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Attenzione: la recensione contiene spoiler

“Stare da soli ha il suo perché. Non devi soddisfare le esigenze altrui. Sorprendentemente, dopo esser stato solo, non ti ci senti più così tanto come pensavi la prima volta.”
- Sakuta Azusagawa

“Seishun Buta Yarō wa Banī Gāru Senpai no Yume o Minai” (Aobuta) è una serie TV anime di tredici episodi, trasmessa nel 2018, prodotta dallo studio CloverWorks e basata sull’omonima serie di light novel scritta da Hajime Kamoshida.

Partiamo dal presupposto più importante: se si è appassionati del genere, questo anime rappresenta il capovolgimento delle regole non scritte a cui siamo abituati quando ci approcciamo all’animazione giapponese - ed è tutto riscontrabile già dal primo episodio: protagonista atipico, interessante e maturo - antitesi del generico e inetto eroe nipponico; caratterizzazione e introspezione psicologica notevole su ogni personaggio introdotto; dialoghi e umorismo sopra le righe, pungenti ma mai banali; meta-autocritica sui cliché degli anime, che “Aobuta” stesso talvolta utilizza come espedienti narrativi, ma soprattutto ragazze che non sono alla mercé del fanservice spudorato, bensì individui che vivono drammi e difficoltà, con personalità ben definite. “Aobuta” mette sé stesso in discussione discutendo delle produzioni giapponesi attraverso personaggi accattivanti e una trama leggera ma misteriosa e affascinante, spaziando tra comicità e drammaticità in modo costante, e lo fa con grande naturalezza, senza pretendere di strappare una risata né sentendosi in dovere di rovinare momenti seriosi per infilarci dell’humour da quattro soldi: può sembrare una precisazione da poco, ma vi posso assicurare che non lo è.

Come si vive ai giorni nostri con una turbolenta situazione famigliare che costringe a vivere senza genitori, una sorella agorafobica a cui badare e voci infondate sul proprio conto che determinano l’esclusione sociale a scuola? Se lo sarà chiesto anche Sakuta Azusagawa, il protagonista della storia: la risposta? Con una bella dose di fantascienza, fenomeni paranormali e un pizzico di fisica. L’anime divide gli episodi in “blocchi”, ognuno che affronta e approfondisce personaggi e situazioni diversi, e così farò anche io, per recensire ogni scampolo di dettaglio al meglio.

Sakurajima Mai è una giovane studentessa, famosa per essere entrata nel mondo dello show-business in tenera età, prima di interrompere bruscamente la sua carriera nonostante il grande successo; proprio a causa degli impegni professionali non dispone di una rete sociale ed è ignorata dai compagni di scuola - troppo intimoriti dal suo status per avvicinarvisi. Come se non bastasse, Mai in determinati giorni della settimana diventa invisibile, e per testare la gravità della situazione arriva a vestirsi e girare per la città da coniglietta, pur di attirare l’attenzione. Sakuta è l’unico che riesce a vederla, e insieme indagano sull’accaduto, ma già dalle prime battute ci viene offerto il piatto migliore dell’anime: l’alchimia tra i due è semplicemente perfetta, anche grazie alla personalità di entrambi; Mai ha infatti un forte senso dell’umorismo e accompagna le schiette battute (non solo libidinose) di Sakuta in maniera magistrale, creando dei momenti comici esilaranti conditi da botte e risposta incredibili. Tutt’e due, infatti, hanno affrontato la solitudine indossando una maschera d’ironia e pungente sarcasmo - emblematico il momento comedy, ma neanche tanto, in cui Sakuta sostiene di avere “addirittura due amici” e che “sono più che abbastanza, basta esserci amico per sempre” - e si inizia a intravedere in modo piuttosto lapalissiano il feeling tra i due, a tal punto che la loro relazione progredisce velocemente.
Il tutto diventa estremamente inquietante e spaventoso quando la manager nonché madre di Mai non solo non è più in grado di vedere sua figlia, ma non ricorda neanche la sua esistenza: pian piano il mondo sta cancellando Sakurajima Mai dalla realtà. Sakuta prende a cuore il suo malessere e decide di aiutarla - non solo per la bellezza della sua senpai, come a lui piacerebbe far passare pur di fuggire da sé stesso - ma perché sa cosa significa essere soli, non avere nessuno al proprio fianco e sopportare il peso delle sofferenze tutto sulle proprie spalle, a tal punto che decide di fuggire con lei per verificare che il fenomeno non sia circoscritto alla loro città natale. Ed è qui che l’anime manda un messaggio, neppure velato, poiché esternato esplicitamente dal protagonista: le classi di scuola sono posti laddove le fondamenta si sviluppano rapidamente ed è molto difficile cambiarle. “Quando [in classe] sei diverso/a, gli altri parleranno alle tue spalle: diranno che sei fastidioso/a, che sei esibizionista. E a quel punto tutti sanno che non si torna indietro. Questa è la scuola”. Sakuta e Mai sono vittime della stessa situazione, seppur agli antipodi per motivazioni: il primo è isolato per voci che calpestano la sua popolarità, mentre la seconda lo è proprio perché troppo popolare. Entrambi spezzano la normalità delle cose e perciò sono alienati.
I due approfondiscono il loro rapporto appoggiandosi a vicenda, laddove Mai realizza l’infondatezza dei rumor su Sakuta che girano a scuola - e della sua negligenza nei confronti del problema, siccome “combattere l’atmosfera è inutile” - e quest’ultimo scopre il motivo per cui la sua senpai s’è lasciata la propria carriera alle spalle: Mai era infatti rimasta inorridita da una sessione di foto in costume da bagno a cui si è dovuta sottoporre in tenera età - appena alle medie - per ordine della madre, e da allora ha sospeso la sua carriera, pur amando la professione e nutrendo il desiderio di proseguire col suo lavoro nello show-business. Questo evento scioccò Mai a tal punto, da condurla a desiderare di essere invisibile a tutti. Stiamo insomma parlando di una ragazza che da un giorno all’altro si è ritrovata senza carriera professionale e priva di rete sociale, il tutto mentre lentamente svaniva dall’esistenza. È per questo che Sakuta è un partner perfettamente realistico per Mai, perché è esattamente tutto ciò di cui avrebbe bisogno: ovvero una persona che, senza peli sulla lingua, la spinga a inseguire la Volontà di portare avanti la propria carriera e di gestire i suoi booking in maniera diversa; non solo, Sakuta è l’unico ad avvicinarsi a lei nonostante sappia quanto celebre essa sia, anzi tiene testa alla sua personalità mettendo più volte in difficoltà la sua maschera da ragazza “ormai adulta”. Ciò che avvicina terribilmente i due e che è stato allo stesso modo terribilmente sottovalutato da molti, è proprio la scena in cui Mai ha il suo breakdown e chiede a Sakuta di non dimenticarsi di lei, che disperatamente sta cercando di non sparire, perché non vuole dissolversi. Questa scena è la conseguenza di quella appena prima, laddove Mai propone a Sakuta di scambiarsi un bacio, ossia l’incipit dell’anime stesso: il ragazzo, cosciente che ciò non sarebbe altro che uno sfogo da parte della ragazza - e forse anche sottovalutando sé stesso -, risponde solo con una battutina: ecco, proprio lì, a mio parere, Mai capisce di potersi fidare di Sakuta e realizza la bontà delle sue azioni. Intendiamoci: Sakuta è assolutamente rapito dalla bellezza e dalla personalità di Mai, ma non userebbe mai certi mezzucci per ottenere un contatto fisico, giacché poco dopo sostiene che “lei non sparirà, così potrà baciare chiunque voglia in qualunque momento”: e questa sì che è una grande dimostrazione d’amore. Insomma, Mai lascia cadere la propria maschera di ferro con Sakuta conseguentemente alla reazione del ragazzo alla sua proposta, e non viceversa.
