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Sono assolutamente convinto che si possa giudicare un'opera anche da poche pagine, perché sin dalla prima pagina risultano evidenti moltissime caratteristiche dell'artista. Questo banalmente perché lo scrittore mette tutto sé stesso in quello che produce sin dalle prime battute.
Flathead è il grido di battaglia dei suoi autori, ovvero un "Voglio essere diverso!" che spunta fuori sin dal font del titolo. Già solo per questo dovremmo lodare gli autori, visto che al giorno d'oggi creare qualcosa di originale è davvero difficilissimo.
La trama tuttavia non è originale. Ricorda molto Claymore (dalle ambientazioni, dalla presenza femminile, dal duetto bella-guerriero, dai nemici-mostri) e fa posizionare il fumetto fra gli shonen. Seinen? Questo si vedrà nei prossimi numeri, se usciranno.
Il disegno, invece, è molto bello, curato. Soprattutto mi sono piaciuti i colori degli scenari. Il contrasto fra il rosso dei capelli della protagonista e l'azzurro degli occhi fa molto effetto.

I dialoghi, ecco, non li ho sopportati. Non perché i personaggi dicano qualcosa di sbagliato o lo dicano male, oppure dicano le cose utilizzando un linguaggio incoerente con l'ambientazione: se c'è una cosa che odio nelle persone che producono contenuti su e per il web è la convinzione secondo la quale scrivere bene in italiano significa scrivere come un poeta del 1500.
Non è vero: scrivere bene in italiano significa, banalmente, rispettare le regole della grammatica italiana e fare scelte di registro coerenti. Per cui, che il guerriero-barbaro che gira a petto nudo per le lande desolate, vestito solo della sua forza bruta e della spada, mi parli con dovrebbe fare un giovane uomo istruito, mi spezza la coerenza del racconto. Quindi no, non è giusto.
Creare un'opera ricercata è da apprezzare, ma diventa un fallimento quando l'eleganza stilistica si sostituisce alla sostanza e questa è l'impressione di queste poche pagine di Flathead.
Spero che gli autori capiscono la grandezza dell'opportunità e si rimettano a lavoro per smentirmi.