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Vorrei poter dire che questo è un anime per tutti, ma sarebbe esatto soltanto in parte: per come si presenta, infatti, "Ping Pong The Animation" è prima di tutto un anime per chi, parafrasando Giovenale, non si rassegna a far morire di freddo la propria onestà intellettuale. "E la peppa!", esclamerà qualcuno. "Mica servirà una laurea anche per guardare i cartoni, adesso!". Guardare, appunto - guardare per poter vedere anche ciò che si agita sotto la superficie. L'anno scorso a far storcere il naso per via della sua grafica così difforme dagli standard odierni era stato "Aku no Hana" con il suo rotoscopio; quest'anno è "Ping Pong" con l'inquieta e poderosa essenzialità del suo tratto. Ma a cedere alla seppur umana tentazione di fare del disegno una sineddoche del comparto tecnico e del comparto tecnico una sineddoche del prodotto nella sua interezza - di fare, in altre parole, di un'unica componente il tutto -, si rischia di non guardare, e di conseguenza vedere, proprio un accidente.
Chiaro, i gusti sono gusti. Ci mancherebbe altro che così non fosse. Però non si può nemmeno fare come quando, da bambini, si scartava un cibo perché il suo aspetto non ci convinceva. Una possibilità va sempre data, non tanto per far contenta la mamma o chi per lei, ma per noi stessi - per ampliare i nostri orizzonti, per diventare dei consumatori più responsabili, e magari chissà, anche scoprire dentro di noi nuove corde da far vibrare. Perché "Ping Pong The Animation" è uno di quegli anime che non solo crede fortemente in sé stesso, ma non si tira indietro quando si tratta di ripagare la fiducia dello spettatore: una combinazione di intenti ideale ma tutt'altro che scontata in un panorama tanto variopinto e concorrenziale come quello di oggi, dove il pericolo di creare o di incappare in un prodotto "usa-e-getta" è come non mai dietro l'angolo.

Peco e Smile, nés rispettivamente Hoshino e Tsukimoto, sono amici d'infanzia e di... tavolo da ping pong. Il primo - solare, sfacciato, cochetta nell'animo ma mai superbo - ha infatti iniziato il secondo, chiamato anche Robot o Golgo a causa del suo carattere anodino, a questo sport per il quale entrambi sembrano eccezionalmente portati. Tutti osservano da lontano e con crescente apprensione questa copia di atleti dal potenziale ancora tutto da esplorare, dalla proprietaria del dojo dove hanno imparato a giocare al loro allenatore delle superiori, per non parlare ovviamente dei loro rivali: Sakuma, un vecchio amico col dente avvelenato nei confronti di Peco; il cinese Wenge, per il quale il Giappone rappresenta una specie di purgatorio prima di poter tornare a vestire l'uniforme della propria nazionale; e infine Kazama, indiscusso asso del ping pong giovanile che però non ha mai smesso di guardarsi alle spalle. Ma cos'è esattamente che li spinge a giocare, e cosa succederebbe se mai dovessero ritrovarsi a gareggiare l'uno contro l'altro?

"Voi fate sogni ambiziosi: successo, fama... ma queste cose costano. Ed è esattamente qui che si incomincia a pagare - col sudore!". Sembra una battuta da spokon, e invece è "Saranno famosi", con tanto di bastonate sul parquet da qualche parte tra il "tamente" e il "qui". Ma della favoletta che con l'impegno di si può raggiungere qualsiasi risultato "Ping Pong" non sa che farsene. Cioè, in realtà non si tratta affatto di una favoletta, ma non sono forse i messaggi più forti quelli maggiormente esposti al rischio di venire caricati al punto da vanificarne il significato? Guardate "Capitan Tsubasa" - che pure è epico, eh?
Il mondo ha i denti. La gente ha i dubbi. E nella carriera di uno sportivo, costretto a giocarsi il tutto e per tutto nel giro di pochi anni, l'abilità di guardarsi dentro non è meno importante del coefficiente agonistico. Nel caso specifico tutti e cinque i personaggi principali partono da una percezione più o meno inesatta del proprio io e del motivo che li spinge a giocare: Peco punta tutto sull'istinto, mentre Smile, che crede più a quel che dicono gli altri di lui che a sé medesimo, sulla tecnica; Sakuma si rifiuta di prendere coscienza dei propri limiti; Wenge è troppo preso dal suo obiettivo per rendersi conto di essere in una situazione di stallo emozionale; mentre Kazama, per l'onore della famiglia e della squadra, si è sempre negato la necessità di ascoltarsi. Un racconto più di formazione, dunque, che sportivo nel senso più stretto del termine, ma con un intreccio volutamente ridotto ai minimi termini, nel quale il ping pong assume un valore oserei dire psicoanalitico piuttosto che puramente professionale. Ciascuno di questi ragazzi ha infatti una Cosa, per citare Marie Cardinal, che formicola dentro di loro, "un universo ostile o, nella migliore delle ipotesi, indifferente" con cui non possono più permettersi di non fare i conti - e non è detto che l'aiuto che cercano non possa provenire, oltreché da loro stessi, anche da chi gravita loro intorno.

E adesso torniamo al tanto chiacchierato comparto tecnico, shall we? Fermo restando che non detengo la verità assoluta più di quanto non la detenga chiunque di voi, ciò che a mio parere rende capziosa la bocciatura di "Ping Pong" unicamente sulla base dello stile di disegno è che la presunta sciatteria dello stesso non è riscontrabile in nessun altro comparto, al contrario di quanto accade solitamente con i prodotti di conclamata scarsa qualità. La direzione dinamica e a tratti visionaria di Masaaki Yuasa, il cui curriculum artistico parla da solo, scongiura il rischio tutt'altro che remoto di trovare noiose le varie partite, con angolazioni ardite e una notevole varietà di espedienti tra i quali spicca un utilizzo intelligentemente spericolato dello split screen; la fotografia conquista con la sua garbata funzionalità; il doppiaggio è inappuntabile anche per quanto concerne i personaggi secondari; ma soprattutto la colonna sonora, variegatissima e suggestiva, agevola al massimo l'immersione nella storia. Deliziosa l'opening sorprendentemente chiassosa, dolcissima l'ending nella sua sobrietà.

Una grandissima scoperta, educativa, stimolante, ispirante. In altre parole, un anime eroico dal primo all'ultimo fotogramma.