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ATTENZIONE: questa recensione contiene spoiler

Aspettando in quell'estate, una mattina in cui, con Tetsurō e gli altri, eravamo d'accordo che sarebbero venuti a casa e, in tarda mattinata, saremmo tutti andati in piscina, approfittai di un'inaspettata tregua delle piogge torrenziali e, dopo un veloce bagno, con i capelli ancora umidi ("Tanto rimangono ribelli comunque, e poi il calore li asciugherà meglio del phon", mi dissi), uscii di casa e mi chiusi la porta alle spalle.
Accesa la mia telecamera, iniziai subito a filmare prima ancora di avere lasciato il vialetto d'ingresso: la bassa vegetazione ancora rorida di rugiada e di pioggia, che rendeva il clima fresco e piacevole in maniera incredibile per la stagione, formava, con i suoi infiniti scintillii dovuti all'incontro con i raggi solari, uno spettacolo meritevole di essere fermato su pellicola; tanto più dovetti farlo, considerata la promessa che quel giorno ti feci di continuare a immortalare tutta la mia vita, persino nelle pieghe più riposte.

Mi dispiacque dare buca ai ragazzi. In quella come in ulteriori occasioni, sapevo che il mio atteggiamento era egoista; sapevo che loro non erano meno tristi di me e che il mio desiderio di isolarmi li faceva stare ancora peggio, loro così premurosi da pensare prima ad alleviare la mia tristezza piuttosto che la propria. Ma avevo bisogno di stare da solo. Avevo bisogno di isolamento e di dare libero sfogo ai miei sentimenti, e durante le mie passeggiate solitarie ripercorrevo nella mia mente gli eventi che ti riguardano accaduti nei posti in cui mi ritrovavo a passare. Sì, ero decisamente egoista in questo: mi rinchiudevo in me stesso e mi crogiolavo nei miei ricordi, che mi portavano a filmare, filmare e ancora filmare una vita sospesa come una ninfea che, dopo che il suo stelo è stato staccato dalla forza dell'acqua dal letto del fiume in cui è sbocciata, aspetta che quella stessa corrente, che ha atteso per tanto tempo certa del suo arrivo, riprenda a scorrere e non la lasci lì, dove si sente abbandonata. Era proprio da quella sensazione di apatia e impotenza che i miei amici volevano sottrarmi, e li immaginai nitidamente, ritrovatisi davanti a quell'entrata qualche ora dopo che l'ebbi chiusa, capire la mia destinazione e seguirmi. E molto probabilmente trovarmi, dato che è proprio verso quel luogo, sulle rive alberate di quel lago abbracciato dalle colline, che mi diressi.

Giunto in stazione con il sole già pienamente visibile all'orizzonte (il tragitto che per me durò una manciata di minuti, visti la mia andatura e il mio soffermarmi a riprendere qualsiasi squarcio di paesaggio interessante dovette durare molto di più), salii sul treno consueto e mi misi a sedere nel vagone, praticamente vuoto non fosse stato per qualche altro spirito mattiniero e vagabondo, e trascorsi il tempo sonnecchiando.
Durante il mio sonno leggero, forse perché la mia mente si era impressionata attraversando, poco prima, quel ponte sulle chiuse, rivissi il nostro primo, vero incontro, che sul momento ovviamente dimenticai per ricordarlo in seguito; da allora la corrente cominciò a scorrere per me, in una direzione, tutto sommato, prevedibile vista da fuori che portò a quello stallo, che sperai fosse momentaneo e non definitivo.

Svegliatomi fortunatamente a poche stazioni di distanza dalla mia meta, mi accorsi di avere sognato: realtà e immaginazione sono sempre stati inestricabilmente intrecciati in me (al risveglio, gli occhiali mi erano quasi caduti dal viso; "Questa montatura è troppo grande, e pesa", pensai).
Solo una volta sullo spiazzo di fronte alla stazione in cui scesi, mi accorsi che il cielo era terso e limpido, il che rendeva il suo colore blu così intenso da sembrare come solido, e dava l'impressione che si trattasse di un enorme disco volante azzurro cielo di ritorno sulla Terra, idea comunicata anche dalle basse nuvole che parevano appiattirsi sotto il peso della nave spaziale insieme all'aria che ritornava a farsi stagnante e rarefatta. Solo nel boschetto adiacente allo specchio d'acqua in cui si specchiava la luna ancora visibile nonostante tutto, l'aria era fredda e profumata, piacevole da inalare mentre, aprendomi la strada per un sentiero, la terra smossa scricchiolava sotto i miei passi, rumore che spaventava alcuni uccelli canterini nei dintorni, il cui concerto era assai più gradevole dell'incessabile frinire delle cicale vicino casa. Placando la sete presso una fonte, scoprii un tempietto là accanto che fino ad allora non avevo notato.
Lasciando accesa la cinepresa durante il tratto dal piccolo altare appena filmato al lago, non persi tempo e presi subito a fare le mie solite riprese; posizionato il treppiedi, l'intero paesaggio lacustre mi si aprì davanti. Come al solito, il risultato è registrato, dunque c'è solo bisogno che tu veda il nastro, le mie parole non servono.
A un tratto, sentii un rumore provenire dalla boscaglia dietro di me. Avevo ragione: i nostri amici mi avevano raggiunto, e, senza dirmi nulla, ci demmo il cambio alla regia, per filmare ogni cosa, aspettando in quell'estate…

