagato visivamente, con un narratore invadente e superfluo e una storia semplice e troppo ingenua, che fa appello alle buone intenzioni, ma non è scevra di incongruenze e messaggi poco edificanti. Per questo motivo, l’operazione Forza, ragazzi, torniamo tutti bimbi per mezz’ora! non mi è proprio riuscita. E, visto da un adulto, questo titolo è proprio insufficiente.
Addì, 09 Aprile 2023, Pasqua di Resurrezione.
Questo cartone animato prende le mosse da un’opera di Francis McCourt, lo scrittore nato a Brooklin da famiglia irlandese ma a quattro anni tornato in Irlanda, a Limerik, durante la Grande Depressione. Secondo Wikipedia, l’autore vinse il premio Pulitzer per Angela’s ashes, libro di tragicomici ricordi della miseria e squallore della sua infanzia.
Sempre secondo Wikipedia, Francis avrebbe avuto sei fratelli e sorelle, di cui tre sarebbero morti di stenti in tenera età. Lo stesso Francis avrebbe rischiato di morire di febbre tifoide e la famiglia, poi abbandonata dal padre, avrebbe conosciuto per anni la miseria più assoluta, sopravvivendo a stento in una umida catapecchia.
L’opera in questione, Angela and the Baby Jesus, vanta una versione per adulti e una per bambini. Possiamo credere a scatola chiusa che quella utilizzata come base per questo breve della durata di circa 30 minuti sia la seconda.
Cosa mi è piaciuto di quest’opera? Sostanzialmente, i fondali: bellissimi nel loro descrivere una Limerik di inizio ‘900 umida e fredda, spietata nei suoi vicoli tortuosi di alti muri minacciosi e gelidi, chiusi ad ogni manifestazione di calore e pietà.
Per il resto, la computer grafica utilizzata per i personaggi, e in special modo per la piccola Angela di sei anni, è terribilmente sgradevole ai miei occhi, determinando un “effetto Cicciobello” che ha un che di sinistro, riportando alla mente echi di una certa bambola assassina di Manciniana memoria. Le figure umane sono molto rigide, e spesso ancor più gli abiti, tanto che mi sono scoperta a volte ad aspettarmi l’entrata in scena di Barbie Raperonzolo o di qualcuna delle sue sorelle. Capita che le animazioni vadano a farsi un giro e, insomma, per essere stato fatto cinque anni fa, graficamente è molto carente.
Le musiche? Mah, di vago sentore natalizio e passabili, senza voli di fantasia, ma come contentino c’è una canzoncina che, almeno nella versione italiana, potrebbe facilmente diventare materia per incubi notturni. In compenso, una fastidiosissima e invadente voce narrante ci racconta buona parte della storia, specificando chiaramente di essere il figlio di Angela, e presentandoci tutto il resto della famiglia. Si tratta presumibilmente della trasposizione della reale famiglia di Francis: il genere dei fratelli non combacia, ma in tutto i ragazzini sono pur sempre quattro. Andando a scavare un pelino sotto la superficie, si scopre anche che, nella versione originale, la voce narrante è fornita da Malachy McCourt, fratello minore di Francis, attore, politico, scrittore e proprietario di pub.
L’opera avrebbe potuto essere decisamente migliore. I dialoghi sono proprio lineari e la trama è semplicissima e ingenua: la piccola Angela che, vivendo in povertà, sa cos’è il freddo, alla messa di Natale vede il bambinello nudo nella mangiatoia e decide di portarselo a casa per scaldarlo con sé sotto le coperte. Il suo viso birichino mentre pronuncia con gli altri amen, perfetta rappresentazione di una bambina che ha avuto un’idea furba, è tutto un programma. Peccato che resti tale solo nelle aspirazioni.
Essendo un prodotto destinato – spero – a un pubblico infantile, ogni aspetto negativo viene in qualche modo addolcito e reso fiabesco, a partire dallo scambio iniziale dei cappotti tra i vari fratelli che, crescendo in fretta, non entrano più negli abiti vecchi, passando per la cena di Natale che, vista en passant, pare consistere di poco più di una fetta di pane per ognuno. Un breve flashback mostra una casa col fuoco spento dove, appena dopo la nascita della sorellina minore, gli altri fratelli si stringono nel letto con la mamma per scaldarsi al calore del loro amore. Nella fiaba, il padre è in prigione per aver cercato di rubare del carbone per scaldare la famiglia, ma nella realtà il padre di Francis, che aveva difficoltà a trovare lavoro, preferiva bersi i pochi soldi piuttosto che darli in casa e alla fine sparì definitivamente. E così via.
L’indigenza, in questa favola di Natale, è troppo dichiarata senza essere percepita. Il calore della famiglia risolve ogni difficoltà. L’unico momento in cui veramente si ha la sensazione di aver toccato il cuore del problema è quando il fisarmonicista mendicante prende un panino allungando una mano lurida. Ecco, questa è la miseria che in tutto il resto del film non si avverte.
Pur provenendo da una famiglia cattolica, ci si domanda se l’autore abbia avuto dei problemi con qualche sacerdote. Perché, altrimenti, pur spingendo sulle varie cerimonie e banalità natalizie, dipingere un prete molto in carne (e quindi ben nutrito, in contrapposizione con la nostra famiglia) che inizialmente insiste per far arrestare la piccola Angela, rea di aver “rubato” la statua di Gesù bambino, lasciando al gentile poliziotto il compito di difenderla? A poco serve che il sacerdote cambi presto idea: quella che conta è l’immagine iniziale. Se il target di destinazione è molto giovane, un sotto testo del genere senza alcuna spiegazione, all’interno di una favola di Natale incentrata sulle buone intenzioni, è semplicemente imbarazzante. Anzi, è pesantemente allusivo in sé, qualunque sia il pubblico di elezione: gli insegnamenti del cattolicesimo di amore e perdono vanno a farsi un bagno in una pozzanghera.
In sunto, si tratta di un’opera che non mi ha appagato visivamente, con un narratore invadente e superfluo e una storia semplice e troppo ingenua, che fa appello alle buone intenzioni, ma non è scevra di incongruenze e messaggi poco edificanti. Per questo motivo, l’operazione Forza, ragazzi, torniamo tutti bimbi per mezz’ora! non mi è proprio riuscita. E, visto da un adulto, questo titolo è proprio insufficiente.
Addì, 09 Aprile 2023, Pasqua di Resurrezione.