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8.0/10
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In un Giappone degli anni '80 vive l'allegro motociclista Shogo, che da un giorno all'altro si ritrova a guidare una velocissima moto trafugata da un amico, la Garland, all'occorrenza trasformabile in un robot da guerra. È in verità un segreto militare e, presto, messo alle strette dall'esercito, il ragazzo apprende da un ufficiale, BD, una sconvolgente verità: lui e l'intera popolazione giapponese vivono inconsciamente in una gigantesca astronave, la Megazone 23, governata da una potentissima AI, Bahamut, che li culla in una realtà fittizia dove pensano di stare bene. Il sistema è stato programmato per motivi ignoti secoli prima, e ora i militari, pur di hackerare Bahamut per sfruttarne i poteri in vista di una guerra contro spaventosi extraterrestri, non esitano a usare la violenza brutale su Shogo e i suoi amici, in modo da far sparire scomodi testimoni. Disgustato da loro, il ragazzo decide di ribellarsi sfruttando la potenza di Garland e il suo gruppo di bikers...

Siamo all'inizio del 1985, il periodo in cui l'industria animata giapponese sta ancora scommettendo sulla rivoluzione estetica di Macross. Non ancora convinti della sua bontà, gli studios decidono di sondarne il terreno esiliandone gli adepti nel nascente mercato degli OVA. Nel tempo la Storia darà ragione a Studio Nue e la sua rivoluzionaria concezione sarà sdoganata, ma questo non deve farci dimenticare i grandi pionieri che proprio nell'home video hanno permesso, coi loro lavori, una simile trasformazione. La trilogia di Megazone 23 ne è uno degli esempi più prestigiosi, realizzato nel corso di cinque anni per un totale di 3 capitoli, ciascuno creato da uno staff produttivo diverso composto da quelli che erano, o sarebbero diventati, numi tutelari dell'animazione nipponica anni 80. Nato, come Dallos, nella veste di "recap" del materiale ideato per un'abortita serie televisiva, Megazone 23, fedele alla regola delle prime produzioni OVA, ha il merito di sfruttare il suo alto budget per creare una trama corposa capace di spaziare fra più generi, animata divinamente e con una cura maniacale in tutti gli aspetti estetici e musicali che, come Kawamori insegna, devono in ogni aspetto solleticare i sensi agli spettatori. Come intuibile leggendo la trama, pur riciclando idee da Macross (l'astronave gigantesca che trasporta l'umanità) e Mospeada (la moto trasformabile in un robottone), l'opera si presenta in verità come assolutamente originale per l'epoca, rappresentando un antenato dei Matrix cinematografici, il primo lavoro animato a ipotizzare una realtà fittizia dove vivono, inconsciamente prigioniere, le persone. Di interesse storico anche il suo essere il primo OVA robotico, e degno di nota come la sua storia, dipanandosi nei successivi due episodi, arriva a coprire un arco temporale immaginario di oltre 100 anni, un ideale precursore animato della saga cartacea di The Five Star Stories.

Il primo episodio, ideato e diretto da Noboru Ishiguro, scritto da Hiroyuki Hoshiyama e animato dalla co-produzione Artland/Artmic, è decisamente il migliore della trilogia. Fornisce la lunga introduzione alla storia portante, raccontandoci le avventure di Shogo alla scoperta delle potenzialità del Garland e del segreto di Bahamut. Un intrigante mix di azione robotica (i combattimenti tra il ragazzo e le unità robotiche dell'esercito) e romanticismo (la sua storia con la bella Yu), condito da numerosi, accattivanti pezzi j-pop cantati da Eve, la idol creata da Bahamut per addomesticare le masse, fil rouge che unisce tutti gli episodi (e le affinità con Macross, sia per il suo ruolo che per essere l'unico personaggio disegnato da Haruhiko Mikimoto, diventano palesi). Si nota già in questo primo capitolo il coraggio del regista di non risparmiarsi dialoghi adulti e scene di sesso e sangue, perfettamente integrate nel contesto e mai gratuite, così come una sceneggiatura esemplare che caratterizza notevolmente il pur piccolo cast: anche se al lavoro su un riassunto di una mai vista serie tv, lo sceneggiatore riesce adeguatamente a enfatizzare il carisma del militare BD, della sensuale Yu e delle sue amiche. Il grande interesse dell'OVA risiede però, sopratutto nella confezione. L'ora e venti di durata è focalizzata nell'esprimere al meglio lo stanziamento monetario di Artland e Artmic: animazioni fluide e incredibilmente vigorose (sopratutto nei fisicissimi scontri tra robottoni) accompagnano ogni sequenza con vette di totale spettacolarità, mentre i disegni, bellissimi, ammaliano grazie alle tinte calde e ai tratti dolcissimi di Toshiki Hirano, uno dei massimi esponenti della "dottrina Kawamori" e qui in una delle sue prime prove. Mechanical Design, a opera di Shinji Aramaki, anch'esso da applausi: non solo nella consueta sboronaggine dei robottoni, ma anche per la riproduzione perfetta delle moto da corsa usate da Shogo e amici, riproduzioni meticolose delle più famose Suzuki, Honda etc di quegli anni. Grande spazio trova, ovviamente, anche il lato musicale: se la OST di Shirgo Sagisu è trascinante come si conviene allo spirito della storia, rock 100% Eighties, le numerose insert song j-pop denotano bene come la lezione di Studio Nue sia pienamente recepita e, per questo motivo, intelligentemente riproposta.