Ano Natsu de Matteru (あの夏で待ってる, Aspettando in quell'estate) racconta la fine delle lezioni e le esperienze estive di un gruppo di cinque ragazzi giapponesi, cinque liceali che vivono un'esperienza all'apparenza ordinaria ma in verità letteralmente straordinaria: infatti, la ragazza appena trasferitasi nella loro classe nel bel mezzo dell'anno scolastico si scopre essere un'aliena in incognito.
Avvicinatasi al pianeta Terra alla ricerca di un posto da lei mai visitato ma familiare, la sua navicella si rompe e lei è costretta a un atterraggio di fortuna; di fortuna per lei ma di sfortuna per Kaito Kirishima: trovandosi a filmare un fiume dall'alto di un ponte che dà su delle imponenti chiuse, è coinvolto nell'impatto del disco volante in avaria, sbalzato dalla sua posizione e ferito apparentemente a morte, destino da cui è salvato da Ichika, l'aliena, in grado di curarlo.

Kaito è il protagonista maschile della serie: orfano di entrambi i genitori, vive in una grande casa tradizionale con la sorella maggiore; il suo hobby è filmare con la sua telecamera. Di carattere quieto, riservato e tranquillo all'apparenza, interiormente nasconde una fervida immaginazione, che lo mette in imbarazzo più volte, e un grande cuore. Piccolino di statura, la sua caratteristica sono i capelli cespugliosi color grigio scuro, mentre per il resto, occhiali dalla montatura spessa e nera in particolare, è un ragazzo come molti.
Ichika, la protagonista femminile, è invece veramente un mondo a parte: oltre alle differenze comportamentali che la separano dai terrestri che in teoria non potrebbe frequentare, Ichika ha un carattere molto spontaneo e stravagante. Alta e slanciata per la sua età, con un seno sviluppato e appariscenti capelli rossi, Ichika è una brava e dolce ragazza come se ne incontrano raramente nel mondo.
Incontrato di nuovo Kaito alla scuola a cui, non è spiegato bene per quale motivo, si iscrive, Ichika stringe conoscenza con i comprimari della serie: Tetsurō, Kanna, Mio e Lemon.

I primi due, Tetsurō e Kanna, sono amici sin da piccoli, e il primo è innamorato della seconda, la quale però è innamorata, non ricambiata, di Kaito. Tetsurō è un tipico adolescente giapponese: dietro ai suoi comportamenti sfrontatamente adulti e cool, Tetsurō è invece totalmente negato nei rapporti con l'altro sesso, ed è incapace di agire di sua iniziativa; si lascia piuttosto, insieme al maschiaccio Kanna, trascinare dagli eventi.
Mio e Lemon sono invece due estremi caratteriali: mentre la prima è una ragazza timida, silenziosa e impacciata, la seconda ha un nome che è una garanzia: ruvida e acerba all'esterno, è buona all'interno proprio per via della sua scorza acidula.
Tutti insieme, decidono per le vacanze di impegnarsi nella realizzazione di un lungometraggio, un progetto importante per la storia dal momento che moltissimi fatti vengono chiariti grazie alla finzione cinematografica (una felice strizzatina d'occhio alla funzione decadente dell'arte che, fingendo sprazzi di vita quotidiana che sono a loro volta finzione, svela la verità?).

"Ano Natsu de Matteru" è un buon connubio di antico e moderno spiccatamente nipponico: ciò perché presenta, con il bisogno di Kaito di essere "curato" dalle ferite riportate nello scontro in apertura al primo episodio, il tema della dipendenza del ragazzo rispetto alla ragazza - dinamica all'opposto abbastanza rara nel panorama europeo -, la quale diviene una sorta di principe azzurro (tant'è che la procedura di guarigione è sempre accompagnata da un appassionato bacio sulle labbra) da cui Kaito diventa dipendente anche per i lavori di casa, ma ciò è vero solo all'inizio. Infatti, con l'avanzare della storia, il loro rapporto viene seguito passo passo e si nota che esso è perfettamente paritario; sia Kaito sia Ichika danno ciascuno un apporto personalissimo e indispensabile alla loro relazione e crescita.
Questo gusto di nostalgica fiaba moderna è dovuto anche al ruolo del destino che agisce inesorabile e, di punto in bianco, fa conoscere una persona mai vista ma che è come la si conoscesse da sempre. La narrazione è comunque generalmente rilassata, tanto che i personaggi non si creano problemi pur vedendo la mascotte Rinon, torre di controllo vivente dell'astronave di Ichika, che balla allegramente su un tavolo oppure Ichika circondata da un futuristico globo di luce.

