Recensione
Suicide Island
9.0/10
Grandioso. Sono assolutamente lieto che un manga così valido sia in procinto di essere pubblicato in Italia. E dire che gli argomenti in esso trattato non sono neanche così originali: dal capostipite "Robinson Crusoe" al crudele "Il Signore delle Mosche", passando per l'intrigante "Lost", quante volte abbiamo goduto di storie che trattavano di persone sperdute su isole deserte, a fare i conti con un ritorno allo stato naturale nel quale ognuno è libero, troppo libero di decidere la nuova esistenza da intraprendere? Il fumetto, tuttavia, è un genere di arte che riesce a coinvolgerci in maniera ben diversa da come ci riuscirebbe un romanzo o un seriale televisivo. È la passione che, credo, tutti voi che leggete queste parole condividete. E vedere una storia vecchia, ma rivitalizzata dal suo passaggio ai disegni e alle nuvolette, non può che costituire un motivo più che valido per apprezzare profondamente questo contorto ma geniale manga.
La sostanza è la stessa, ma l'impostazione è ben diversa. Robinson Crusoe era un naufrago, mentre i bambini de "Il Signore delle Mosche" erano semplicemente protagonisti di un incidente aereo: laddove i protagonisti delle opere che ho citato non erano altro che vittime della sorte avversa, i personaggi di cui si compone "Suicide Island" sono invece sì vittime, ma sia di loro stessi che di un sistema a dir poco kafkiano, che li ha riuniti tutti nello stesso posto per un unico scopo, liberarsi di loro. Già un'opera come "Ikigami" aveva dato vita ad un Giappone alternativo, dove le alte sfere decidono di affrontare un problema relativo alla loro società in una maniera ben poco ortodossa. "Suicide Island" non è drastico come "Ikigami", ma poco ci manca; per di più, indizi nel corso della storia riveleranno particolari interessanti, che fanno sembrare la vicenda come una sregolata, selvaggia versione di "Hunger Games" senza tutta la parte dello show televisivo (potrei essere in errore su questo punto, eh, non sono ancora arrivato al finale, quindi tutto può essere).
Per risparmiare soldi sulle cure e la riabilitazione di aspiranti suicidi, il governo del Giappone decide di caricarli tutti su un barcone e di mollarli su un'isola sperduta, impedendo loro la fuga e dandoli per morti in patria (magari spendendo comunque una bella somma nell'ingaggio degli scafisti). Ecco l'elemento kafkiano della storia: si tratta di una situazione chiaramente assurda, perché nessun paese di una levatura assimilabile a quella del Giappone commetterebbe simili violazioni dei diritti umani. C'è di più: dato il fatto che tutti gli abitanti dell'isola sono persone che hanno cercato di darsi la morte, si viene a creare immediatamente un clima di tensione dovuto al fatto che, mentre alcuni portano immediatamente a termine il loro precedente proposito, coloro che decidono di lottare per la propria sopravvivenza scoprono sin da subito di non essere i primi residenti dell'isola. Fra tutti, emergerà la figura di Sei (non a caso, il suo nome significa "vita"), autoproclamatosi cacciatore del gruppo: seguiremo la vicenda attraverso i suoi occhi, e sempre dal suo punto di vista verremo a contatto con l'oscurità che inquina ogni personaggio, e osserveremo le ipocrisie, le ossessioni, le contraddizioni di cui si compone l'essere umano, che allo stato selvatico emergono più preponderanti e violente che mai. La lotta di Sei non è solo una battaglia per la sopravvivenza: la sua sarà una guerra silente contro sé stesso, mentre dovrà decidere quello che è giusto e quello che è sbagliato, se il suo desiderio di sopravvivere è così forte come crede, e, soprattutto, chi sono gli uomini... e chi sono i mostri.