Il sentimento profondo che il nostro protagonista inizia a sviluppare nei confronti della sua senpai è simboleggiato allorquando Sakuta resta l’unico sulla faccia della Terra a ricordare Mai, scoprendo che dormire lo ricongiungerà “all’atmosfera” - eradicando la sua esistenza -, tanto d’assumere farmaci stimolanti pur di restare sveglio, persino durante la sessione d’esame. Mai è consapevole degli sforzi di Sakuta e lo trae in trappola con dei sonniferi: prima che possa assopirsi, la ragazza lo ringrazia per tutto ciò che ha fatto per lei, in una scena nostalgicamente candida; e nonostante il nostro protagonista dimentichi effettivamente l’esistenza di Mai al risveglio, non passa molto tempo prima che se ne ricordi: basta infatti la vista di un kanji studiato assieme la sera prima a far scattare un mare di ricordi e di lacrime che squarciano il viso di Sakuta. Ed è qui che l’anime ci propone forse la scena emotivamente più potente di tutte: scappato di corsa dalla classe per combattere l’atmosfera e costringere il mondo a riconoscere l’esistenza della sua senpai, Sakuta urla a squarciagola di essere innamorato di Mai proprio di fronte all’edificio scolastico.
Ripetutamente.
Ancora, ancora e ancora. Proprio lui, che non avrebbe mai combattuto contro “l’atmosfera, poiché inutile”, adesso è disposto a mettere sul piatto la propria dignità per la ragazza che ama, in una scena dall’altissimo impatto emotivo (e imbarazzo per procura, o secondhand embarrassment che dir si voglia) grazie all’empatia che, almeno personalmente, mi si è plasmata nel corso di tre episodi con il nostro protagonista. Una dichiarazione strillata esaurendo fiato e voce, senza risparmiare dettagli imbarazzanti (“Voglio stringerti la mano in spiaggia”, “Voglio vederti ancora una volta vestita da coniglietta”, “Voglio stringerti forte”, “Voglio baciarti”), che mi ha davvero colpito nel profondo, poiché è insolito che in un anime di vita quotidiana vi sia una forza emotiva che riesca a coinvolgermi talmente. Mai riappare proprio dietro a Sakuta e, già che c’eravamo, ben pensa anche lei di urlare a squarciagola che tutte le dicerie sul ragazzo sono infondate. In una società sempre più globalizzata - e quando parliamo di quella asiatica, sottolineiamo anche la natura collettivistica che schiaccia quella individualistica - il messaggio lanciato dall’anime è di fondamentale importanza: non importa ciò che la massa pensa, importa ciò che ognuno di noi vuole; saper pensare con la propria testa e compiere scelte in base alle nostre valutazioni su qualsivoglia fattispecie sono caratteristiche imprescindibili per il benessere della nostra identità - un argomento che l’anime continuerà a trattare nei prossimi blocchi. Il cerchio tra Sakuta e Mai così si chiude: entrambi sono riusciti ad aiutare l’altro a superare le proprie difficoltà scolastiche e/o “atmosferiche”, ma per il loro rapporto sentimentale c’è ancora una storia tutta da scrivere. Nota a margine: a posteriori, questo anime si sarebbe anche potuto concludere così, siccome sarebbe stato semplicemente il finale perfetto per una storia incredibilmente accattivante, narrata tramite dei dialoghi pazzeschi che spaziano tra il profondo e l’umoristico nel modo più naturale che abbia mai visto, raggiungendo picchi di qualità impressionanti - e che ovviamente non sono e non saranno replicabili se non unicamente nelle future interazioni tra Mai e Sakuta. Invito quantomeno tutti a guardare questa porzione di opera, poiché è palese la volontà di proporre qualcosa di diverso da parte dell’autore, tramite scene intense e ricche di momenti che si stampano prepotentemente nella memoria, ma soprattutto riguardo la ragazza di turno: sono molti gli eventi che sarebbero potuti diventare i soliti “misunderstanding” da risolvere, ma che grazie alla straordinaria personalità assertiva di Mai e la compostezza di Sakuta si sono rivelati null’altro che piacevoli momenti comedy.

Per quanto concerne il secondo blocco, via il dente, via il dolore, e non pensiamoci più: ho fermato la visione dell’anime - che stavo guardando in contemporanea alla trasmissione nipponica - la prima volta in cui ho guardato il quarto episodio. Non ho apprezzato la scelta di mettere in mezzo una terza ragazza, ma - c’è un grandissimo ma - alla fine mi sono dovuto ricredere, e devo ammettere che la qualità generale della serie resta alta, poiché l’anime ci propone un’intrigante sfida tra filosofie di vita. Spieghiamoci meglio.
Tomoe Koga è una ragazza che vive la propria vita scolastica e sociale cercando disperatamente di trovare il proprio posto in società, rientrando in gruppi o facendo parte di una folta schiera di persone; valuta il pensiero altrui nei propri confronti più di ogni altra cosa e il suo scopo è “farsi piacere da tutti o quantomeno non farsi odiare da nessuno”, tanto da restare sveglia fino a tardi soltanto per partecipare a chat di gruppo da cui ha paura d’essere alienata e raccontare false storie sulla propria vita per essere al passo cogli altri. Ciò che collega Koga al nostro protagonista è la sua capacità di “rilanciare i dadi” e rivivere un medesimo giorno tutte le volte che desidera, senza che gli altri se ne rendano conto - a parte Sakuta, ovviamente - finché il risultato finale non l’aggrada. Koga cerca di evitare la dichiarazione e l’invito a uscire di un suo compagno di scuola, poiché impossibilitata ad accettare, essendo lui la fiamma di una sua amica, ma terrorizzata dall’idea che un rifiuto possa spargere voci malfamanti sul suo conto. Dopo una serie di peripezie, Sakuta decide di collaborare con Koga per non ripetere perpetuamente lo stesso giorno, e i due iniziano una relazione fittizia al fine di “giustificare” il suo rifiuto, programmando persino quando racconteranno ai rispettivi compagni della loro “rottura”. Qui ci tengo a sottolineare la gestione narrativa della coppia Sakuta-Mai, con quest’ultima che evita sceneggiate di qualsivoglia tipo e si confronta con il nostro protagonista tramite il suo solito pragmatismo. Intendiamoci: non sto asserendo che Mai dovrebbe non essere gelosa - queste sono conclusioni e opinioni personali -, sottolineo soltanto come pagliacciate in pieno stile anime sarebbero state facilmente pronosticabili, e invece la questione è stata gestita rispettando in pieno la personalità della ragazza - e questo è uno dei punti che mi ha spinto a scrivere, all’inizio della recensione, quanto ho apprezzato l’identità ben definita di cui ognuna delle donne dell’anime dispone.