Il secondo episodio, uscito nel 1986, a più di qualcuno non piace. Tra le varie rimostranze cadono lo spiazzante cambio di chara design, con l'aspetto fisico dei protagonisti stravolto, e sopratutto la caratterizzazione non pervenuta di buona parte del cast, in riferimento agli amici bikers di Shogo. Critiche che si possono condividere, ma fino a un certo punto. Innanzitutto il cambio di design, scioccante, per il recensore significa personalità: alla sua prima prova assoluta di disegno, Yasuomi Umetsu, futuro padre di A-Kite e Mezzo Forte, trova il segno caratteristico che lo contraddistingue, delineando personaggi dai look estremamente adulti e sexy che non per nulla gli spianeranno la strada nel futuro mondo delle produzioni erotiche. Il tratto ha poco in comune con quello "infantile" di Hirano, tanto che i due eroi fisicamente neanche si riconoscono (a Yui sono cambiati pure forma e colore dei capelli), ma i disegni rimangono d'autore e davvero non si può davvero negare l'originalità del progetto Megazone 23, di raccontare una storia filtrata graficamente dalla sensibilità di disegnatori diversi. L'anonimità di buona parte del cast è invece innegabile, ma non è un così grave: il secondo capitolo rappresenta l'anima "action" della storia, parlandoci della guerra tra i bikers e i militari condotta attraverso vertiginosi inseguimenti e sparatorie lungo le strade, ovvio che l'attenzione sia posta principalmente su Shogo, Yui, Eve e BD, protagonisti principali, rispetto ai comprimari. Una spettacolare guerra urbana che vale da sola il prezzo del biglietto, a cui danno voce come sempre fluidissime animazioni (si sente l'apporto del neo-entrato studio d'animazione AIC), l'OST martellante di Sagisu, brani j-pop e fanservice dato da mecha dettagliati ed esplosioni in ogni dove e quando. Senza un briciolo di CG, tutto fatto a mano come ai migliori tempi, da rimanere imbambolati ad ammirare e tramandare ai posteri. Anche in questo contesto non mancano intermezzi adulti, addirittura enfatizzati dal chara di Yasuomi Umetsu. Le esplicite scene di sesso e violenza sono presenti in dosi ancora più massicce e contribuiscono a immergersi nel senso di cattiveria della storia, tra militari eviscerati dagli alieni in impressionanti scene splatter e fatiscenti centri sociali nel quale bazzica il gruppo di biker di Shogo, dove sono di regola nuvoloni di fumo, fiumi di alcool e disinibizione sessuale. Non mancano neppure echi tominiani nella filosofia, un po' spicciola bisogna dirlo, del ragazzo che detesta il mondo egoista degli adulti e gli si ribella, e lo sceneggiatore Hoshiyama gioca così sul rapporto di ostilità tra Shogo, buono ma ingenuo, e BD, militare tutto d'un pezzo, macchiavellico, che però ha nostalgia delle pulsioni idealiste giovanili. Le rivelazioni finali di Eve e un evocativo "finale" provvisorio (si risolvono tutti i misteri di Bahamut e del programma ADAM), perfetto, chiudono nel migliore dei modi una storia intrigante e ottimamente realizzata degna di entrare nella Storia dell'animazione.

