Recensione
Cat's Ai
1.0/10
Recensione di Inchiostro Nero
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Innanzitutto occorre fare una premessa, questo sequel del celeberrimo "Cat's Eye", di "Cat's Eye" non ha praticamente nulla, se non la presunzione, appunto, di fregiarsi tale.
La mia, oltre ad essere un'esternazione personale, la considero anche opinione oggettiva, in quanto ogni elemento che ha caratterizzato l'opera prima del maestro Hōjō, qui paradossalmente co-artefice del misfatto, risulta non solo assente, ma diametralmente opposta ad essa.
Dalla storia, snaturata fino ai massimi livelli, tanto da cancellare personaggi che ne hanno costruito le fondamenta, come il detective fidanzato della bella Hitomi, Toshio, la cui storia con l'elegante gatta rappresentava il cardine sul quale ruotava l'intero intreccio narrativo, a tal punto che nell'opera originale gli veniva lasciato quasi interamente lo spazio. Espediente, questo, di allontanare personaggi fondamentali, usato per far convergere l'attenzione sul caratterista di fondo, ossia la piccola Ai, impostando una storia d'amore fotocopia di quella narrata fra la sorella maggiore e il poliziotto, ma con scarsi, anzi scarsissimi risultati. E fa sorridere notare che in questo abominio abbia partecipato anche il creatore dell'unica e vera opera, proprio perché fautore di un manga che all'apparenza poteva sembrare il classico shounen d'azione, o di genere poliziesco, ma che invece, grazie anche ai mastodontici disegni del suddetto (che riuscivano a parlare anche senza l'ausilio delle parole) si prefigurava come un'attenta analisi di una bellissima storia d'amore, arricchita da gag e situazioni irriverenti, che ne esaltavano a pieno le qualità. In questo nonsense, invece, tutto scorre in una sola direzione, quella di ringiovanire un prodotto conformandolo ai canoni moderni, ossia banalizzandone i concetti, e smarrendone le peculiarità.
Ovviamente il restyle poteva senz'altro esserci, ma proprio per le abilità indiscusse del maestro Hōjō, che riusciva a trasmettere con il suo tratto distintivo tutta la gamma di sensazioni ed emozioni che i personaggi provavano, con Asai, seppur bravissimo (la sua Hitomi non è male, ma lontanissima da quella originale), non si riesce a cogliere le stesse sfumature, forse perché non figlie del suo genio. E quindi le pagine scivolano nel più puro anonimato, e nella più squallida superficialità, a tratti imbarazzante. Persino il caffè, rifugio e ristoro sia per i lettori, che per i personaggi principali (come non ricordare la bella Hitomi che, appoggiata al bancone, rivolge sguardi languidi al suo Toshio, sempre deluso ed amareggiato, seduto sullo sgabello di fronte), in questo pseudo sequel sembra freddo quanto un vento di maestrale.
L'incapacità nel gestire più personaggi è lampante, e quindi si assiste quasi ad un monologo della piccola gatta, sebbene questa venga coadiuvata dalle sorelle, che per carisma e temperamento sembrano dei pallidi riverberi di quelle che erano.
Forse, e dico forse, può attirare un discreto pubblico giovanile che non abbia (e credo sia difficile) mai sentito parlare di "Cat's Eye", ma chi ha amato come me quel piccolo capolavoro, non può che rimanerne deluso, e sentirsi tradito da colui che invero ne è stato l'artefice.
In definitiva, un vero spreco di carta, soldi e tempo.
La mia, oltre ad essere un'esternazione personale, la considero anche opinione oggettiva, in quanto ogni elemento che ha caratterizzato l'opera prima del maestro Hōjō, qui paradossalmente co-artefice del misfatto, risulta non solo assente, ma diametralmente opposta ad essa.
Dalla storia, snaturata fino ai massimi livelli, tanto da cancellare personaggi che ne hanno costruito le fondamenta, come il detective fidanzato della bella Hitomi, Toshio, la cui storia con l'elegante gatta rappresentava il cardine sul quale ruotava l'intero intreccio narrativo, a tal punto che nell'opera originale gli veniva lasciato quasi interamente lo spazio. Espediente, questo, di allontanare personaggi fondamentali, usato per far convergere l'attenzione sul caratterista di fondo, ossia la piccola Ai, impostando una storia d'amore fotocopia di quella narrata fra la sorella maggiore e il poliziotto, ma con scarsi, anzi scarsissimi risultati. E fa sorridere notare che in questo abominio abbia partecipato anche il creatore dell'unica e vera opera, proprio perché fautore di un manga che all'apparenza poteva sembrare il classico shounen d'azione, o di genere poliziesco, ma che invece, grazie anche ai mastodontici disegni del suddetto (che riuscivano a parlare anche senza l'ausilio delle parole) si prefigurava come un'attenta analisi di una bellissima storia d'amore, arricchita da gag e situazioni irriverenti, che ne esaltavano a pieno le qualità. In questo nonsense, invece, tutto scorre in una sola direzione, quella di ringiovanire un prodotto conformandolo ai canoni moderni, ossia banalizzandone i concetti, e smarrendone le peculiarità.
Ovviamente il restyle poteva senz'altro esserci, ma proprio per le abilità indiscusse del maestro Hōjō, che riusciva a trasmettere con il suo tratto distintivo tutta la gamma di sensazioni ed emozioni che i personaggi provavano, con Asai, seppur bravissimo (la sua Hitomi non è male, ma lontanissima da quella originale), non si riesce a cogliere le stesse sfumature, forse perché non figlie del suo genio. E quindi le pagine scivolano nel più puro anonimato, e nella più squallida superficialità, a tratti imbarazzante. Persino il caffè, rifugio e ristoro sia per i lettori, che per i personaggi principali (come non ricordare la bella Hitomi che, appoggiata al bancone, rivolge sguardi languidi al suo Toshio, sempre deluso ed amareggiato, seduto sullo sgabello di fronte), in questo pseudo sequel sembra freddo quanto un vento di maestrale.
L'incapacità nel gestire più personaggi è lampante, e quindi si assiste quasi ad un monologo della piccola gatta, sebbene questa venga coadiuvata dalle sorelle, che per carisma e temperamento sembrano dei pallidi riverberi di quelle che erano.
Forse, e dico forse, può attirare un discreto pubblico giovanile che non abbia (e credo sia difficile) mai sentito parlare di "Cat's Eye", ma chi ha amato come me quel piccolo capolavoro, non può che rimanerne deluso, e sentirsi tradito da colui che invero ne è stato l'artefice.
In definitiva, un vero spreco di carta, soldi e tempo.