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9.0/10
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In questa giungla delimitata da un tappeto bianco
Anche oggi infuria una tempesta
Col pugno della giustizia
Colpisci i cattivi che non seguono le regole
Vai, vai, Tiger Mask!

In questa giungla delimitata da tre corde
Ruggiscono le bestie che non seguono le regole
Sventolando il tuo mantello a strisce
Rompi le loro zanne
Vai, vai, Tiger Mask!

In questa giungla senza erba né alberi
Ti aspettano trappole mortali
Superale combattendo lealmente
Mostra la determinazione di un uomo
Vai, vai, Tiger Mask!


Hideyo Morimoto, “Yuke! Tiger Mask!” (1969)

Nel caso vi trovaste in un izakaya (i tipici “pub” giapponesi frequentati principalmente dai lavoratori di mezza età che vanno a sollazzarsi dopo il lavoro) che mette a disposizione dei clienti anche il karaoke, provate a fare un esperimento e a selezionare la canzone succitata. Nel 90% dei casi, se i clienti del locale hanno più di quarant’anni (e, nella maggior parte dei casi, li hanno), andranno in brodo di giuggiole nel sentire queste note o nel ritrovarsi proiettato sullo schermo del karaoke il video correlato. La reazione di base sarà “Eeeeh? Tiger Mask?!”, alla quale può poi seguire, a seconda dei casi, un interrogatorio più o meno lungo diretto alla vostra persona, che probabilmente comprenderebbe un discorso del tipo “Ti piace Tiger Mask?” “Ti piace il puroresu?” “Io da giovane ero un fan di Satoru Sayama...”.

E’ ormai da più di un anno che vivo in Giappone, ed essendo appassionato sia di anime che di wrestling, quando parlo con uomini che hanno superato la quarantina (siano essi i miei insegnanti o nuove conoscenze), il nome di Tiger Mask salta fuori inevitabilmente, in un modo o nell’altro.

Tiger Mask, o l’Uomo Tigre come è noto a noi italiani, è, infatti, una figura di una certa importanza all’interno del bagaglio di cultura popolare degli attuali adulti giapponesi.
E’ stato l’eroe che ha infiammato i sogni di molti bambini degli anni settanta, come protagonista dell’omonimo manga pubblicato sul Bokura Magazine di Kodansha fra il 1968 e il 1971 e dell’omonima serie a cartoni animati di Toei Animation andata in onda fra il 1969 e il 1971. Ma la popolarità di questo impavido lottatore di wrestling dalla maschera di tigre non si limita a questo, e, oltre ad aver ispirato ulteriori adattamenti manga e anime, un (brutto) film live action e personaggi di videogiochi (chi ha detto King di “Tekken”?), Tiger Mask è anche una parte fondamentale del puroresu giapponese vero e proprio, con una lunga serie di lottatori che, sin dai primi anni ottanta, hanno portato su ring reali la maschera e l’identità della Tigre, dal già citato Satoru Sayama ai più recenti Ikuhisa Minowa e Kota Ibushi.
Satoru Sayama è il “Tiger Mask” più popolare, al punto da meritarsi persino un museo personale a Tokyo (vicino alla stazione di Suidobashi, a due passi dal Tokyo Dome e dal Korakuen Hall), ma, se vi capita di assistere a uno show della New Japan Pro Wrestling, potrete ancora oggi veder lottare dal vivo le più recenti incarnazioni della Tigre, emozionandovi come Kenta e gli altri bambini dell’orfanotrofio quando assistevano agli incontri del lottatore nel cartone animato degli anni sessanta.
Il prode lottatore con la maschera di tigre è stato assente dalle serie a cartoni animati da più di trent’anni, soppiantato successivamente da un altro wrestler a cartoni animati molto popolare, ma ha continuato a vivere come wrestler in carne ed ossa e come eroe di svariate generazioni di Giapponesi. Questo fino al 2016, quando, all’interno dei festeggiamenti per i sessant’anni della Toei Animation, viene lanciata una nuova serie animata a lui dedicata: “Tiger Mask W”.