Descrivere oltre la trama sarebbe, oltre che uno spoilerare, un voler descrivere la psiche umana e le decisioni che essa è capace di prendere in una situazione così drastica. Davvero, l'idea geniale del mangaka è stata quella di raccogliere un gruppo di mentalmente instabili, che hanno già deciso di gettarsi alle spalle quanto li rendeva delle persone normali, e immaginare una situazione dove sarebbero stati a contatto l'uno contro l'altro, liberi non solo di dare sfogo ai loro desideri più bassi, ma soprattutto di decidere di lasciarsi andare, e rinunciare a combattere. Perché alla fin fine la trama si può riassumere con queste semplici parole: arrendersi, o combattere. E voialtri, che leggerete questo manga, dovrete fare attenzione a non credere che l'arrendersi e il rinunciare alla propria vita siano la stessa cosa...
C'è una grossa nota positiva, in questo manga: i disegni. Sono piuttosto inusuali, e l'isola potrebbe quasi vivere di un'esistenza propria, tanto è dettagliata e particolareggiata. C'è, da parte dell'autore, il ricorso a tutto un sistema di ombreggiature che evidenzia in maniera sublime il buio in agguato nell'animo di ciascun personaggio. Il design dei personaggi non è granché ricco o vario, ma è molto espressivo, e il fatto che, spesso, le teste siano disegnate in maniera decisamente sproporzionata rispetto al corpo mi fa sospettare il ricorso ad un espediente che potremmo definire alla "David" di Michelangelo: ingrandire la testa per mettere in risalto il fatto che il personaggio pensa, più che agire, che è la sua mente e non il suo corpo a contare.
Negativo è invece il mio giudizio su alcuni strafalcioni: diciamo semplicemente che il primo volumetto non è particolarmente ispirato, e presenta dei punti deboli che fanno stridere la coerenza. Fortunatamente, la vicenda si fa pian piano più tesa, appassionante e ricca di elementi, ed è questo a vincere il lettore "over time": credetemi, vi conviene seguire almeno due o tre volumi, per giudicare appieno il manga.
Concludo aggiungendo che questo manga mi ha appassionato al punto che, alla sua ormai imminente release italiana, sarò in prima fila per acquistarne il primo volume, pur avendolo già letto. È una storia malata, distorta e inquietante, ma è proprio questo a renderla così emozionante e sorprendente. Sono curioso di sapere come si concluderà, e per questo lo seguirò con attenzione. Per il resto, posso solo sconsigliare "Suicide Island" ai deboli di stomaco e alle persone che non apprezzano le opere cervellotiche, perché violenza e introspezione sono dei capisaldi su cui si fonda l'intera vicenda. Detto questo, auguro buona lettura a tutti gli appassionati di Seinen.
La sostanza è la stessa, ma l'impostazione è ben diversa. Robinson Crusoe era un naufrago, mentre i bambini de "Il Signore delle Mosche" erano semplicemente protagonisti di un incidente aereo: laddove i protagonisti delle opere che ho citato non erano altro che vittime della sorte avversa, i personaggi di cui si compone "Suicide Island" sono invece sì vittime, ma sia di loro stessi che di un sistema a dir poco kafkiano, che li ha riuniti tutti nello stesso posto per un unico scopo, liberarsi di loro. Già un'opera come "Ikigami" aveva dato vita ad un Giappone alternativo, dove le alte sfere decidono di affrontare un problema relativo alla loro società in una maniera ben poco ortodossa. "Suicide Island" non è drastico come "Ikigami", ma poco ci manca; per di più, indizi nel corso della storia riveleranno particolari interessanti, che fanno sembrare la vicenda come una sregolata, selvaggia versione di "Hunger Games" senza tutta la parte dello show televisivo (potrei essere in errore su questo punto, eh, non sono ancora arrivato al finale, quindi tutto può essere).
