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1.5/10
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Premessa: la trasposizione animata di “Uzumaki” è un aborto a lungo termine, a causa di anni di ritardo che sarebbero dovuti servire a creare un’opera degna della fama che l’autore porta. È drammatico come si sia voluto tagliare fuori il direttore del primo episodio, che era molto ambizioso e desideroso di lavorare a qualcosa di grande, e cambiare studio per fare affidamento su idee meno pretenziose e a basso costo. Di conseguenza, ovviamente, le animazioni dell’anime ne hanno risentito.

La narrazione viene a mancare (in quattro episodi poco si può fare), gli avvenimenti vengono mescolati in maniera poco intelligente, e non si riesce a catturare l’atmosfera dell’opera di Ito. Ammettendo che si sia voluto creare tutto ciò in buona fede, il fallimento dell'adattamento non risiede solo nel fatto che ci siano stati cambi di direzione o ritardi nella produzione. Piuttosto, il problema principale sembra essere la mancanza di comprensione verso il manga.

L’anime, nel tentativo di condensare la narrazione in un formato breve e frammentato, sacrifica l’alone di mistero che alberga a Kurozu-cho, e l’interesse viene meno verso gli strani avvenimenti che ruotano intorno a Kirie (la protagonista) e a chi le sta intorno. Ogni episodio appare come una sequenza sconnessa di eventi che non hanno il tempo di respirare, di sedimentare nella mente dello spettatore.

La sensazione che ho avuto guardando “Uzumaki” è che ogni episodio, tranne l’ultimo (che segue una trama lineare), sia un lungo trailer a causa della rapida successione di scene che vengono mostrate, passando da una cosa all’altra troppo velocemente. Dovrebbe essere un horror psicologico, ma l’inquietudine che ho percepito io è dovuta solo al fatto che si sia voluto andare di fretta, perché il progetto era troppo dispendioso. La mancanza di ambizione è il segno di una produzione che sembra avere poca autostima di sé.

A tratti mi ha strappato una risata, perché, devo ammettere, risulta molto grottesco, rassomigliando a una parodia dei peggiori B-movie. Del mistero della spirale (Uzumaki, per l’appunto) non se ne tiene molto conto; l’importante è aver prodotto scena dopo scena qualcosa, non importa quanto ridicola o senza il minimo senso sia stata presentata. Il bianco e nero è la scelta stilistica potenzialmente più efficace per omaggiare le tavole originali del manga, ma diventa un trucco vuoto quando non è accompagnato da una direzione che miri a volare alto.

Il mio disappunto è grande: l’anime è un orrore, ma non nel senso sperato. Io, da amante di Ito, non riesco a trovare qualcosa che lo renda valido come trasposizione o come qualcosa a sé stante che funga da horror. È un omaggio superficiale. Ho sempre avuto un profondo apprezzamento per la creatività. Le animazioni degli episodi dopo il primo appaiono come un’imitazione sterile delle immagini del manga, animate con pochi fotogrammi e al massimo ricalcate. Per dirla con le parole di un grande autore: “Accorgersi di essere capaci di inventare qualcosa e farlo ogni giorno, era una gioia più grande di qualunque altra”, gioia che probabilmente è mancata.

A proposito di gioia, ho riscontrato un’analogia tra Shuichi (il ragazzo di Kirie) e chi ha deciso di animare questa mostruosità: entrambi sono depressi, entrambi vogliono scappare da qualcosa, ma non possono, perché Shuichi vorrebbe lasciare la sua città maledetta, ma ama troppo la sua ragazza e rimane, quindi, con lei, mentre la produzione avrebbe voluto lasciare il lavoro incompleto, ma per puro amore finanziario ha deciso di completare tutto così com'è.

Io vorrei veramente spezzare una lancia a favore dell’anime, ma non saprei dove parare. È più opportuno parlare del potenziale sprecato. Gli anime vantano pochissimi horror ben realizzati, e “Uzumaki” sarebbe potuto (e dovuto) essere l’horror perfetto. Il materiale c’era: un autore iconico, uno stile visivo forte e una storia particolare.

Immaginate un adattamento di “Uzumaki” che, invece di ridurre e comprimere, sia curato nei dettagli e che ti faccia immergere nell’orrore con cui la follia si insinua nella vita dei personaggi e ne faccia un obiettivo primario, rispettando un tono inquietante e un ritmo più contemplativo. In un ideale adattamento di “Uzumaki”, ogni episodio sarebbe stato costruito come una finestra sull’abisso di Kurozu-cho, con tutto il tempo necessario per far assorbire allo spettatore la tensione e l’angoscia della spirale che lentamente si impossessa dei personaggi. La forma della spirale in natura è simbolo di continuità, evoluzione e connessione. In “Uzumaki” la spirale cessa di rappresentare perfezione e ordine, e diventa invece simbolo di una distorsione crescente; è una metafora di qualcosa che avvolge e consuma (un’ossessione).

Un adattamento sincero avrebbe saputo cogliere il ritmo particolare di “Uzumaki”, che cresce pagina dopo pagina, facendo percepire il lento deteriorarsi della città e dei suoi abitanti, e intrappolando lo spettatore, proprio come i personaggi, in una spirale da cui non si può scappare. In definitiva, “Uzumaki” si è limitato a essere l’inconcludente ombra di sé stesso.