In seguito, Koga rivela a Sakuta d’essere in conflitto con sé stessa, ammettendo quanto sia diversa rispetto alla sé delle medie - tra trucco, acconciature e vestiti -, lasciando intendere un certo malessere nei propri confronti; allo stesso tempo, riconosce di apprezzare la sé che ha plasmato negli ultimi anni e di essere soddisfatta dai risultati ottenuti. Koga si chiede, quindi, se non sia altro che un artificio di sé stessa, e qui l’anime ci regala un inaspettato insegnamento attraverso la risposta di Sakuta: se lei è felice di ciò che è, il problema non si pone; Koga ha impiegato tempo per diventare ciò che lei stessa ha voluto essere, in una visione empiristica che pone l’impegno e la dedizione - anche nei confronti del proprio io - sopra qualsiasi forma di innatismo. Noi siamo ciò che siamo soprattutto per quello che abbiamo desiderato diventare, attraverso i nostri sforzi e le nostre esperienze e non soltanto per come siamo istintivamente. Sarebbe stato facile giudicare negativamente Koga per i suoi complessi e difficoltà sociali, ma se la ragazza è felice di ciò che è, c’è davvero qualcuno che può giudicarla? Ai lettori l’ardua sentenza.
Ovviamente, la differenza di valori e vedute sono troppo grandi, e i due arrivano a uno scontro filosofico: Koga trova incomprensibile e irritante - forse anche a mo’ di invidia - l’impassibilità di Sakuta nei confronti delle opinioni altrui, mentre quest’ultimo non concepisce il profilo comportamentale di Koga volto a vivere per piacere e andare a genio agli altri: “Non vivo per farmi amare da tutta l’umanità”, sostiene. In questo frangente vi è anche la citazione (inspiegabilmente, perché ce ne sono altre più valide) più famosa dell’anime, ovvero quella in cui Sakuta rivela che non gli importerebbe d’essere odiato dal mondo intero se anche avesse una sola persona, “se c’è lei, potrei continuare a vivere”. La svolta si ha quando il ragazzo che si era dichiarato a Koga inizia a far girare false voci su di lei, a cui seguirà una vera e propria zuffa con Sakuta, che tramite un gioco d’astuzia riesce a buttare giù l’omaccione più grande di lui - insomma, la perfetta realizzazione di Davide contro Golia, spesso abusatissimo e male interpretato, per fortuna non questo il caso. Da lì Koga comprende quanto sia importante sentirsi amati, protetti, e che forse il discorso che faceva Sakuta sul non dare importanza agli altri non era tanto campato in aria.
A questo punto della storia, però, ormai è chiaro: Koga inizia a provare qualcosa in più per Sakuta. L’ultimo “appuntamento” è previsto in spiaggia, laddove la loro storia fittizia terminerà. Neanche a dirlo, Sakuta ripete quel giorno tre volte, e alla quarta è costretto a intervenire; qui il suo personaggio mi è piaciuto molto: avendo ormai realizzato che Koga sta rilanciando i dadi perché innamorata di lui, Sakuta tenta innanzitutto di dissuadere la ragazza con le buone - emblematica la scena in cui scrive i loro nomi su delle cartoline d’amore d’un tempio shintoista e, quando Koga l’avverte che “mentire agli Dèi è peccaminoso”, risponde con “tanto sono l’unico che sta mentendo” -, passando poi per le cattive, asserendo apertamente che non importa quante volte rilancerà i dadi, i suoi sentimenti non cambieranno. Ho apprezzato Sakuta perché ha saputo essere crudele nel modo giusto e nel momento giusto (“So cogliere gli indizi, ma scelgo di non farlo”), forzando la confessione di Koga: la ragazza ripete lo stesso giorno, giacché non accetta i suoi sentimenti, in quanto, nonostante voglia andare avanti ed essere amica di Sakuta, non riesce a sopportare il peso che porta nel cuore che, a detta sua, diventa sempre più forte. A quel punto Sakuta diventa più comprensivo e invita Koga a non trattenersi, risultando nel breakdown della stessa, in una scena molto energica e ben realizzata, laddove Koga dichiara i suoi sentimenti, entrando in catarsi, ovvero un pianto intenso e purificatorio, liberandosi di un macigno. Alla fine, si ritorna nella linea temporale in cui Koga non ha ancora ricevuto la dichiarazione da parte del suo compagno di scuola e, questa volta, lo rifiuta apertamente, accettando il rischio di essere isolata dalle sue amiche e preferendo inserirsi in contesti sociali dove poter essere ed esprimere la vera sé. Se non è un insegnamento di valore questo...

Il terzo blocco è certamente uno di quelli che mi ha coinvolto di più, e il perché è presto detto: sono piuttosto certo che la fortissima critica sociale espressa durante l’intero mini-arco sia stata ignorata dai più - sarei lietissimo di essere smentito, ma non ho ancora letto nulla al riguardo.
Rio Futaba è una degli addirittura due amici di Sakuta, nonché la persona a cui si rivolge ogniqualvolta è in difficoltà, soprattutto per quanto concerne gli strani fenomeni paranormali che lo coinvolgono: Futaba è infatti una fiera appassionata di fisica e scienze in generale - tanto da gestirvi il club della scuola - e riesce sempre a elaborare teorie accurate, arrivando in soccorso del nostro protagonista (tanto abbiamo capito che negli anime la citazione al gatto di Schrödinger è immancabile tanto quanto la battuta pervertita di Sakuta); inoltre, è infatuata dell’altro addirittura amico di Sakuta, ovvero Kuunimi. Di personalità schiva e riservata, tende a essere di poche parole, ma, al contrario di molte altre ragazze delle produzioni giapponesi, non esaspera la sua propensione raziocinante e scientifica, valorizzando altresì la forza dei sentimenti, dell’ignoto e tutto ciò che la scienza tutt’oggi non riesce spiegare ogniqualvolta postula una teoria. I fatti prendono una piega paranormale quando Sakuta scopre l’esistenza di una seconda Futaba: quest’ultima indossa lenti a contatto anziché il tipico paio d’occhiali della Futaba originale e i capelli legati, assumendo un portamento maggiormente lascivo; a rendere il tutto ancora più inquietante è un account laddove sono postati concupiscenti selfie della stessa. Le sorprese non sono finite qui: l’account è stato aperto durante l’estate, quando la seconda Futaba non era ancora apparsa. Veniamo a scoprire che fu creato dalla vera Futaba e l’intreccio psicologico che lega gli eventi è tanto comune quanto ignorato dalla società dei giorni nostri: a causa del suo aspetto formoso, Futaba ha iniziato a odiare sé stessa per essere l’oggetto dei desideri di “ragazzi-scimmia” già dalle medie, ma ha al contempo utilizzato il suo corpo come strumento per ricevere attenzioni: come dichiarato dalla stessa, infatti, Futaba crede di non avere null’altro. Odia sé stessa e pensa che il suo fisico sia l’unica cosa che possa procurare delle reazioni e liberarla dalla solitudine; ovviamente, la ragazza ripugna questo mezzo e - in un ciclico uroboro di disperazione - finisce per disgustarsi e odiarsi ancor di più, “dividendosi” nella Futaba “in cerca di attenzioni” e la Futaba “che non accetta il mezzo”. Tuttavia non tutte le foto sono pubblicate, e Futaba precisa come talvolta certi scatti non siano altro che una forma di autolesionismo. Questa critica sociale è fortissima nonché attuale: la strumentalizzazione della donna unicamente come puro desiderio erotico sia da parte della società che da parte delle donne stesse come (pessimo) mezzo di approvazione sociale è un argomento estremamente delicato e che il periodo storico non permette di affrontare senza una disdicevole dissertazione sui social da parte di chi affronta la battaglia femminista, per cui ammiro il coraggio dell’autore: ancora una volta, torna il tema dell’individualità e dell’importanza di non cercare il benestare altrui.