Il titolo dell’opera, W (che in giapponese si legge come l’inglese “double”), parla chiaro e già suggerisce quello che sarà l’elemento chiave della storia, ossia la dualità tra due “tigri”, incarnate da due giovani wrestler che, allenatisi insieme da ragazzi, si ritrovano dopo anni ai lati opposti del ring.
Quando la Zipang Pro Wrestling, la piccola federazione dove si allenavano, viene distrutta dalla potente Global Wrestling Monopoly (dietro alla quale si nasconde una rediviva Tana delle Tigri) e il loro maestro viene gravemente ferito, il destino di due giovani atleti prende strade diverse ma destinate inevitabilmente a incrociarsi nel nome di una maschera da tigre.
Il primo dei due, Naoto Azuma, va a vivere insieme a Kentaro Takaoka, ex lottatore di Tana delle Tigri e amico dello storico Tiger Mask, Naoto Date, che lo allena per diventare il nuovo Tiger Mask.
Il secondo, Takuma Fujii, figlio del maestro ridotto in sedia a rotelle, fa perdere le sue tracce ed entra a far parte di Tana delle Tigri, con l’obbiettivo di distruggerla dall’interno e ottenere vendetta, nascondendo il volto e la sua vera identità sotto la maschera corvina di Tiger The Dark.
Con Naoto/Tiger Mask affiliato alla New Japan Pro Wrestling e Takuma/Tiger The Dark che diventa parte dei piani della GWM per conquistare il mercato nipponico, si profila ben presto all’orizzonte lo scontro tra le due “tigri”, ma l’attacco alla Zipang Pro Wrestling di diversi anni fa e l’enigmatica “Tana delle Tigri” che si nasconde dietro la GWM nascondono ancora diversi misteri da svelare, legati a un eroico lottatore dalla maschera di tigre e alla sua storia di cinquant’anni prima...

Come da consuetudine degli ultimi anni, quando (troppo spesso) storie di successo del passato vengono riprese con nuove produzioni, anche l’annuncio di “Tiger Mask W” è stato accolto con un misto di entusiasmo e scetticismo, soprattutto in Italia, dove il nome di Tiger Mask (o, meglio, dell’Uomo Tigre) è slegato dalla dimensione reale del wrestling, per essere solo quello di un cartone animato e di un intramontabile mito d’infanzia per la generazione degli attuali adulti. Possibile, a distanza di cinquant’anni, ricreare quel mito, quell’epica ricca di sudore, sangue, dramma e passione che aveva reso grandi Naoto Date e la sua storia?
Nove mesi e trentotto episodi più tardi, la risposta è “sì e no”, per vari motivi, legati indubbiamente al tempo che passa (cinquant’anni sono tanti, checché se ne dica), alla società, al pubblico e alla scena sportiva che inevitabilmente cambiano, e alla non sottovalutabile differenza tra il pubblico (e dunque, le aspettative e il giudizio) italiano e quello giapponese.
Il primo “Tiger Mask”, quello dei fumetti e dei cartoni animati degli anni sessanta, era una produzione pensata per il pubblico dei bambini e ragazzini dell’epoca: un manga pubblicato su una rivista per ragazzi, un anime trasmesso ad ora di cena, che ha generato una grossa quantità di giocattoli a tema (vi basta girare per i vari negozi della catena Mandarake per trovarne diversi). Eppure, Tiger Mask, pur avendo continuato a vivere in diverse incarnazioni in carne ed ossa nel corso dei decenni, è sempre stato l’eroe non di tutti, ma di “quei” bambini, che hanno continuato a seguirne le gesta anche da adulti, rimanendo appassionati di puroresu anche una volta cresciuti, mentre i bambini nati nei decenni successivi avevano altri eroi (Kinnikuman, Son Goku, Sailor Moon, Rufy...) e nulla sanno di Tiger Mask, se non che è un personaggio che piace ai loro papà. Condizione naturale e condivisa da quasi tutti i personaggi dei cartoni animati giapponesi, che, con le sole eccezioni di Son Goku, Doraemon, Shin-chan e pochi altri, sono espressione di un target specifico, si rivolgono ai bambini di una determinata generazione e ne accompagnano la crescita anche da adulti, piuttosto che rivolgersi alle successive. Provate a mostrare a una classe di bambine giapponesi, magari che va pazza per le Pretty Cure, un’immagine di Sailor Moon: se siete fortunati, fra mille “Chi è? Non la conosco”, riceverete un paio di “Ah, sì. Piace a mia madre. La guardava quando era piccola!”.