Per risparmiare soldi sulle cure e la riabilitazione di aspiranti suicidi, il governo del Giappone decide di caricarli tutti su un barcone e di mollarli su un'isola sperduta, impedendo loro la fuga e dandoli per morti in patria (magari spendendo comunque una bella somma nell'ingaggio degli scafisti). Ecco l'elemento kafkiano della storia: si tratta di una situazione chiaramente assurda, perché nessun paese di una levatura assimilabile a quella del Giappone commetterebbe simili violazioni dei diritti umani. C'è di più: dato il fatto che tutti gli abitanti dell'isola sono persone che hanno cercato di darsi la morte, si viene a creare immediatamente un clima di tensione dovuto al fatto che, mentre alcuni portano immediatamente a termine il loro precedente proposito, coloro che decidono di lottare per la propria sopravvivenza scoprono sin da subito di non essere i primi residenti dell'isola. Fra tutti, emergerà la figura di Sei (non a caso, il suo nome significa "vita"), autoproclamatosi cacciatore del gruppo: seguiremo la vicenda attraverso i suoi occhi, e sempre dal suo punto di vista verremo a contatto con l'oscurità che inquina ogni personaggio, e osserveremo le ipocrisie, le ossessioni, le contraddizioni di cui si compone l'essere umano, che allo stato selvatico emergono più preponderanti e violente che mai. La lotta di Sei non è solo una battaglia per la sopravvivenza: la sua sarà una guerra silente contro sé stesso, mentre dovrà decidere quello che è giusto e quello che è sbagliato, se il suo desiderio di sopravvivere è così forte come crede, e, soprattutto, chi sono gli uomini... e chi sono i mostri.
Descrivere oltre la trama sarebbe, oltre che uno spoilerare, un voler descrivere la psiche umana e le decisioni che essa è capace di prendere in una situazione così drastica. Davvero, l'idea geniale del mangaka è stata quella di raccogliere un gruppo di mentalmente instabili, che hanno già deciso di gettarsi alle spalle quanto li rendeva delle persone normali, e immaginare una situazione dove sarebbero stati a contatto l'uno contro l'altro, liberi non solo di dare sfogo ai loro desideri più bassi, ma soprattutto di decidere di lasciarsi andare, e rinunciare a combattere. Perché alla fin fine la trama si può riassumere con queste semplici parole: arrendersi, o combattere. E voialtri, che leggerete questo manga, dovrete fare attenzione a non credere che l'arrendersi e il rinunciare alla propria vita siano la stessa cosa...
C'è una grossa nota positiva, in questo manga: i disegni. Sono piuttosto inusuali, e l'isola potrebbe quasi vivere di un'esistenza propria, tanto è dettagliata e particolareggiata. C'è, da parte dell'autore, il ricorso a tutto un sistema di ombreggiature che evidenzia in maniera sublime il buio in agguato nell'animo di ciascun personaggio. Il design dei personaggi non è granché ricco o vario, ma è molto espressivo, e il fatto che, spesso, le teste siano disegnate in maniera decisamente sproporzionata rispetto al corpo mi fa sospettare il ricorso ad un espediente che potremmo definire alla "David" di Michelangelo: ingrandire la testa per mettere in risalto il fatto che il personaggio pensa, più che agire, che è la sua mente e non il suo corpo a contare.
Negativo è invece il mio giudizio su alcuni strafalcioni: diciamo semplicemente che il primo volumetto non è particolarmente ispirato, e presenta dei punti deboli che fanno stridere la coerenza. Fortunatamente, la vicenda si fa pian piano più tesa, appassionante e ricca di elementi, ed è questo a vincere il lettore "over time": credetemi, vi conviene seguire almeno due o tre volumi, per giudicare appieno il manga.
Concludo aggiungendo che questo manga mi ha appassionato al punto che, alla sua ormai imminente release italiana, sarò in prima fila per acquistarne il primo volume, pur avendolo già letto. È una storia malata, distorta e inquietante, ma è proprio questo a renderla così emozionante e sorprendente. Sono curioso di sapere come si concluderà, e per questo lo seguirò con attenzione. Per il resto, posso solo sconsigliare "Suicide Island" ai deboli di stomaco e alle persone che non apprezzano le opere cervellotiche, perché violenza e introspezione sono dei capisaldi su cui si fonda l'intera vicenda. Detto questo, auguro buona lettura a tutti gli appassionati di Seinen.