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8.0/10
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"Una casa sarà forte e indistruttibile qualora sostenuta da questi quattro pilastri: un padre ardimentoso, una madre circospetta, un figlio obbediente e un fratello conciliante."
(Confucio)

Non un cattivo manga ma senza dubbio un manga cattivo: tale è "Arigatou", un intrigante connubio di perfidia, humour nero e disperazione da cui i palati più delicati farebbero meglio a tenersi alla larga. Se fosse un odore sarebbe quello penetrante e vagamente lisergico della benzina. Ci sono porte fatte per essere aperte e porte che, al contrario, hanno come unica finalità quella di costituire un confine invalicabile tra dentro e fuori: quella della famiglia Suzuki, delle cui traversie Naoki Yamamoto ci renderà inesorabilmente partecipi, fa per l'appunto parte della seconda categoria. Ciononostante infiltrarsi alla stregua di un insetto in questo pazzo microcosmo è molto più facile che uscirne vivi.

La storia ha inizio con il ritorno dall'Hokkaido del pater familias, che per motivi di lavoro manca da Tōkyō da cinque anni. La scena che gli si para davanti non potrebbe essere più squallida: la casa è ridotta a un porcile e al tavolo di cucina, immobile come una statua, la moglie assiste allo stupro della figlia maggiore bevendo liquore con sguardo ieratico. Al piano di sopra Takako, la più piccola, si intrattiene forse più consenzientemente di quanto sembri con uno dei tre bruti artefici di tanto scompiglio.
Sapete come si dice, no? "A mali estremi, estremi rimedi". In qualche modo l'ordine viene faticosamente ristabilito, ma tanto la vita quanto le dinamiche intestine dei Suzuki cambiano radicalmente. Il padre lascia il lavoro pur di stare vicino a moglie e figlie; la madre finisce tra le grinfie di un sedicente gruppo di auto/mutuo aiuto interessato più al profitto che al benessere dei propri iscritti; la figlia maggiore, che dopo lo choc iniziale sembrava essersi lasciata tutto alle spalle, di punto in bianco inizia a rifiutarsi di uscire di casa; infine Takako, già di per sé spaventosamente razionale per la sua età, entra in un'acuta e rabbiosa fase di ribellione di cui non si vede la fine. E se l'unico modo per rimettere insieme i pezzi fosse smettere di provarci così assiduamente?

Voglio essere sincera fino in fondo: il primo volume è illeggibile. Un inizio in medias res ci può anche stare, ma la premessa è così lunga che si fa davvero fatica a capire cosa sta succedendo e perché. La situazione si fa ancora più grottesca con l'arrivo del padre, di cui si può soltanto dire che se affronta i problemi sul lavoro come gestisce le crisi familiari c'è di che avere pietà dei suoi colleghi. Già del secondo volume, tuttavia, si registra un netto miglioramento, anche perché coloro che sono giunti più o meno indenni alla fine del primo hanno ormai accettato il fatto che dai membri di questa famiglia è inutile aspettarsi delle interazioni normali. Decisamente ben riusciti, infine, i due albi conclusivi grazie al focus sulla madre e a quello sugli anni trascorsi in Hokkaido dal padre.

Per quanto disturbante e surreale bisogna riconoscere ciò che accade in casa loro ha delle ripercussioni eccezionalmente plausibili sulla psicologia dei Suzuki: il sincero ma inconcludente attaccamento alla famiglia del padre, il senso di inutilità della madre, la lotta della sorella maggiore per tornare alla vita e il disorientamento sdegnato di Takako - che è poi quanto di più vicino a un io narrante il manga possegga - sono infatti resi in maniera puntuale e per nulla forzosa a dispetto della disfunzionalità del tutto. Meritano una menzione anche Atsushi, un delinquente dallo sviluppatissimo senso critico, e il cosiddetto Insetto, un ragazzo vittima di bullismo che vede in Takako un modello da imitare.
Non si sente la mancanza di un cast più ampio, perché i pochi personaggi presenti riempiono la scena a meraviglia. Oltretutto la mancanza di altri interlocutori al di fuori della cerchia familiare non fa che sottolineare quanto i Suzuki siano, ognuno a modo suo, degli outsider divisi tra il desiderio di integrarsi e quello di elevarsi dalla massa che li rifiuta.

Naoki Yamamoto ha forse più occhio per la costruzione delle tavole che per il disegno in sé, ma il suo tratto sporco e per nulla timoroso di far emergere il peggio delle persone si sposa alla perfezione con il caos ammantato di desolazione che accompagna i Suzuki quasi come un quinto membro. Efficacissime nella loro semplicità le espressioni di default della madre, ritratta sempre ad occhi chiusi, e della figlia maggiore, il cui struggente sguardo vacuo si anima soltanto quando non può fare a meno di riprendere contatto con una realtà troppo ingombrante per essere ignorata.

"Arigatou" ha dalla sua dei contenuti validi e un'invidiabile onestà intellettuale: non c'è spazio per il buonismo, né per inversioni a U di sorta. Proprio per questi motivi, tuttavia, la sua impietosa eloquenza può risultare indigesta al grande pubblico, ragion per cui consiglio di approcciarvisi soltanto se fermamente disposti ad accettare le conseguenze di quella che, più che a una lettura, si può paragonare a una lunga caduta con atterraggio su un letto di chiodi.