Nel 1989, tre anni dopo la Parte II, giunge la conclusione. Il regista Noboru Ishiguro non è più coinvolto nel progetto ed è rimpiazzato al soggetto da Shinji Aramaki, che scrive, con la sceneggiatrice Emu Arii, un thriller cyberpunk che ha ben pochi punti in comune col passato, pur reggendosi su idee ugualmente notevoli. Cento anni dopo gli avvenimenti precedenti, la razza umana ricostruisce la sua civiltà nell'avveniristica megalopoli di Eden, dove ogni singolo abitante è schedato e tenuto d'occhio da un immenso network chiamato System. Eiji Takanaka, abile hacker, si ritrova al centro di una violenta guerra urbana tra le due potenti compagnie che si contendono la supremazia tecnologica della città, e durante gli scontri finisce col risvegliare Eve, la idol utilizzata il secolo prima da Bahamut. Un atto conclusivo, diviso in due episodi, che pur vantando un buon soggetto di fondo è mal scritto, trovando un risultato abbastanza scialbo dovuto sia alla mancanza di presentazione adeguata del nuovo scenario sci-fi che, e questo è il suo problema peggiore, nei protagonisti approssimativi, eroe incluso. Lento ed estremamente verboso, Parte III ci parla essenzialmente di Eiji che si sposta di luogo in luogo, ora a divertirsi con amici, ora giocare in sala giochi, ora ad hackerare il System; parlando al contempo del mondo che gli sta attorno (con numerose, irritanti e indecifrabili terminologie tecniche) e provandoci con la bella cameriera Ryo di cui è invaghito. Un capitolo abbastanza tedioso, ulteriormente appesantito da regia e montaggio rivedibili, zeppi di stacchi che troncano intere sequenze funzionali alla comprensione. Il risultato è una noia generale, per niente supportata dal comparto tecnico. Orfano del contributo dello studio d'animazione Artland e di Noboru Ishiguro, Megazone 23 assiste sconsolato al suo declino tecnico: non che le animazioni siano mediocri, tutt'altro, ma sono più da media serie tv dell'epoca che da OVA, non reggendo il confronto con l'orgia tecnica delle puntate precedenti. Dal superlativo si passa così al buono, e decade anche la qualità delle movenze di mecha e personaggi. L'abbandono Artland comporta anche il rimpiazzo del musicista Shiro Sagisu con Keishi Urata, minimamente in grado di reggerne l'eredità (OST, quindi, del tutto anonima), e infine colpiscono in negativo i disegni con l'arrivo, dopo Hirano e Umetsu, di Hiryuki Kitazume, che negli anni precedenti si è costruito la fama con Gundam ZZ e Il contrattacco di Char. Una nuova presenza che sembra comportare solo ulteriori nei, in quanto passare dai carnosi disegni precedenti al suo tratto geometrico ed estremamente semplicistico, per quanto stiloso, porta l'aspetto visivo a sembrare ancora più freddo, addirittura superficiale: se anche è vero che l'originalità del progetto Megazone 23 risiede anche nella sperimentazione grafica di ogni episodio, lo stile di Kitazume, altresì spettacolare in altri contesti, è piacevole ma incompatibile con le cupe atmosfere che vuole evocare la storia. Da salvare giusto i primi piani delle splendide ragazze, ma negli uomini (sopratutto il protagonista Eiji) le sue linee così perfettine e i colori patinati sono terribili. Per concludere, anche le coraggiose scene di sesso e violenza, che costellano i primi due episodi, sono decisamente ridotte in esplicità, adagiate alla confezione sobria dell'opera con buona pace del coraggio dimostrato precedentemente.

A dispetto della delusione, comunque, Parte III raggiunge la sufficienza. Pur confuso, noioso e con personaggi-macchietta, in più riprese ci ricorda di far parte di progetto ambizioso quale Megazone 23, e sotto questa luce rimane ugualmente intrigante il suo soggetto, che prosegue la storia precedente con diversi rimandi e sopratutto con la scoperta, nel finale, di che ne è stato di un certo personaggio chiave. Tutto meglio realizzabile, ma pienamente degno dell'imprevedibile epopea cyberpunk di Noboru Ishiguro e giustamente assurto anch'esso al rango di cult.

Edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video, che pubblica tutti e tre i capitoli in tre dvd una volta tanto ben realizzati, con un buon video e sopratutto un buon doppiaggio che non fa rimpiangere il loro prezzo.