Recensione
"Lamù e i casinisti planetari" è il titolo con cui è stata distribuita in Italia per lo streaming la serie del 2022 di "Urusei Yatsura" (traducibile letteralmente come "I casinisti della stella Uru"), tratta dal celeberrimo manga di Rumiko Takahashi, che negli anni Ottanta aveva già goduto di una fortunatissima trasposizione animata, costituita da 195 episodi televisivi, undici OAV e sei film cinematografici. Questa consta al momento di quarantasei episodi, metà dei quali sono finora (metà 2023) arrivati in Italia.
La serie classica, alla quale presero parte dei futuri "mostri sacri" come Mamoru Oshii e Akemi Takada, a suo tempo aveva ricevuto aspre critiche dai fan più appassionati del fumetto, in quanto non avrebbe reso adeguatamente il brio e le atmosfere demenziali che lo caratterizzavano. Lo scopo più o meno dichiarato di questo remake era anche di fare una trasposizione più aderente all'originale, aggiornandola anche sul piano tecnico, in quanto la vecchia serie, specialmente nei primi episodi, era visivamente abbastanza povera.
Proprio in ciò sta la maggiore differenza tra le due serie televisive. Il character design del nuovo anime si rifà moltissimo a quello vecchio, ma la tavolozza dei colori è inusitata, avendo sostituito alle campiture prevalentemente calde (in cui spiccavano il verde dei capelli di Lamù e il blu delle divise scolastiche) delle tonalità che verrebbe da definire "elettriche". Vedere dei personaggi "vecchio stile" che si muovono su sfondi dettagliatissimi dà però l'idea di uno "stacco" che personalmente ho trovato sgradevole, come se si trattasse di figure bidimensionali che si muovono in uno spazio estraneo, al quale non appartengano.
Diversi personaggi hanno un ruolo molto minore che nella vecchia serie, uno su tutti Megane (l'occhialuto compagno di classe di Ataru, nonché il più fervente degli ammiratori di Lamù) e altri entrano in scena in momenti differenti, talvolta più aderenti ai tempi del manga (come Tem, il cuginetto di Lamù che sputa fuoco); altri ancori compaiono senza essere adeguatamente introdotti (come il gatto Kotatsu, di cui si omette l'episodio in cui segue Ataru fino a casa e tenta d'installarvisi, oppure il grosso gatto randagio Torajima, che fa solo fugaci apparizioni). Un tratto in comune con i primi episodi andati in onda in patria all'inizio degli anni Ottanta è invece dato dalla divisione delle puntate in due o persino in tre parti. D'altra parte, all'interno delle storie certi elementi più "datati", che avrebbero potuto allontanarne l'ambientazione nel tempo, sono stati omessi, senza tuttavia calcare troppo sul pedale dell'attualizzazione (nella prima sigla di testa si vede Ataru che cerca delle ragazze per mezzo di un'applicazione per smartphone, ma è un caso isolato).
Trovo che questo remake sia riuscito solo in parte; oltre ai problemi dovuti alla commistione tra "antico" e "moderno" e alle omissioni di cui ho detto, c'è il fatto che non si capisce a quale target di pubblico sia diretta, rischiando di non accontentare nessuno: non i fan della serie storica, che vedono impoverito uno dei loro miti, né degli spettatori completamente nuovi, che possono restare perplessi per quella che visivamente si trova ad essere un'esperienza "anomala", diversa sia dalle serie contemporanee che da quelle "vintage".
La serie classica, alla quale presero parte dei futuri "mostri sacri" come Mamoru Oshii e Akemi Takada, a suo tempo aveva ricevuto aspre critiche dai fan più appassionati del fumetto, in quanto non avrebbe reso adeguatamente il brio e le atmosfere demenziali che lo caratterizzavano. Lo scopo più o meno dichiarato di questo remake era anche di fare una trasposizione più aderente all'originale, aggiornandola anche sul piano tecnico, in quanto la vecchia serie, specialmente nei primi episodi, era visivamente abbastanza povera.
Proprio in ciò sta la maggiore differenza tra le due serie televisive. Il character design del nuovo anime si rifà moltissimo a quello vecchio, ma la tavolozza dei colori è inusitata, avendo sostituito alle campiture prevalentemente calde (in cui spiccavano il verde dei capelli di Lamù e il blu delle divise scolastiche) delle tonalità che verrebbe da definire "elettriche". Vedere dei personaggi "vecchio stile" che si muovono su sfondi dettagliatissimi dà però l'idea di uno "stacco" che personalmente ho trovato sgradevole, come se si trattasse di figure bidimensionali che si muovono in uno spazio estraneo, al quale non appartengano.
Diversi personaggi hanno un ruolo molto minore che nella vecchia serie, uno su tutti Megane (l'occhialuto compagno di classe di Ataru, nonché il più fervente degli ammiratori di Lamù) e altri entrano in scena in momenti differenti, talvolta più aderenti ai tempi del manga (come Tem, il cuginetto di Lamù che sputa fuoco); altri ancori compaiono senza essere adeguatamente introdotti (come il gatto Kotatsu, di cui si omette l'episodio in cui segue Ataru fino a casa e tenta d'installarvisi, oppure il grosso gatto randagio Torajima, che fa solo fugaci apparizioni). Un tratto in comune con i primi episodi andati in onda in patria all'inizio degli anni Ottanta è invece dato dalla divisione delle puntate in due o persino in tre parti. D'altra parte, all'interno delle storie certi elementi più "datati", che avrebbero potuto allontanarne l'ambientazione nel tempo, sono stati omessi, senza tuttavia calcare troppo sul pedale dell'attualizzazione (nella prima sigla di testa si vede Ataru che cerca delle ragazze per mezzo di un'applicazione per smartphone, ma è un caso isolato).
Trovo che questo remake sia riuscito solo in parte; oltre ai problemi dovuti alla commistione tra "antico" e "moderno" e alle omissioni di cui ho detto, c'è il fatto che non si capisce a quale target di pubblico sia diretta, rischiando di non accontentare nessuno: non i fan della serie storica, che vedono impoverito uno dei loro miti, né degli spettatori completamente nuovi, che possono restare perplessi per quella che visivamente si trova ad essere un'esperienza "anomala", diversa sia dalle serie contemporanee che da quelle "vintage".