Ciò che mi è davvero piaciuto di tutta questa storia è che l’autore ha rivelato la fonte originaria del malessere di Futaba - che è poi sfociato nel che di cui sopra: la solitudine, o meglio l’idea di ritornare a essere sola. Alle medie n’era abituata, ma dalle superiori, dopo aver fatto la conoscenza di Kuunimi e Sakuta, la sua bassa autostima l’ha portata irrimediabilmente a credere che questi un giorno l’avrebbero abbandonata, lasciandola nuovamente preda della solitudine. Questa convinzione si è tramutata in un’ossessione in seguito alla scoperta che entrambi avevano trovato una ragazza e che da lì in poi lei sarebbe stata ignorata. Futaba, insomma, vive a stretto contatto con quello che Fairbairn definì il sabotatore interno; non solo, quando si sono susseguite queste scene, mi sono sentito veramente realizzato: avete presente tutte le volte in cui nelle opere di fantasia, qualsiasi esse siano (film, serie TV, fumetti, libri, videogiochi, spettacoli teatrali), vi è un personaggio che supera un proprio dramma interiore? Ecco, puntualmente quel dramma sparisce di colpo dopo una serie di peripezie, come se la mente umana funzionasse così. Finora, soltanto in “Naruto” avevo assistito a una gestione talmente eccellente di un trauma emotivo: il protagonista, Naruto, nonostante trovi degli amici nel corso della sua vita, vive sempre con lo spettro della solitudine nel cuore, quella stessa solitudine che gli ha spezzato la fanciullezza e l’innocenza. Perché è così che funziona. Noi umani superiamo le nostre difficoltà grazie a sudore e lacrime, tramite dedizione e costanza, ma siamo fragili e c’è sempre una parte di noi che ce lo ricorda. La sofferenza intrinseca imposta dalla solitudine non si dimentica mai - neanche quando si trovano dei grandi amici - e Futaba ha rappresentato questo concetto alla perfezione. Alla fine, la ragazza riesce a raggiungere la propria pace interiore quando Kuunimi e Sakuta le dimostrano che la loro amicizia è reale e che non si spegnerà.

Il quarto e penultimo blocco figura, finalmente, il ritorno di Mai come deuteragonista, stavolta insieme alla sorellastra - figlia dello stesso padre ma di diversa madre -, una idol emergente di nome Toyohama Nodoka. La mancanza di Mai, che nel secondo e terzo blocco appare ma solo sporadicamente, si era fatta sentire fin troppo e - nonostante la qualità della serie sia sempre rimasta su livelli medio-alti - questo suo ritorno in primo piano è stata una boccata d’aria fresca, ma ci arriveremo.
Il fenomeno fantascientifico da affrontare, questa volta, è uno scambio di corpi. La coscienza di Nodoka è ora nel corpo di Mai (e viceversa) e sin dall’inizio la questione sembra essere piuttosto chiara: nonostante sia cresciuta orgogliosa di Mai e ispirandovisi, Nodoka ha sempre vissuto all’ombra della sorellastra, subendo una disturbante pressione da parte di sua madre che l’ha utilizzata come arma nella guerra psicologica tra lei e l’ex compagna del marito, ovvero la madre di Mai, in una lotta a suon di risultati nello show-business delle rispettive figlie. Benché Mai gli riveli poco o nulla della relazione che lega le due sorellastre, per Sakuta non è difficile comprendere la tormentata situazione famigliare di Nodoka e il suo comportamento ambiguo nei confronti di Mai, con cui sembra forzarsi per rivolgervisi in modo formale, spingendola ad ammettere onestamente di odiarla e a confidarglielo direttamente: ne scaturisce un alterco in cui Mai le svela che l’astio è reciproco. Le due sono comunque costrette ad accettare la situazione e, a causa degli impegni professionali d’entrambe, decidono di vivere la vita dell’altra finché non riusciranno a trovare una soluzione. Nel frattempo, Sakuta è in mezzo a due fuochi e deve fare da intermediario tra le due sorellastre; come se non bastasse, questa è una delle rare circostanze laddove l’assertività di Mai viene messa in difficoltà dalla sua sfera emotiva, ed è qui che, nuovamente, entra in gioco il ruolo di Sakuta che, non essendosi mai ritrovato nella situazione, indaga - servendosi di Kuunimi - su ciò che si prova quando si ha un parente con il quale si è sempre paragonati e in competizione; l’anime non si fa scrupoli a lanciare, anche qui, un messaggio pro-individualismo: da tali situazioni nasce un rapporto che non può essere definito né di odio né d’amore tra le persone coinvolte - esattamente come nel caso di Mai e Nodoka - ma un terribile dualismo competitivo in cui i soggetti si comparano non solo a sé stessi ma agli altri, a causa dei continui paragoni altrui, non riuscendo a trovare una propria via che li renda totalmente figli delle loro scelte e finendo per trovare la loro unica ragione di vita nel soddisfare quelle stesse persone che le paragonano - nel caso di Nodoka, la sua costante preoccupazione è rendere fiera sua madre.
Le cose si mettono male quando Nodoka, intenta a registrare uno spot pubblicitario sotto le mentite spoglie di Mai, è vittima di un attacco di panico; Mai, nel frattempo, è impegnata tutti i giorni per lavorare contemporaneamente sia agli impegni con il gruppo idol di Nodaka sia ad allenarsi per colmare le sue lacune nel campo della danza e del canto. La svolta si ha quando Mai, nei panni di Nodoka, ottiene un gran successo al concerto del suo idol group, ricevendo le lodi della madre: questa scena destabilizza sensibilmente Nodoka - che intanto aveva assistito al tutto -, siccome mai aveva visto sua madre sorriderle in tal modo, tanto da spingerla a tentare il suicidio poco dopo: è Sakuta a fermarla, mostrandole quanto sua sorella in realtà tenga a lei tramite una raccolta di lettere scritte da Nodoka a Mai in tenera età che quest’ultima ha gelosamente custodito.
