Recensione
Sanjuro
8.5/10
"Sanjuro", uscito in patria nel 1962, è il film di Akira Kurosawa che costituisce il seguito del suo precedente "Yojimbo", noto in Italia come "La sfida del samurai".
Un gruppo di nove giovani samurai è sempre più insoddisfatto della corruzione dilagante nella pubblica amministrazione. Uno di loro, erettosi a portavoce, se ne lamenta con lo zio ciambellano, che però risponde in un modo sornione che lo lascia insoddisfatto. Si rivolge allora ad un altro importante funzionario, il signor Kikuì, che sembra venire incontro alle sua aspettative. S'incontra con i suoi sodali nottetempo in un tempio shintoista, nel quale si trova a dormire anche il ronin Sanjuro, che avendo sentito il suo racconto mette in guardia gli ingenui samurai: Sanjuro ha infatti intuito che a capo del sistema di corruzione c'è proprio Kikuì, che infatti tenta di neutralizzare chi potrebbe smascherarlo e fa arrestare il ciambellano, a cui cerca di addossare ogni responsabilità. Colpiti dal suo acume e dalla sua abilità con la katana, i samurai erigono il ronin a loro capo e mentore nella lotta contro Kikuì e gli altri congiurati.
Rispetto al film precedente, in "Sanjuro" è presente una maggiore carica ironica, che si nota anche nel contrasto tra l'impulsività e l'ingenuità dei nove samurai e la ponderatezza di Sanjuro, che appare più maturo ma anche meno cinico che in "Yojimbo". L'inquadramento temporale è più vago che in "Yojimbo", in cui il revolver utilizzato da uno degli antagonisti stava ad indicare l'inizio dell'apertura del Giappone ai contatti con l'Occidente e alla modernizzazione; tuttavia, a ben vedere, si nota anche qui un contrasto fra la tradizione, rappresentata dalla "legge della spada" incarnati da Sanjuro (e al bushido di cui i suoi giovani seguaci hanno un'idea ancora un po' romantica e idealizzata) e da un nuovo sistema in cui il ruolo della violenza possa essere drasticamente ridotto in favore di soluzioni alternative ma altrettanto efficaci, come quelle proposte dalla moglie dal ciambellano; un sistema, però, nel quale un ronin come Sanjuro difficilmente troverebbe ancora posto.
Nel duello finale si nota un particolare splatter che contrasta con la grande parsimonia di sangue versato nelle precedenti azioni con la spada; ciò avvenne per un errore di valutazione della pressione nella sacca di sangue finto usato per l'effetto, ma il regista volle tener buono il primo ciak, pur sapendo che ciò avrebbe probabilmente provocato un certo straniamento nello spettatore.
In definitiva, "Sanjuro" è per molti aspetti un'opera diversa da "La sfida del samurai", ma per me non inferiore.
Un gruppo di nove giovani samurai è sempre più insoddisfatto della corruzione dilagante nella pubblica amministrazione. Uno di loro, erettosi a portavoce, se ne lamenta con lo zio ciambellano, che però risponde in un modo sornione che lo lascia insoddisfatto. Si rivolge allora ad un altro importante funzionario, il signor Kikuì, che sembra venire incontro alle sua aspettative. S'incontra con i suoi sodali nottetempo in un tempio shintoista, nel quale si trova a dormire anche il ronin Sanjuro, che avendo sentito il suo racconto mette in guardia gli ingenui samurai: Sanjuro ha infatti intuito che a capo del sistema di corruzione c'è proprio Kikuì, che infatti tenta di neutralizzare chi potrebbe smascherarlo e fa arrestare il ciambellano, a cui cerca di addossare ogni responsabilità. Colpiti dal suo acume e dalla sua abilità con la katana, i samurai erigono il ronin a loro capo e mentore nella lotta contro Kikuì e gli altri congiurati.
Rispetto al film precedente, in "Sanjuro" è presente una maggiore carica ironica, che si nota anche nel contrasto tra l'impulsività e l'ingenuità dei nove samurai e la ponderatezza di Sanjuro, che appare più maturo ma anche meno cinico che in "Yojimbo". L'inquadramento temporale è più vago che in "Yojimbo", in cui il revolver utilizzato da uno degli antagonisti stava ad indicare l'inizio dell'apertura del Giappone ai contatti con l'Occidente e alla modernizzazione; tuttavia, a ben vedere, si nota anche qui un contrasto fra la tradizione, rappresentata dalla "legge della spada" incarnati da Sanjuro (e al bushido di cui i suoi giovani seguaci hanno un'idea ancora un po' romantica e idealizzata) e da un nuovo sistema in cui il ruolo della violenza possa essere drasticamente ridotto in favore di soluzioni alternative ma altrettanto efficaci, come quelle proposte dalla moglie dal ciambellano; un sistema, però, nel quale un ronin come Sanjuro difficilmente troverebbe ancora posto.
Nel duello finale si nota un particolare splatter che contrasta con la grande parsimonia di sangue versato nelle precedenti azioni con la spada; ciò avvenne per un errore di valutazione della pressione nella sacca di sangue finto usato per l'effetto, ma il regista volle tener buono il primo ciak, pur sapendo che ciò avrebbe probabilmente provocato un certo straniamento nello spettatore.
In definitiva, "Sanjuro" è per molti aspetti un'opera diversa da "La sfida del samurai", ma per me non inferiore.