Recensione
The Seven Deadly Sins
5.0/10
Recensione di Pipebomb Teller
-
La narrativa fantasy, pur non essendo per caratteristiche concepita verso un target specifico, è quella che certamente riscuote maggiore successo presso gli adolescenti, specialmente nei paesi occidentali. E si sa, il mercato editoriale punta a massimizzare i guadagni.
In quest’epoca è veramente difficile trovare opere che si assumono rischi a livello contenutistico, poiché sponsor e network non mancano di far sentire il proprio peso.
L’osservatore non crea il mondo, ma gli dà senso. L’originalità significa tutto e niente al giorno d’oggi, poiché è veramente difficile creare qualcosa di nuovo senza attenersi agli innumerevoli canovacci narrativi.
Esiste, tuttavia, la tendenza ad emulare nella speranza di ottenere il successo altrui, perché cavalcare l’onda e riprendere le atmosfere di Dragon Ball e One Piece è sempre più facile che partire da zero.
Nanatsu No Taizai non si presenta come un titolo di pura evasione, mira a sottolineare i valori più puri attraverso un linguaggio molto semplice e comune, mantenendo una narrazione fresca e leggera.
Si viene catapultati all’interno di un universo di cui l’autore stabilisce da subito regole e leggi, salvo poi incappare in qualche svista, come le gerarchie di forza che col progredire della storia appaiono sempre più confusionarie e dispersive.
Chi si cimenta con questo genere non può inoltre ignorare l’importanza della documentazione, che qui risulta solo abbozzata.
L’introspezione non è contemplata, il setting sociale e storico non è assolutamente all’altezza, e non viene nemmeno sviluppato a causa di una sceneggiatura più avvezza al fanservice esasperato, che strumentalizza la figura femminile a più riprese.
Sappiamo che il Giappone non è il paese più facile da questo punto di vista, come testimoniano le riforme attuate al termine dell’era Meiji, ma il modo in cui quest’opera relega la donna è degna delle peggiori commedie amorose del secolo scorso. Avrei anche potuto accettarlo negli anni 80, ma ormai il panorama nipponico è notevolmente cambiato.
Insomma, un inno alla mediocrità; un’opera imbarazzante, rivolta palesemente ad una frangia molto giovane, la quale brucia un incipit interessante all’interno del solito mondo stereotipato, attraverso una struttura narrativa abbastanza fiabesca che mescola comicità, azione e dramma proponendo temi e situazioni scontate. Il character design infantile contribuisce allo scopo.
Ricordate quando Mamoru Oshii (Tenshi No Tamago, Ghost In The Shell, ecc.) affermò di produrre film soprattutto per se stesso? Ecco, qui invece abbiamo la prova lampante di tutto ciò che racchiude la fredda logica del consumismo giapponese.
In quest’epoca è veramente difficile trovare opere che si assumono rischi a livello contenutistico, poiché sponsor e network non mancano di far sentire il proprio peso.
L’osservatore non crea il mondo, ma gli dà senso. L’originalità significa tutto e niente al giorno d’oggi, poiché è veramente difficile creare qualcosa di nuovo senza attenersi agli innumerevoli canovacci narrativi.
Esiste, tuttavia, la tendenza ad emulare nella speranza di ottenere il successo altrui, perché cavalcare l’onda e riprendere le atmosfere di Dragon Ball e One Piece è sempre più facile che partire da zero.
Nanatsu No Taizai non si presenta come un titolo di pura evasione, mira a sottolineare i valori più puri attraverso un linguaggio molto semplice e comune, mantenendo una narrazione fresca e leggera.
Si viene catapultati all’interno di un universo di cui l’autore stabilisce da subito regole e leggi, salvo poi incappare in qualche svista, come le gerarchie di forza che col progredire della storia appaiono sempre più confusionarie e dispersive.
Chi si cimenta con questo genere non può inoltre ignorare l’importanza della documentazione, che qui risulta solo abbozzata.
L’introspezione non è contemplata, il setting sociale e storico non è assolutamente all’altezza, e non viene nemmeno sviluppato a causa di una sceneggiatura più avvezza al fanservice esasperato, che strumentalizza la figura femminile a più riprese.
Sappiamo che il Giappone non è il paese più facile da questo punto di vista, come testimoniano le riforme attuate al termine dell’era Meiji, ma il modo in cui quest’opera relega la donna è degna delle peggiori commedie amorose del secolo scorso. Avrei anche potuto accettarlo negli anni 80, ma ormai il panorama nipponico è notevolmente cambiato.
Insomma, un inno alla mediocrità; un’opera imbarazzante, rivolta palesemente ad una frangia molto giovane, la quale brucia un incipit interessante all’interno del solito mondo stereotipato, attraverso una struttura narrativa abbastanza fiabesca che mescola comicità, azione e dramma proponendo temi e situazioni scontate. Il character design infantile contribuisce allo scopo.
Ricordate quando Mamoru Oshii (Tenshi No Tamago, Ghost In The Shell, ecc.) affermò di produrre film soprattutto per se stesso? Ecco, qui invece abbiamo la prova lampante di tutto ciò che racchiude la fredda logica del consumismo giapponese.