Non sorprende, quindi, che il target di “Tiger Mask W” non sia più quello dei bambini, ma quello degli adulti (i bambini di quarant’anni fa, sempre loro) e, in particolare, quello degli adulti che seguono con passione il puroresu. Lontano dall’essere il titolo di grido tra i bambini com’era quarant’anni fa, oggi “Tiger Mask W” è un titolo di nicchia, trasmesso per soli nove mesi, alle tre del mattino (quando i bambini, chiaramente, dormono, e sognano di diventare giocatori di baseball o calciatori piuttosto che wrestler) e con un giro di merchandising strettamente dedicato agli adulti, venduto attraverso i canali della New Japan Pro Wrestling e limitato a qualche maglietta, un paio di CD musicali e un paio di figure.
Cambia il pubblico, cambia la società e cambia anche il modo di intendere il puroresu rispetto agli anni sessanta di Naoto Date. Il Giappone di Naoto Azuma è una nazione tutto sommato benestante, dove non ci sono orfanotrofi poverissimi o bambini sfortunati che sognano di diventare come gli eroi del wrestling.
Anche perché, soprattutto nel caso della New Japan Pro Wrestling (la federazione che ha collaborato alla realizzazione di “Tiger Mask W”, prestando all’anime loghi, nomi e volti di lottatori reali), i wrestler giapponesi non sono più eroi inaccessibili da guardare in TV, sognando di vederli dal vivo come se fosse la rarissima occasione di una vita intera, come accadeva nel primo “Tiger Mask”. Quello della New Japan Pro Wrestling è oggi un business fortemente redditizio e radicato nella cultura popolare del Giappone: è possibile assistere agli incontri dal vivo praticamente ogni giorno, i lottatori sono ormai personaggi pubblici estremamente popolari, che si occupano non solo di wrestling, ma fanno anche, occasionalmente, i doppiatori, gli attori in spot e produzioni TV o cinematografiche, scrivono libri, è possibile “toccarli con mano” tramite i loro account dei social network e via dicendo. Essendo una federazione molto popolare, dunque, difficilmente si potranno richiedere alla New Japan Pro Wrestling match di una violenza paragonabile a quella mostrata nel wrestling degli anni sessanta: per quanto la tecnica durante i match sia sempre assai importante, lo è anche, altrettanto, l’aspetto “spettacolo”, con musiche, personalità esagerate, personaggi carismatici e una quantità infinita di merchandising che è possibile trovare non solo nei luoghi dei match o specializzati in vendita di prodotti sul wrestling, ma anche nei negozi che si occupano di cosplay, abbigliamento o di articoli di cartoleria. I wrestler scorretti di Tana delle Tigri degli anni sessanta, che sventravano gli avversari coi tirapugni, oggi rivivono in altre federazioni (come la Big Japan Pro Wrestling), ma non è più il caso della New Japan Pro Wrestling, e quindi di “Tiger Mask W”, dove la violenza, il sangue, il dramma sono comunque presenti ma in maniera assai minore rispetto alla serie originale.