Una particolarità della serie è il modo in cui tutti i personaggi imprimono una caratteristica di sé sulla coppia principale Kaito-Ichika: ovvero, Tetsurō, Kanna, Mio e Lemon giocano un ruolo cardine nella composizione e nel modo di vivere la propria storia d'amore da parte di Kaito e Ichika. Sostanzialmente, Tetsurō, da unico altro ragazzo del gruppo, è il consulente di Kaito; Kanna, invece, sprona Ichika a non spaventarsi delle difficoltà di vivere sulla Terra e a essere fedele e sincera nei suoi sentimenti, un consiglio, o meglio, una minaccia che le è dettata dal suo non essere corrisposta, mentre Mio è quasi del tutto neutrale e Lemon aiuta entrambi a priori.
Ovviamente però quest'aspetto possiede anche il rovescio della medaglia; se è vero che Kaito e Ichika beneficiano del supporto dei loro amici, lo scambio non funziona in senso inverso: tutt'altro, questi ultimi ci rimettono. In effetti, mentre Kaito e Ichika riescono a coronare il loro sogno di amore assoluto, ciò comporta che l'altro polo sentimentale dell'anime, il triangolo Tetsurō-Kanna-Mio, sia sbilanciato e non conosca una conclusione lieta. Essendo Kanna innamorata ma non corrisposta da Kaito, Tetsurō, che a sua volta ama Kanna, si trova a un bivio: proseguire a provare gli stessi sentimenti per la sua amica d'infanzia - accontentando così anche il pubblico medio, che da un'opera di fantasia di solito si aspetta il trionfo della bontà -, oppure rinunciare, poihcé Kanna non dà affatto segno di accorgersi di lui come uomo, e accettare di stare con Mio, una soluzione un po' cinica che sembra un insulto per quest'ultima, in quanto apparirebbe come un comodo ripiego?
Insomma, eccezion fatta per Lemon che ha un ruolo in tutti i sensi sopra le righe, i personaggi secondari danno l'impressione di essere inseriti a forza perché l'anime non poteva ragionevolmente essere portato avanti solo da Kaito, Ichika e, al massimo, Lemon, ma fino all'ultimo i realizzatori sembrano non avere idea di cosa fare di loro. In questo senso, "Ano Natsu de Matteru" non esiste senza Kaito e Ichika, e se per caso loro non piacessero la visione non avrebbe quasi senso.

La storia è estremamente lineare: sin dalle prime battute, è possibile immaginare il suo sviluppo, anche se lo spettatore è tenuto in sospeso fino all'ultimissimo fotogramma, che lascia la vicenda aperta a un'eventuale seconda stagione.
Un'altra sua qualità positiva è che, come difficilmente accade con le produzioni moderne, essa contiene sì richiami ad altre serie, come per esempio ad "Ano Hana", con cui condivide lo studio di produzione e alcuni elementi nel titolo e nel character design, eppure non c'è bisogno di avere una "cultura otaku" per inquadrare gli avvenimenti: "Ano Natsu de Matteru" parla sostanzialmente di amore, una trattazione universale che rende la narrazione intuitivamente fruibile.
Inoltre, solo alcuni stereotipi, in primis quello della tsundere Lemon, vengono ripresi, ma, al contrario della tendenza generale odierna, il loro impiego ha un senso nell'economia del racconto, nonché, cosa altrettanto importante, questi caratteri conoscono un'evoluzione e un approfondimento nello sviluppo della trama.
Infine, è piacevolissimo il senso della realtà e dell'umanità dei protagonisti: all'opposto di tanti altri rosi dal tarlo di un moderno mal di vivere emo, immancabili ormai in tante storie, in cui tendono costantemente a mete oltre la loro portata per "sentirsi meglio" e superiori ai loro coetanei, nel caso di "Ano Natsu" una delle ragioni che rende la dolcezza di Kaito tanto più apprezzabile è il suo profondo sentimento umano: malgrado debba confrontarsi con cose più grandi lui quali la prematura scomparsa dei genitori e la lotta contro una tecnologia extraterrestre, Kaito rimane aderente alla sua natura di persona ordinaria ed è con le sue doti che reagisce agli eventi, non gettandosi a terra in posizione fetale rammaricandosi di un fato che non lo ha fatto grande abbastanza da sedare subito i problemi che gli si parano di fronte. Kaito affronta la vita, soprattutto il suo essere effimera, con delle armi proprie: in particolare, la sua telecamera, che dilata la breve durata delle cose e delle relazioni umane.

"Ano Natsu de Matteru" è un'ottima sorpresa della stagione anime invernale 2011-2012: con poesia, delicatezza, nostalgia, ironia e un forte messaggio di fondo, la serie risulta incredibilmente gradevole per l'universalità dei suoi temi e la partecipazione agli eventi che crea nel fruitore, sebbene alcuni personaggi risultino un po' sacrificati rispetto ad altri. Ad ogni modo, si tratta di una visione consigliata, che oltretutto gode anche di un comparto tecnico e musicale tutto da scoprire, fatto di canzoni di accompagnamento che risuonano principalmente su ampi spazi e una natura incontaminata, che, come i protagonisti dell'anime, sembrano invitare lo spettatore a sedersi e ricordare con gioia nostalgica eventi trascorsi, magari in attesa di una versione italiana dell'opera, aspettando in quell'estate.