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6.5/10
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Luci soffuse e via ad una introduzione in punta di piedi, dal retrogusto naif: una bambina corre a grandi passetti verso un luogo che pare incantato, una terra dai colori forti, pieni e splendidamente confusi. L’intensa pigmentazione ed un dinamismo onirico portano lo spettatore, sempre attraverso i movimenti della giovanissima fanciulla, fin nelle braccia di Akino, la “concierge” di codesto luogo, ovvero la colei che si occupa in primis dei clienti e dei loro bisogni, nuova coordinatrice di un enorme, lussuosissimo centro commerciale denominato Hokkyoku.
Presto si scoprirà che, fra secondi piani statici - capaci di stagliarsi in modo perentorio e silenzioso, sfondi simili a fondali di teatrini marionettistici e giochi di ombre minimali, tale centro commerciale è dedicato esclusivamente agli animali – si, avete capito bene – del mondo esterno, una civiltà piuttosto particolare: animali ed umani convivono infatti in una comunità avanzata e apparentemente omogenea, ed all’interno di tale locazione è possibile ammirare la vasta gamma di articoli dedicata ai loro bisogni e al loro svago, dal più sofisticato vestiario fino a cibi e ad attrezzi d’ogni sorta, ogni elemento adattato alle necessità di queste creature antropomorfe.

Il sorriso è stato inventato dall’animale piu triste sulla terra

Gli autori, pertanto, adottano le figure degli animali-umanoidi come veicoli d’emozioni e stati d’animo: niente li differenzia, se non l’aspetto, da comuni esseri umani.
S’imposta così una trama semplicissima eppur accattivante. Non esiste differenza fra bestia uomo – esattamente come nella realtà, sia che voi leggiate tali parole in senso positivo che tremendamente negativo – con l’unica differenza che, in questo caso, gli animali vestono giacche, indossano cravatte, calzature dotate di tacco, vistosi gioielli e borse ricercate. Nell’Hokkyaku ognuno è al proprio posto, e ogni cosa appare normalissima, consueta, abituale. Ciò innesca, forse senza troppa sorpresa, dinamiche di una comicità inusuale, un mix fra l’inesperienza della graziosa ed insicura protagonista, la sopracitata Akino, e le abitudini di alcuni visitatori che, chiaramente, risulteranno inaspettate e di difficile gestione. Così, fra opossum con prole al seguito, pinguini dandy dall’eccelsa dialettica e dalla profondissima saggezza, gatti apprendisti pasticceri con velleità artistiche ed esigenti giraffe piene di soldi, faremo la conoscenza di Todo, proprietario del centro commerciale, pretenzioso ed integerrimo essere umano, non che iconica figura a cui tutti fanno riferimento e che “temono” con grande reverenza.

Very Important Animals

Il fulcro di questo mediometraggio sono appunto le figure animali di spicco intente a visitare l’Hokkyaku, e fra loro, i VIA sembrerebbero elementi piuttosto rari (in via d’estinzione); è chiaro che l’evoluzione sembra avanzata ad uno stadio paritario fra umani e ciò che rimane di un mondo animale completamente snaturato, ma tutto ciò nasconde un incredibile segreto che scopriremo solo alla fine. L’intero film, tuttavia, verte sulla cultura – anzi diremmo l’arte – del saper servire: qualcosa che, con tutte le dovute divergenze, nell’immaginario nipponico è vissuto e sentito in modo molto differente che qui in occidente, concetto di base per cui Akino aspira a diventare in tutto e per tutto concierge di primordine. Presto, la ragazza imparerà che per accontentare i clienti d’elite è necessario innanzi tutto capire e prevedere il loro stato d’animo, “guardarli negli occhi”, anticipando i loro desideri: la vera e propria arte del servire e dell’allestire un luogo elegante e di rilievo che metta a proprio agio qualsiasi avventore.

La vicenda, ad ogni modo, nasconde un significato ben più importante e forse amaro: sebbene il prodotto non sia proprio esente da difetti e la prima metà possa risultare fin troppo piatta e decisamente monotona, senza ritmo e poco incisiva, il segmento finale ci regala una riflessione profonda ed esistenzialista: l’incontro fra capitalismo e consumismo moderno nei centri commerciali, non che la verità nascosta dietro la presenza di animali antropomorfi derivanti da razze estinte ci portano ad un messaggio trasversale che rimembra l’incessante, inarrestabile e spaventoso progresso umano, artefice di distruzione assoluta, consumismo atto a disintegrare risorse e vita ovunque. Una lenta dissoluzione contrapposta ai rimpianti di tali conseguenze, ergo: l’Hokkyaku non è altri che il simulacro silenzioso dei mea culpa di tale progresso, rendendo gli animali, vittime innocenti della sfrenata consumistica, ormai scomparsi, riportati (resuscitati) fra di noi “a nostra immagine e somiglianza”.

Dal punto di vista artistico Benvenuti all’Hokkyoku non delude né stupisce: colonna sonora incalzante, allegro accompagnamento spesso minimale ma incisivo che non si distacca più di tanto dalle atmosfere che lo stesso anime imposta.
Visivamente si presenta originale e curioso; una rivisitazione dell’avanguardia animata concepita venticinque, forse trent’anni fa. Le animazioni, semplici ma efficaci, danno vita a personaggi esemplificati, generati da uno stile dal tratto essenziale ma sinergico. Grandissima cura nei dettagli, studio di ingombri ed ambienti davvero prezioso. Disposizione cinematografica di cibi, suppellettili e scorci d’arredo. Le scene appaiono come quadri ricamati in continuo movimento.

Con una buona dose d’ironia che alleggerisce e non guasta mai, il finale si scopre dolce e malinconico, attraversato da una vena poetica che finisce per accompagnare timidamente le vicende dei protagonisti e ci regala una Akino tutto cuore e positività, chiudendo in un epilogo che rievoca chiaramente le immagini iniziali, come un cerchio che va a chiudersi dignitosamente.
Un lavoro apprezzabile, una storia divertente capace di strappare più di un sorriso e di iniettare una sostanziosa dose di luminosa positività; niente di trascendentale, ma scorrevole e piacevole.