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Dopo aver letto il quattordicesimo volumetto, mi ero ripromessa di scrivere qualche riga su questo manga che acquistai, tempo fa, sulla spinta dei ricordi della relativa serie animata, vista quando ero piccola su qualche rete locale (ma di questo, non ci interessa!).

Parlando della trama, questa è a grandi linee riassumibile come il viaggio di Tetsuro Hoshino (il nostro protagonista) attraverso lo spazio, a bordo della stessa vettura che dà il titolo all’opera, accompagnato dalla misteriosa Maetel e dall’altrettanto enigmatico Capotreno.
Una trama che non brilla per complessità quindi, e che anche nel suo svolgersi non presenta quasi mai grossi colpi di scena, che accusa anzi una certa ripetitività nella narrazione, e si sviluppa su episodi (o capitoli, se preferiamo) autoconclusivi, anch’essi per la maggior parte riconducibili a un preciso canovaccio (in cui la sfiga la fa da padrone, aggiungo io).
Spesso vi ritroverete ad assistere a sequenze di azione (che di azione però han ben poco), o a seguire momenti in cui i protagonisti si trovano in difficoltà, per poi passare, nel giro di una manciata di vignette, in una situazione diametralmente opposta, in cui ogni avversità precedentemente illustrata è (magicamente?) scomparsa.
Nessuno però verrà a spiegare come tutto ciò sia potuto succedere.

Venendo al disegno, be', è di certo particolare, personalmente l’ho trovato uno di quegli stili che, una volta focalizzato, può essere riconosciuto tra mille, ma c’è da dire che proprio questa sua particolarità lo fa rientrare tra quelle cose del genere “o lo ami o lo odi”.
Omini stilizzati fino all’inverosimile, tanto che il lettore spesso si troverà inorridito di fronte ad essi, ma non temete, non sarete gli unici, ci penseranno i personaggi stessi all’interno del fumetto a farsi i complimenti per il look! Donne bellissime, ma fatte con lo strumento copia-incolla di Photoshop (più sotterfugi addizionali gratis per nascondere la suddetta magagna) e ragazzi degni di essere dei cloni di Capitan Harlock, senza però la cicatrice a fargli da inconfondibile marchio di fabbrica.

Ora voi penserete, o meglio sperate, che il protagonista faccia parte di questo ultimo gruppetto ma, ahimè, capirete già dalle primissime pagine che così non è: rientra anzi a pieno titolo nella prima delle tre categorie presentate.
Maetel, invece, (e da una parte per fortuna) è la rappresentante del secondo gruppo, mentre il Capotreno non è classificabile, in virtù del fatto che son visibili soltanto gli occhi (bottoni gialli su di un indefinito e vagamente inquietante “fondo” nero).
Ma se da un lato abbiamo dei personaggi così particolari e atipici (e spesso abbandonati anche dalle grazie di Policleto), in barba ai figaccioni che spopolano oggi, dall’altro abbiamo degli scenari (soprattutto per quanto riguarda gli elementi futuristici e tecnologici) molto ben realizzati.

E dopo tutta questa sfilza di elementi, che elogi propriamente non si possono chiamare, direi dunque di passare a parlare dei “pro” del manga in questione.
Se omini picassiani, e “l’attacco dei cloni” conditi da sequenze in cui la logica sembra essere partita con un biglietto di sola andata verso luoghi migliori ci avevano fatto storcere il naso, questo è il momento di mettere insieme i pezzi, e di capire come tutto in realtà sia funzionale a quella che è l’atmosfera generale dell’opera.

Raccontare di mondi fantastici e lontani, farli conoscere a chi, come Tetsuro del resto, ha sempre e solo conosciuto il suo pianeta, è impresa ardua. Ancora di più lo è far passare questi luoghi come “credibili” e rispondenti a quella che è la logica e il senso comune.
Vi capiterà di incontrare ad esempio, donne alte e snelle dai lunghi capelli che si guardano e si insultano perché con questo loro aspetto si considerano “brutte”. Nell’assistere alla scena probabilmente non potremmo evitare di rimanere quantomeno perplessi, visto che tutte le qualità fisiche sopra elencate per noi lettori (e per il protagonista) sono invece molto apprezzate. Ma qui viene il bello: bisogna sempre tenere presente che il modo di pensare “terrestre” non è più applicabile nei pianeti che il lettore andrà a visitare, e dovrà stare alle nuove regole, senza troppo interrogarsi sul loro perchè, per tutta la durata della sosta in quel dato posto.
Tuttavia, se è vero il detto “paese che vai, usanza che trovi”, in questo caso lo è altrettanto quello che recita “tutto mondo è paese”. Dopo un primo impatto in cui tutto quanto ci sembra non solo nuovo, ma anche bizzarro e insensato, con un poco di attenzione si può notare come anche in frangenti apparentemente troppo lontani per essere compresi, si celi una parte della “nostra” quotidianità.
Una contraddizione quindi solo apparente, che per essere smascherata richiede però, da parte di chi legge, un po’ di attenzione e una certa “disposizione d’animo” verso l’opera, che sa regalare durante il suo svolgersi delle piccole “lezioni di vita” (se così possiamo chiamare), così come una favola al suo termine, nasconde sempre una morale da far propria.
Insomma, non è di certo un fumetto per chi cerca mazzate a valanghe, power up, o intrighi e colpi di scena alla Beautiful.
Di contro, purtroppo, può risultare ripetitivo sul lungo andare, vista anche (come già detto) la schematicità degli episodi, e la riproposizione costante di certi elementi.
Un altro punto obiettabile della narrazione inoltre, è senza dubbio quello riguardante i “colpi di scena”, che talvolta risultano essere presentati e liquidati in maniera sin troppo veloce, per potar far sì che il lettore possa inquadrare appieno cosa sia successo.

Ne consiglio pertanto una lettura abbastanza diluita, evitando le grosse “scorpacciate”, e questo non solo per evitare immediati e poco gradevoli deja-vu durante la lettura, ma anche per concedere un attimo di respiro da certune atmosfere tragiche, cupe o grottesche, che possono risultare mal digeribili o, appunto, per mettere a fuoco quegli elementi che meritano di una maggiore attenzione, sebbene presentati in modo relativamente veloce.
Concludendo, mi sentirei di dire a tutti di provare questo fumetto, e di perdonargli i “difetti” che presenta, in parte imputabili agli anni che il fumetto si porta dietro.