Vi è in seguito un acceso chiarimento tra le due sorelle, in cui Mai racconta delle sue avversità nel mondo dello show-business e quanto sia stata importante la presenza di Nodoka nella sua vita per darle manforte; la mente di quest’ultima è però ancora offuscata e a pezzi per il successo della sorella nei suoi stessi panni, nonché della reazione che Mai ha ricevuto dalla madre, ma è qui che “Aobuta” mi sorprende per l’ennesima volta: la risposta di Mai è semplicemente: “Mi sono allenata”. Mai è riuscita a impersonare Nodoka perché si è impegnata, perché si è allenata, perché ha lavorato ogni singolo giorno per migliorare le sue abilità nella danza e nel canto, mentre Nodoka sottovalutava l’estenuante pressione derivata dalle aspettative che la gente ripone nella figura di Mai, dando per scontato che “essere” sua sorella fosse semplice. Questa è l’ennesima dimostrazione della viscerale filosofia empirista dell’anime, laddove l’accezione del talento innato è rigettata per una forte sensibilizzazione del concetto “il duro lavoro paga”, ripudiando l’idea che il successo si possa ottenere tramite chissà quale dono sceso dal cielo. Nodoka ha imparato tale lezione sulla sua pelle, vivendo nei panni della sua amata e odiata sorella, cosciente che un tempo era stata spinta a desiderare di essere non come, ma proprio lei - soltanto per ricevere le lodi di una madre che ha sempre inseguito e da cui è stata solo criticata - e che ora, invece, può essere totalmente sé stessa. È qui che scatta l’interruttore di Nodoka: poter essere sé stessa e non dover assomigliare a Mai è tutto ciò che ha sempre voluto sentirsi dire, non a caso anche lei cade in una profonda catarsi liberatoria, ed è proprio a quel punto che le due coscienze ritornano rispettivamente nei propri corpi. Un fortissimo messaggio volto alla valorizzazione e salvaguardia della propria unicità in quanto persone, un concetto che nelle società asiatiche è pericolosamente sottovalutato. In questo arco la rinnovata massiccia presenza di Mai ha assicurato intrattenimento allo stato puro: sia nelle interazioni con Sakuta che nel suo ruolo di co-protagonista abbiamo potuto riammirare un personaggio fantastico, decostruito alla perfezione dall’autore in questo blocco tramite una splendida caratterizzazione riguardo la sua professionalità e dedizione alle cause - tutti elementi che si sposano divinamente con la personalità di Mai.

Nel quinto e ultimo arco della serie TV si approfondisce il personaggio di Kaede, la sorella di Sakuta: sin dal primo episodio tutti sapevamo che questo momento sarebbe giunto, ma credo che nessuno o quasi - nemmeno io - si aspettasse i risvolti a cui abbiamo assistito. Andiamo con ordine. Kaede è raffigurata come la classica imouto, ossia dall’aspetto kawaii e con il complesso del fratello maggiore, ma l’autore si assicura di adornarla con un tragico background già all’inizio: Kaede fu psicologicamente bullizzata a scuola, e, nonostante non vi fossero stati episodi di violenza, per qualche assurdo motivo tagli e vistosi lividi iniziarono a comparire sul suo corpo, tanto da costringerla a lasciare la scuola e allontanarsi da Internet e il mondo dei social, sviluppando una fobia per i telefoni; a peggiorare la situazione fu la reazione di sua madre, che divenne psicologicamente instabile, costringendo Kaede e Sakuta a vivere da soli. Anche quest’ultimo fu colpito indelebilmente dalle circostanze, risvegliandosi da un giorno all’altro con tre profonde cicatrici sanguinolente sul petto - sì, è da qui che nascono i falsi rumor scolastici sul ragazzo - e buttando via il suo smartphone per tenere sua sorella al sicuro. Da allora, Kaede passa tutto il giorno in casa, non va a scuola e non ha progetti per il futuro. Spronata dagli eventi che si sono susseguiti nei precedenti blocchi, la ragazza stila una lista di obiettivi a breve termine, tra i quali quello di uscire di casa, rispondere al telefono e tornare a scuola. Sfido chiunque a non essersi emozionato nella scena in cui varca la soglia di casa per la prima volta: la serie riesce a catturare, tramite una gestione del pacing perfetta e degli ottimi dialoghi, il momento estremamente emotivo e intenso che sta attraversando non solo Kaede ma anche Sakuta, il che la rende una delle migliori scene di tutto l’anime. A tal proposito, durante quest’arco è svolto un lavoro pazzesco con Sakuta, e il tutto è denotato dalle sue espressioni visive, che sono totalmente diverse rispetto a quelle tipicamente spente a cui siamo abituati. Il suo rapporto con la sorella, ovviamente, è diverso se confrontato con quello che lo lega a tutti gli altri: Sakuta è molto più gentile, ragguardevole e positivo quando si tratta della sorella, ed è sicuramente la persona che incoraggia più di tutte. È durante tutta questa serie di miglioramenti che veniamo a scoprire l’amarissima verità: Kaede perse la memoria durante l’incidente di anni fa, e da allora ha sviluppato una personalità totalmente diversa, ma l’unico ad accorgersene per davvero è Sakuta: tutti gli altri hanno infatti continuato a trattare Kaede allo stesso modo, innestando un malessere nella ragazza che si ritiene, ed è, una persona completamente diversa, a partire dai gusti fino a giungere alle abitudini. Sakuta, dopo un forte periodo di stress, è stato l’unico che esplicitamente ne ha riconosciuto l’esistenza, come persona propria e non come “Kaede” (per l’ennesima volta torna il discorso dell’individuo), simboleggiando il tutto scrivendo sul suo diario il nome in hiragana anziché con i tipici kanji. Anche qui viene svolto un lavoro magistrale - questa volta però stranamente implicito - sull’intensità emotiva della scena in cui Kaede si vede riconoscere per la prima volta come sé stessa e non una proiezione di ciò che si aspettano gli altri. Questo forse è l’unico vero scampolo di filosofia pura presente nella serie: che cosa fa di “noi” noi, se non i ricordi e le esperienze che abbiamo vissuto e tutto quello che abbiamo provato? Cosa plasma la nostra identità, i nostri gusti, le nostre paure, i nostri modi e comportamenti, un’anima o un ricordo? Cosa siamo davvero? Come al solito, tutte le risposte devono giungere dal lettore, siccome non ne esiste una universale.
Il tutto diviene estremamente disturbante quando i dottori dichiarano che Kaede potrebbe presto recuperare i suoi ricordi, cancellando al contempo la sua attuale personalità e memorie; quello che poteva essere un lontano timore diventa realtà nel giro di poco tempo, quando Kaede si risveglia ripartendo dai ricordi precedenti all’incidente e all’amnesia, risultando nel breakdown di Sakuta, seguito da uno struggente pianto che è stato avvilente da guardare: non saprei neanche da dove cominciare per descrivere quanto sia stato ambigua e al contempo potente la scena del suo sfogo. Un personaggio che abbiamo imparato a conoscere forte, cinico, razionale, “dagli occhi spenti”, tanto menefreghista da risultare insensibile a qualsiasi cosa, ma che ora, inesorabilmente, precipita schiacciato sotto il peso della vita. A tal proposito ho sentito tante critiche piuttosto assurde, soprattutto riguardo a quelle che avrebbero voluto un Sakuta felice per la sorella che finalmente ha recuperato la memoria: addirittura alcuni hanno osato asserire che Sakuta preferiva una sorellina col complesso del fratello anziché la più scontrosa e indipendente Kaede. Quante assurdità.