“Tiger Mask W” è una storia meno romanzata del suo predecessore e, pur concedendosi di tanto in tanto qualche parentesi più epica perfettamente riuscita, si concentra maggiormente sul rappresentare con realismo il mondo del puroresu attuale. Non gli interessa creare il dramma a tutti i costi, anche se, intelligentemente, anche stavolta lega il wrestling e la genesi del suo eroe ai problemi del Giappone del tempo (il dopoguerra per Naoto Date, il dopo-Fukushima per Naoto Azuma), concedendosi una breve ma avvincente parentesi “old-style” nel raccontare il percorso di caduta e ripresa attraverso il “male” di Tana delle Tigri dell’altro eroe, Takuma.
Se Naoto Date era un personaggio tormentato e solitario, che vedeva soltanto i suoi sogni e i suoi obbiettivi, Naoto Azuma è invece un personaggio ben diverso, che riesce anche a godersi la vita, ad avere rapporti fuori dal ring con altri personaggi e che, attenzione attenzione, ha addirittura anche degli interessi amorosi.
Questo lo rende, probabilmente, un personaggio meno eroico e meno memorabile rispetto al suo storico predecessore, reso leggendario dalla sua granitica devozione al suo ideale, al punto che, per buona parte della serie, sono tutti gli altri personaggi a spiccare maggiormente, piuttosto che lui, Takuma, col suo dramma personale e il modo tragico e solitario in cui decide di risolverlo, chiaramente, ma anche tanti altri. Una delle cose più belle di “Tiger Mask W”, infatti, sta anche qui, nella sua bella coralità, che regala sempre un approfondimento, un momento, anche solo una gag ad ognuno dei suoi personaggi. I momenti “fuori dal ring” non mancano, ma, se nella serie storica questi erano occupati da scenette sempre uguali e abbastanza fastidiose dedicate ai seccanti bambini dell’orfanotrofio, qui si sceglie invece di approfondire in vari modi il nutrito cast e la scena narrativa del puroresu attuale, di cui ci vengono mostrati meccanismi, dietro le quinte e persino personaggi reali, ritratti in modo splendidamente fedele con tutte le loro fissazioni e passioni. Gli appassionati di puroresu non possono che sorridere nel vedere Yuji Nagata (uno che ogni giorno si mette a postare degli spassosissimi selfie sulla sua pagina Instagram e si mette a battibeccare su Facebook con la moglie sul far fare i compiti al figlio dopo avergli fatto vedere il sumo in TV) preso costantemente in giro perché ha a che fare con un mondo che si muove troppo velocemente rispetto a lui; nel vedere quel mattacchione di Tetsuya Naito che gigioneggia; nel vedere Hiroshi Tanahashi, storico fan di Kamen Rider, che si reinventa nei panni del wrestler mascherato It’s the Ace; nel vedere Togi Makabe che fa il giro delle pasticcerie da recensire nel suo blog (che esiste davvero!). Tantissimi i wrestler reali, attualmente sotto contratto per la New Japan Pro Wrestling, che compaiono nella serie animata, ma anche i personaggi animati creati per l’occasione riescono a regalarci dei momenti splendidi e tantissime succose citazioni che faranno felici gli appassionati di puroresu.

E’ il caso, ad esempio, del grandioso Fukuwara Mask, un lottatore demenziale e simpaticissimo che omaggia l’affermata tradizione dei comedy wrestler giapponesi e che nella storia regala diversi momenti spassosi ma non solo, riuscendo anche a rivelarsi un inaspettatamente saggio maestro per il giovane Naoto e un personaggio fondamentale nell’economia del racconto, grazie a un misterioso passato che ci viene solo suggerito (avrei adorato un suo flashback più approfondito), ma che anche così riesce a mettere in scena la grandezza di un personaggio che sceglie di stare nelle retrovie, nascondendosi dentro un buffo costume, invece di essere l’eroe “cool”, e che proprio per questo risulta profondo e bellissimo.
Che dire, poi, di Haruna, personaggio originale e talmente ben riuscito che gli autori ritagliano per lei uno spazio uguale e parallelo a quello di Naoto? Haruna è la giovane agente di Tiger Mask, furba e vivace nonché secondo polo di una storia d’amore tanto semplice quanto tenera, ma con il passare degli episodi si guadagna una sua personale sotto-trama che la vedrà debuttare come lottatrice nel mondo del joshi puroresu, il wrestling femminile, ovviamente anche lei munita di una maschera di tigre. Cosa, questa, impensabile al tempo di Naoto Date e perfetto riflesso dei tempi che cambiano. In effetti, “Tiger Mask W” presenta anche diversi personaggi femminili abbastanza interessanti, che all’apparenza sembrano essere usati esclusivamente come fanservice (la procace agente di Tana delle Tigri, Miss X, che viene sempre inquadrata all’altezza del petto e sembra che stia godendo anche quando deve fare una semplice conversazione) o come interesse amoroso dei personaggi (l’infermiera Ruriko e la giornalista Hikari), ma hanno un loro ruolo e contribuiscono comunque a vivacizzare l’universo narrativo, creando spesso e volentieri dei giochi di coppie che risultano anche più interessanti dei match di wrestling.