Sakuta chiarisce a Mai sin dal primo momento quanto sia felice per Kaede, ma lo logora dentro il solo pensiero di dover dire addio alla sorella con cui ha speso due anni di ricordi, con cui ha formato un profondo legame. Dover ricominciare daccapo per l’ennesima volta dev’essere devastante; soprattutto, Kaede è stata il suo unico contatto umano e supporto psicologico negli ultimi anni, dopo essere stato costretto a diventare genitore di sé stesso e della sorella in assenza dei propri genitori, e si può soltanto immaginare, solo immaginare quanto possa lacerare il pensiero che tutto ciò che hai vissuto e hai condiviso con una persona non esista più, se non nei tuoi ricordi. Scelgo la parola “lacerare” non a caso, perché sono proprio le tre cicatrici sul petto di Sakuta a riaccendersi e sanguinare copiosamente in un’emblematica e azzeccatissima rappresentazione della sofferenza provata dal nostro protagonista. Insomma, per chi è riuscito a empatizzare con Sakuta e la sua personalità, queste scene sono davvero forti, realizzate divinamente soprattutto quando si focalizzano sulle espressioni del ragazzo che, se normalmente risultano spente, ora sono ricoperte di nero e angoscia. Dopo una mini-serie di eventi - tra cui un’incomprensione prontamente risolta con Mai -, Sakuta riesce a raccogliersi e l’anime termina letteralmente così. Ci è dato sapere tramite le scene post-credits che il suo rapporto con la sorella - che nel frattempo ha recuperato il contenuto del diario dell’altra Kaede - si è comunque impreziosito ed è tutto rimandato. Chi è arrivato fin qui l’avrà notato, ma Makinohara Shoko non ha ricevuto da parte mia menzione alcuna, e sarò franco: in questa recensione non parlerò di lei, in quanto il suo apporto agli eventi della serie TV è stato risicato ed è servito come teaser del film che uscirà nel corso del 2019: se ne riparlerà, dunque, nella mia recensione della pellicola... se la farò.

Piuttosto, Sakuta non ha ricevuto un vero e proprio approfondimento da parte mia, ma, siccome lo merita in pieno, iniziamo polemizzando un po’ sulle varie critiche al suo personaggio.
Sakuta è spesso criticato pesantemente per essere un irrispettoso pervertito cronico, ma ciò che sfugge è che ciò non è altro che la sua forma di difesa, e assolutamente non rispecchia le sue reali intenzioni - e di questo ne parleremo tra poco, quando approfondiremo la relazione tra Sakuta e Mai; il ragazzo, infatti, usa un pungente umorismo talvolta a sfondo erotico per mettere gli altri sulla difensiva ed evadere dal suo disagio sociale: fateci caso, la stragrande maggioranza delle volte (senza considerare Mai, che è un caso a parte, e ci arriveremo) in cui Sakuta tira fuori una freddura erotica è in risposta o a una critica o a una domanda scomoda o a una situazione che lo mette a disagio - e non sto neanche a citare gli innumerevoli esempi che mi girano per la testa. La sua effettiva (non)relazione con l’erotismo è messa in discussione quando ci si rende conto che in realtà Sakuta è terribilmente spaventato del contatto fisico con Mai, e lo evita, nonostante lei, a un certo punto anche esplicitamente, gli faccia intendere che non le dispiacerebbe se il suo ragazzo si avvicinasse a lei “al momento giusto e nel modo giusto”. Questo mio pensiero è stato comprovato dal mini-drama venduto in allegato al primo BD della serie, in cui Sakuta inventa una scusa per scappare da una Mai insolitamente affettuosa. Benché sia il suo partner, è palese quanto dentro di lui vi sia un conflitto e non sappia come comportarsi: abituato a essere solo e non sapendo come chiedere aiuto alla sua ragazza, sono state innumerevoli le volte in cui Sakuta ha pensato di telefonare Mai, per poi rinunciare al proposito: queste scene, che si accumulano di episodio in episodio, sembrando insensate e quasi casuali, una volta sommate restituiscono un’immagine chiara di quanto sia difficile per Sakuta affrancarsi dalla solitudine. Anche quando vi è stata l’unica vera incomprensione tra i due in tutta la serie, Sakuta ha pensato per tutto il giorno a come scusarsi, ma è arrivato a fine giornata rimandando il tutto al giorno dopo: superficialmente si potrebbe pensare che non gliene importasse nulla, ma la realtà è che Sakuta teme il contatto diretto con Mai e/o la possibilità di un alterco, ed è stato per lui un sollievo quando fu lei stessa a presentarsi a casa sua. Egli è addirittura propenso, nonostante un’ovvia riluttanza iniziale, a interrompere gli incontri privati con Mai per il bene della sua carriera professionale, perché è semplicemente il tipo di persona che è: non oserebbe mai essere un ostacolo per gli altri e, forse, non si considera neanche “degno” di poterlo essere, soprattutto non per Mai.
Una domanda sorge spontanea: Sakuta è sempre stato così? Probabilmente no. Il suo cambiamento è evidente laddove lo si compara ai flashback in cui era un ragazzo delle medie (a tal proposito, molto interessante che nell’ambientazione dei flashback vi sia lui seduto a terra mentre gioca ai videogiochi, se si considera che nella sua attuale stanza non vi è l’ombra di console né di TV, in una sorta di simbolismo che rappresenta la sua forzata e precoce maturazione che gli ha impedito di vivere l’adolescenza), estremamente spaventato da ciò che stava attraversando la sorella e lasciato solo da genitori che non sono riusciti a stargli vicino; non solo, ha anche dovuto contemporaneamente sopportare delle false voci sul suo conto che ne hanno sancito l’alienazione sociale a scuola. Da quel momento in poi Sakuta ha affrontato la vita portandosi delle cicatrici profonde che non hanno colpito soltanto il suo petto, ma anche il suo animo, e da lì ha assunto un atteggiamento disilluso nei confronti della vita, assumendosi la struggente responsabilità di crescere una persona che per lui sarebbe dovuta essere sua sorella, ma ormai completamente diversa da quella che conosceva. La sua disillusione è tale, da rassegnarsi a una vita da pregiudicato, come conferma la sua negligenza nei confronti delle voci che girano a scuola, nonché la poca attitudine alla vita sociale, sentendosi altresì estremamente a suo agio avendo “addirittura due amici”: il suo distacco nei confronti della vita lo porta ad assumere un atteggiamento svogliato e menefreghista, che si evince in ogni attività che svolge: questa sua disconnessione dalla realtà sociale è, a mio parere, ironicamente simboleggiata dall’autore quando Sakuta rivela di non avere uno smartphone, che per un ragazzo della sua età nella nostra epoca sembra in tutto e per tutto una follia; tuttavia, egli si assicura di restare uno studente medio, di andare a lavoro e occuparsi della sorella, come se in qualche modo cercasse comunque di aggrapparsi disperatamente alla vita. È da questa esperienza che Sakuta sviluppa la sua potente empatia, ed è grazie a questa stessa empatia che riesce a percepire il dolore altrui - come nel caso di Koga - oppure a intuire la situazione famigliare e il rapporto conflittuale tra Nodaka e Mai senza che nessuno gliene abbia parlato, ma soprattutto è il motivo principale per cui resta invischiato nei drammi paranormali della serie e la ragione per la quale aiuta Mai nei primi episodi: lui è stato solo con sua sorella, abbandonato da dei genitori troppo deboli per occuparsi dei loro figli e diventando nonno di sé stesso (questo scenario psicologico è chiamato parental child o parentification). Inoltre, proprio a proposito di quest’ultimi, Sakuta ha sviluppato anche la propria maturità grazie alla sua situazione famigliare: è egli stesso a sostenere come abbia certamente percepito del risentimento nei confronti dei suoi genitori, ma allo stesso tempo li ama e cerca di comprenderli, interessandosi delle condizioni di sua madre e incontrando saltuariamente il padre, asserendo comunque di non portare rancore nei loro confronti. Sakuta è insomma riuscito a maturare abbastanza da non cadere nel gioco delle colpe e a empatizzare anche con coloro i quali hanno disatteso le sue aspettative come figlio. Questa esperienza, tuttavia, non ha plasmato soltanto l’empatia, la maturità e la solitudine di Sakuta, ma anche la sua maschera sarcastica e l’espressione “spenta”. Sakuta è empatico ma al contempo crudele e razionale - per esempio, nei confronti del malessere interiore di Futaba -, dai tratti nichilisti che lo rendono un personaggio assolutamente variegato e complesso. Al contempo, per il bene dei suoi amici è disposto a inzupparsi sotto la pioggia senza pensarci due volte, tanto da finire all’ospedale, e approfondisce gli argomenti su cui sa di non essere ferrato pur di cercare soluzioni ai problemi degli altri, mettendo costantemente in discussione sé stesso e la realtà che lo circonda. Ciò è testimoniato anche dai suoi innumerevoli monologhi interiori che ci raccontano altresì di una persona che - probabilmente grazie alla solitudine e alla sofferenza - è riuscita a sviluppare un forte senso critico, basti pensare al suo monologo iniziale riguardo alle persone che “dicono di essere sempre alla ricerca del cambiamento, ma sono quelle che mantengono più di tutti lo status quo”.
Da alcuni ho addirittura sentito che, per il suo altruismo nei confronti degli altri, sarebbe un Gary Stue. Premessa: definire un personaggio come “Mary Stue” o “Gary Stue” è spesso sinonimo di una mancanza d’argomentazioni, ma affrontiamo comunque la critica: un Gary Stue direbbe a qualcuno che va bene odiarsi, perché tanto non ci si può fare nulla? Un Gary Stue direbbe alla propria amica che non vuole ascoltare i suoi sfoghi su quanto si ritenga una persona inutile perché disinteressato? Un Gary Stue direbbe che vivere positivamente è estenuante? Questo è il tipo di persona che Sakuta è, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Se da un certo punto di vista è un ragazzo gentile e pronto ad aiutare gli altri, dall’altro è un misantropo che rifiuta di combattere “l’atmosfera” e affronta la vita così come viene, nonostante abbia il potere di poterla migliorare - come tutti noi, d’altronde -, invitando persino gli altri a fare lo stesso - come quando consiglia a Nodoka di non essere “avara” e di “accontentarsi di essere una persona mediocre”. Quest’ambiguità è precisata più volte anche nell’anime, laddove sono in tanti a commentare “gli occhi spenti” di Sakuta; ma è, a mio parere, perfettamente raffigurata nella scena in cui Sakuta si precipita da Nodoka, quando ne intuisce le intenzioni suicide, ammettendo francamente che la sta salvando perché, altrimenti, Mai sarebbe triste della sua morte: in una sola scena ammiriamo sia la sua propensione ad aiutare gli altri sia il suo spiccato e crudele cinismo. Che strano questo Gary Stue.
La sua personalità - come già suggerito sopra - diviene molto più positiva, dolce e filantropa soltanto quando è a contatto con Kaede, ma spingo chiunque abbia anche solo un briciolo di umanità in corpo a non comportarsi smielatamente come fa lui nei confronti della sorella dopo ciò che abbiamo scoperto nell’ultimo blocco della serie. Con Kaede dimostra anche una spiccata sensibilità, tanto da commuoversi quando sua sorella varca la porta di casa e, generalmente parlando, sente il dovere di occuparsene a tal punto, da nasconderle le sue paure, il che ci regala un ennesimo dettaglio sulle sfumature di questo personaggio. Non a caso, spero che un giorno sia nella light novel - se è già successo e non ne sono a conoscenza, assicuratevi di farmelo notare - sia nella serie TV ci sarà un arco dedicato proprio a lui e alla sua complessità psicologica.
A scanso di equivoci, facciamo una precisazione: sto asserendo che Sakuta sia un novello Shinji Ikari in quanto caratterizzazione? Certo che no, ma non si deve essere Shinji per essere degli ottimi personaggi: l’autore ha sicuramente creato una personalità realistica ed eterogenea, impossibile da identificare tramite i sintetici epiteti con i quali è spesso stato descritto. Neppure io, in questo momento, sento d’aver colto tutti i tratti della sua personalità, eppure credo di essere stato estremamente logorroico. In sostanza, Sakuta fa davvero bene ad “Aobuta”, agli anime in generale e alla visione dell’opera: la sua compostezza e la sua schiettezza fanno in modo che il tutto fili liscio come l’olio, che non vi siano incomprensioni o perdite di tempo, rendendo la serie in costante movimento e al tempo stesso alternativa.

Prima di concludere la recensione, mi piacerebbe spendere un paragrafo sulla relazione tra Mai e Sakuta.
Come già detto in precedenza, i due hanno una chimica perfetta e sono capaci di portare avanti interazioni lunghissime soltanto con il loro feeling discorsivo (spettacolare ripensare a Sakuta che dice di voler diventare Babbo Natale in futuro e Mai che gli risponde che sa che non ha voglia di lavorare per 364 giorni l’anno): sgusciano in una maniera semplicemente perfetta tra il comico e il serio nel giro di un paio di frasi e lo fanno con una naturalezza impressionante, forse nei dialoghi più realistici che abbia mai visto. È per questi motivi che non si riesce a fare a meno dei loro scambi e li si potrebbe ascoltare per ore nelle più mondane delle discussioni, perché hanno nutrito il loro rapporto con un reciproco supporto, trasmettendo emozioni reali allo spettatore, risultando una coppia vera e viva.
Le loro personalità, essendo del tutto realistiche e non avendo contraddizioni di sorta, non permettono solo interazioni di livello superlativo: in anime di questo genere, è facile nascondersi dietro la storiella del “il mio ragazzo è buono e gentile e io sono contenta”, quando passa del tempo con altre ragazze per aiutarle coi loro problemi sociali e paranormali, ma Mai non si pone scrupoli, arrivando spesso a intervenire in prima persona per dimostrare a Sakuta la sua lecita gelosia; al contempo, il suo raziocinio le permette altresì di cooperarci spesso, pur di mettere d’accordo entrambi - come quando decide di andare a dormire da lui, quando Sakuta è costretto a invitare Futaba a casa sua per la presenza della seconda Futaba. A differenza di quello che può sembrare, anche Mai teme di poter “perdere” Sakuta: durante l’arco di Koga è evidente - arrivando a indossare nuovamente il suo capo da coniglietta per lui - sostenendo che “pensava di concedergli una carota una volta ogni tanto”, implicitamente indicando che il tempo passato con Koga in qualche modo la intimorisse. La loro relazione viene approfondita ulteriormente quando Sakuta si rende conto del tormentato stato d’animo di Mai durante lo scambio di corpo con Nodoka e le rivela schiettamente ciò che lei ammette di non voler ascoltare. Ma, come già detto all’inizio della recensione, Sakuta è proprio ciò di cui Mai ha bisogno: essendo una persona che ha sviluppato tramite la solitudine una cieca fiducia nell'impegno e nella possibilità che l'unica cosa che possa salvarla dal dolore è sé stessa, è difficile per chiunque tenere testa alla sua personalità e farla ragionare quando i suoi conflitti interni superano la sua mentalità assertiva, e Sakuta è perfetto in tal senso; non solo, per Sakuta è semplice lenire le preoccupazioni della sua ragazza, riuscendo sempre a distrarla e tirarla su di morale quando ne ha bisogno. Al contempo, Mai è la manna dal cielo che attendeva Sakuta: abituato a fare tutto da solo, a convivere con voci infondate sul suo conto e disincantato dalla vita, Mai rappresenta per il nostro protagonista la luce in fondo al tunnel. Lo sprona quando la svogliatezza ha il meglio su di lui (emblematica la scena in cui lo convince a proseguire con gli studi accademici e non arrendersi alla sua pigrizia), tiene testa al suo cinismo, al suo umorismo e abbatte i suoi tentativi di difesa attraverso la propria pacatezza e spirito di comprensione, portandolo sempre a confidarsi, evitando che resti confinato nel suo guscio. E ci riesce: lei è davvero l'unica persona con cui Sakuta condivide determinati pensieri e ricordi, restituendogli fiducia nella vita.