“Tiger Mask W” è una serie che parla di wrestling, ma lo fa nelle sue varie accezioni, ritagliandosi spazio anche per il dramma, la commedia, il romanticismo, l’approfondimento dei personaggi, e non solo per i combattimenti. Questi sono abbastanza brevi e concisi, ma riescono comunque a fare la gioia dei fan del wrestling tramite un curato realismo delle mosse e una lunga serie di citazioni al wrestling reale (giapponese e non) sia per quanto riguarda le mosse utilizzate che nella figura di molti lottatori minori chiaramente ispirati a mostri sacri del passato (un paio su tutti, compaiono dei cloni dei mai dimenticati, e popolarissimi in Giappone, Road Warriors).
Quando c’è da fare sul serio, “Tiger Mask W” lo fa decisamente bene, concedendosi ogni tanto uno strappo alla regola e sacrificando un po’ di realismo per una maggiore vena epica dei combattimenti, concentrata in pochi momenti chiave ma decisamente efficace ed esaltante.
I trentotto episodi della serie sono divisi in tre tronconi stagionali, facendo sempre accadere una svolta epocale nella storia alla fine di ognuno di essi, in modo da rimescolare le carte in tavola e catapultare alle stelle l’entusiasmo e la curiosità dello spettatore. E’ sicuramente una serie più leggera rispetto al suo progenitore degli anni sessanta, dove non mancano i momenti più rilassati, comici o romantici, ma l’attesa per l’evocato incontro-scontro tra le due tigri e la ricerca della vera identità dell’aggressore del padre di Takuma sono assai appassionanti. L’ultimo troncone di puntate, in particolare, riesce a tirare perfettamente i fili di tutto, restituendo sia a Naoto che a Takuma il palcoscenico da protagonista e creando un boss finale che magari poteva essere curato meglio dal lato psicologico, ma riesce perfettamente nel suo intento di evocare ansia, terrore e ammirazione nei personaggi e negli spettatori.

Lo stile di disegno utilizzato per la serie è un particolare miscuglio di moderno e classico: colori vivaci e disegni semplici ma gradevoli, un po’ a ricordare le recenti produzioni Toei Animation come “Abarenbou Rikishi Matsutarou” o molte serie delle Pretty Cure (il character designer è Hisashi Kagawa, responsabile di “Fresh Pretty Cure”), si mescolano spesso e volentieri con effetti volutamente retrò, colori tenui o contorni molto marcati, chiaro riferimento allo stile grezzissimo che caratterizzava la serie originale degli anni sessanta. L’effetto risulta comunque piacevole, così come assai esaltanti sono i combattimenti, splendidamente animati nei loro momenti chiave.
Il miscuglio di classico e moderno sembra essere la chiave di volta di tutto il comparto tecnico di “Tiger Mask W”, visto anche il suo cast di doppiatori vecchi e nuovi, tra graditi ritorni direttamente dalla storica prima serie (Kentaro Takaoka, Mr. X) e persino il graditissimo cameo di Togi Makabe, che doppia sé stesso con la sua voce grezza, possente e divertentissima “perché gli altri miei colleghi della New Japan Pro Wrestling hanno dei doppiatori professionisti che danno loro la voce, ma nessuno può imitare la mia bellissima voce e quindi io mi doppierò da solo” (parole sue!).
Ad occuparsi della colonna sonora c’è Yasuharu Takanashi, e chi ha seguito i precedenti lavori di questo compositore (da “Sailor Moon Crystal” a “Fairy Tail”, passando per diverse serie “Pretty Cure”) sa bene quanto sia bravo a realizzare partiture orchestrate che valorizzino le scene clou, rendendole assai esaltanti.
“Tiger Mask W” non fa eccezione e, infatti, buona parte della bellezza dei combattimenti viene non soltanto dalle animazioni e dal grande impatto emozionale che hanno sullo spettatore, ma anche dalle splendide musiche che li accompagnano. Con uno stile che ricorda quello dei picchiaduro da sala giochi degli anni ’90 (molte tracce originali della serie potrebbero tranquillamente provenire dalla colonna sonora di un “Bloody Roar”), Yasuharu Takanashi si diverte un mondo anche a giocare con “Yuke! Tiger Mask”, rifacendola in decine di modi diversi, dal rock alla ballad un po’ western, e riuscendo anche a infilarci in mezzo un rifacimento strumentale di “Minashigo no Ballad”, la struggente sigla di chiusura della serie storica.
Le due sigle d’apertura sono affidate agli Shounan no Kaze (un gruppo noto ai fan di “Yakuza/Ryuu ga Gotoku”), che hanno rifatto “Yuke! Tiger Mask” con uno stile più moderno e grintoso (con l’unico difetto che la serie è finita, ma del singolo in versione completa della canzone non c’è traccia) e hanno realizzato una sigla di chiusura, “King of The Wild”, in uno stile rap tanto esaltante quanto impossibile da cantare per i comuni mortali.