Mai ha imparato a fidarsi ciecamente di Sakuta - e sapete benissimo da quando ha iniziato a farlo, a mio parere - a tal punto da essere lei ad andare a casa sua, laddove, a causa di un’incomprensione, temeva un tradimento - e chissà se ha realizzato quanto questo suo comportamento ha rincuorato Sakuta. I due si trovano benissimo anche perché si sostengono a vicenda e sono entrambi estremamente rispettosi dell’altro: se non fosse stato per Sakuta, Mai non sarebbe mai tornata a recitare, e se non fosse stato per Mai, Sakuta non avrebbe mai chiarito le proprie voci sul suo conto a scuola né avrebbe più avuto la possibilità di riconnettersi col mondo; inoltre, se da un lato Sakuta sarebbe disposto a rinunciare agli incontri privati con la sua ragazza, pur di non crearle problemi con la sua professione, dall’altro lato Mai non vuole rinunciare a vederlo né vuole fargli uno sgarbo del genere; anzi, spesso si sente in colpa per tutte le volte in cui non si sono visti a causa dei suoi impegni professionali e s’assicura sempre di non trascurarlo troppo.
Alcuni potrebbero dire che la relazione tra Sakuta e Mai progredisce troppo precocemente e, sì, potrebbe essere vero, ma stiamo parlando di due persone sole che, inaspettatamente, si trovano una meraviglia. Quanto i due stiano bene e si trovino unicamente coll’altro - che giustifica la rapida evoluzione del loro rapporto - è testimoniato anche dalle reazioni sbigottite ai modi di Sakuta che Nodoka, nel corpo di Mai, ha nei confronti delle sue battutine. Sakuta commenta anche esplicitamente come Mai avrebbe risposto a tono alle sue provocazioni, il che porta Nodoka a chiedersi cosa la sorella abbia trovato in uno come lui. La comicità intrinseca di questa scena nasconde in realtà una profonda valorizzazione del rapporto tra Sakuta e Mai e dell’unicum che esso rappresenta: insomma, soltanto Mai potrebbe sopportare in quel modo Sakuta e soltanto Sakuta potrebbe sopportare in quel modo Mai. Dirò di più: il costante umorismo erotico che accompagna le loro interazioni ha distratto troppe persone dalla realtà dei fatti, ovvero che Sakuta e Mai conducono davvero una relazione unicamente sentimentale e (quasi) mai fisica; e aggiungo, sono proprio le loro conversazioni, anche quelle spinte, a renderli una coppia molto più realistica delle tipiche “purissime e levissime” a cui sovente assistiamo.
Nell’arco di Kaede, se da un lato possiamo essere felici perché Sakuta cambia finalmente espressione, sembra che l'unica cosa che riesca a tangerlo sia la sofferenza: ma fate caso anche a quante espressioni diverse appaiono sul suo volto quando interagisce con Mai. Sakuta passa facilmente da un'emozione all'altra in compagnia della sua ragazza, non mostrandosi Mai (capito il gioco di parole?) svogliato, a differenza di tutte le sue altre conversazioni. Sakuta è vivo quando interagisce con Mai. Ecco, questi sono tutti piccoli elementi che testimoniano quanto la relazione tra Sakuta e Mai sia gestita bene: è bastato dare una personalità e un'identità ai due personaggi per creare una serie di circostanze e situazioni analizzabili che permettono di renderli vivi. Ed è questo che fa la differenza: Sakuta e Mai sono studiati per essere una coppia, sviluppano il loro rapporto tramite un forte e reciproco supporto psicologico, nonché un feeling perfetto grazie al loro senso dell’umorismo, crescono come fidanzati oltre che come individui. Il non-plus-ultra di “Aobuta” sono proprio loro due e la loro relazione: potrei ascoltarli per ore senza stancarmi Mai - sì, è l’ultima volta che la faccio.

Tirando le somme, come mai nonostante tutti questi approfondimenti, le critiche sociali, i dialoghi superlativi e le caratterizzazioni che rendono ogni personaggio vivo - soprattutto nella meta-realtà del mondo dell’animazione nipponica -, “Aobuta” racimola “solo” un 8.5? Chiariamo che questo è probabilmente l’8.5 più vicino al 9 che abbia mai dato in vita mia, ma comunque: prima di tutto non ha un finale definito, è chiaro come ci sia ancora tanto da dire e decostruire per quanto concerne personaggi e storia - soprattutto Sakuta; ma anche la sceneggiatura in generale non rasenta la perfezione - a mio parere le spiegazioni fisiche ai fenomeni paranormali sono state molto campate in aria, non a caso ho fatto a meno di citarle, siccome il focus della mia recensione è lo spettro psicologico-comportamentale dei personaggi. Del writing ho generalmente apprezzato il non essersi tramutato in uno scialbo harem - alla fine della fiera, sono due le ragazze che s’interessano sentimentalmente a Sakuta, tra cui una che non ha mai avuto speranze e sulla quale l’autore non si è permesso di giocare, mettendo subito le cose in chiaro. Per il mondo nipponico mi sembra una boccata d’aria fresca da non sottovalutare.
In tante cose, tuttavia, questo anime non rispecchia i miei valori etici e sociali, né le mie credenze in ambito fisico, ma stiamo parlando di un’opera di fantasia e non pretendo che venga scritta con i miei occhi. La critica più insensata che ho sentito è quella secondo la quale questa light novel - e in senso esteso questo anime - prenda spunto da “Monogatari”, “Oregairu” o “Haruhi Suzumiha”. E anche se fosse? Non mi pare che questa serie non abbia saputo plasmare una propria identità, dei propri personaggi e una propria morale di fondo, se anche vi fosse un’ispirazione a una carrellata di opere non ci troverei nulla di immorale - altrimenti lanciamo dalla finestra tutti gli shonen degli anni 2000, sono tutti ispirati a “Dragon Ball”. A me interessa ciò che “Aobuta” è stato capace di trasmettermi, e se dietro vi è un’ispirazione esterna, tanto meglio.
Prima di concludere, menzione d’onore per la ending: una canzone cantata a turno dalle protagoniste dei vari blocchi, a parer mio un’idea geniale.

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