Dagli anni sessanta di Naoto Date troppe cose sono cambiate. Il mito di Tiger Mask rimane, incarnato in diversi lottatori reali che ne hanno indossato la maschera nel corso dei decenni, ma si tratta di un personaggio che continua a piacere agli adulti più che ai giovani, i quali preferiscono altri eroi dei manga e degli anime e altri lottatori di wrestling, come il giovane, bello e talentuoso Kazuchika Okada o il guascone Tetsuya Naito, amatissimi anche dal pubblico femminile. Lo zoccolo duro degli appassionati del puroresu rimane, tuttavia, quello composto dai fan adulti, che agli show della New Japan Pro Wrestling tifano per Jushin Thunder Liger e che, probabilmente, il loro eroe d’infanzia con la maschera di tigre se lo portano ancora nel cuore, anche se continuano ad esaltarsi con gli altri lottatori attuali.
“Tiger Mask W” è per loro, una serie di nicchia diretta ai fan adulti del wrestling che possono riconoscersi perfettamente nel mondo attuale minuziosamente descritto, riconoscerne volti, tormentoni e meccanismi. Un bel regalo per i bambini degli anni sessanta da parte di Toei Animation e New Japan Pro Wrestling, che hanno voluto riportare in auge un vecchio mito rilanciandolo anche dal vivo, con il lottatore Kota Ibushi a indossare la maschera di Tiger Mask “W” in molti incontri dal vivo e i doppiatori Taku Yashiro (Naoto) e Suzuko Mimori (Haruna) invitati spesso e volentieri a commentarli a bordo ring.
Una serie forse un po’ troppo di nicchia, ma chi di questa nicchia fa parte si divertirà un mondo e anche i semplici nostalgici del vecchio, storico, “Tiger Mask” possono divertirsi parecchio, ritrovando in una nuova veste un vecchio amico. Che in realtà non se n’è mai andato, anche se magari loro non lo sanno.
Immagino che, finita la trasmissione, “Tiger Mask W” finirà nel limbo, dimostrandosi solo un fugace ma bel regalo di nove mesi brevi ma intensi. E’ chiaro che chiunque, in Italia, continuerà a ricordare Naoto Date piuttosto che Naoto Azuma, e, in Giappone, Satoru Sayama piuttosto che Kota Ibushi. Chissà, magari tra dieci o vent’anni sarà realizzato un nuovo anime di “Tiger Mask”, ma non credo che la situazione cambierebbe più di tanto.

In fondo, di chi sia il volto sotto la maschera o se il ring sia quello spartano e insanguinato degli anni sessanta o quello illuminato e chiassoso dell’attuale New Japan Pro Wrestling non ha importanza: l’eroe che simboleggia quella maschera continua a vivere, simbolo dei sogni dei bambini di un tempo oggi diventati adulti che non hanno smesso di sognare.
Ciò che realmente conta è quello che l’eroe, qualunque sia la sua maschera, porta con sé, quella otoko no konjou, la determinazione di un uomo, che è il fulcro di “Tiger Mask” in ogni sua incarnazione (la cita la sigla in ogni sua versione, la cita il maestro Fujii nei suoi allenamenti), il fulcro di ogni anime sportivo e anche un po’ il fulcro di ogni uomo giapponese, che nasconde dentro di sé un insospettabile eroe, anche se non combatte la sua battaglia su un ring per il bene dei bambini orfani bensì in un’azienda per il bene dei propri cari.