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Ci risiamo. Evidentemente un solo film per “Max Heart” non bastava, così ecco che, quando la stagione è quasi finita, arriva il secondo. Non so in quanti ne sentissero il bisogno all’epoca, ma di sicuro realizzare questo lungometraggio è stata una scelta non giusta, di più, perché gran parte dei difetti del predecessore è scomparsa. Ci sono comunque altri problemi, non è per niente un film perfetto, ma mi è piaciuto molto vedere questo salto di qualità, a testimonianza del fatto che si è prestata molta attenzione a quelli che sono stati gli errori del passato.

Innanzitutto, parlando della trama, si può notare che ancora una volta non differisce quasi per nulla da quella di un episodio normale (il che ci sta, i fan vogliono vedere “Pretty Cure”, non un altro anime): c’è la parte slice of life, dove tutti i personaggi vivono la loro vita in santa pace, in questo caso divertendosi in montagna; c’è la parte d’azione, articolata in circa tre combattimenti; c’è una parte drammatica, in cui le stesse protagoniste si ritrovano perfino a scontrarsi tra di loro; infine c’è il classico ritorno alla normalità, la quiete dopo la tempesta. Tuttavia diventa subito evidente lo sbilanciamento verso una maggiore azione. Se nell’altro film erano presenti molte più scene di vita quotidiana, oltre a pause più estese tra una lotta e l’altra, qui non c’è mai un attimo di tregua (e quando c’è, è soltanto apparente). Il ritmo, pur essendo veloce, non è mai martellante: questo da un lato è negativo, in quanto sacrifica un minimo la credibilità di alcune scene, che avrebbero meritato più spazio per approfondire le tematiche e che invece vengono subito rimpiazzate dalla scena successiva; dall’altro lato, però, la storia è senza dubbio coinvolgente ed è in grado di tenere lo spettatore attaccato allo schermo pur nell’assenza di colpi di scena.

Per quanto riguarda i personaggi, si può dire che ognuno svolga il suo compito, comprese le comparse. Naturalmente ci sono sempre Nagisa e Honoka al centro di tutto, ma questa volta anche Hikari riesce a ritagliarsi un suo spazio e a risultare un minimo utile (per quanto continui a non combattere, e questo non l’ho ancora digerito). I personaggi secondari invece rimangono abbastanza sullo sfondo, inclusi i nuovi ingressi: specialmente questi ultimi risultano abbastanza anonimi, e più in particolare o sembrano un minimo interessanti ma non vengono approfonditi, come nel caso degli scoiattoli volanti, o sono delle semplici scopiazzature di personaggi già esistenti (il Saggio è molto simile al Vecchio di “Futari Wa” anche nel carattere). Eppure questo, tutto sommato, per quanto potesse essere gestito meglio, non va comunque a rovinare la qualità del film: la storia è un’altra, queste comparse non è che servissero poi a molto, dunque meglio che siano loro i personaggi abbozzati.

Diverso è invece il discorso per Hinata, mascotte e protagonista del lungometraggio, e per Freezen e Frozen, tutti e tre abbastanza validi ma allo stesso tempo delle occasioni sprecate. La prima, visto il suo ruolo, avrebbe meritato decisamente più spazio, e invece sono pochissime le scene dedicate a lei, molte delle quali la vedono quasi inerte in quanto imprigionata in un blocco di ghiaccio. Ha comunque il pregio di essere contemporaneamente tenera, per via del suo aspetto, e tosta, questa volta per via del carattere: questa accoppiata non si è mai vista nelle prime due stagioni del franchise, almeno non a questo livello, per cui Hinata è un personaggio originale, che secondo me avrebbe fatto bella figura perfino al di fuori del film e che invece... sta qui e basta, e alla fine fa pure la deus ex machina insieme a Luminous. Freezen e Frozen, dall’altro lato, sono i nemici di turno, anch’essi poco approfonditi in quanto questa (purtroppo) è una caratteristica comune della stragrande maggioranza dei malvagi che hanno a che fare con le guerriere leggendarie. Tuttavia c’è comunque un passo avanti, perlomeno rispetto al film precedente: se lì la strega si muoveva in un contesto interessante ma di contro aveva uno spessore nullo, qui il duo, oltre ad avere un potere diverso dai classici raggi di luce o oscurità, pone anche le basi per un futuro scontro sia sul piano fisico che ideologico. Certo, rimane comunque il rimpianto per non averli visti per più tempo, ma intanto c'è stato un bel progresso.

Riguardo nello specifico gli scontri già menzionati, è inutile sottolineare che siano di buona qualità. Dei piccoli difetti ci sono comunque, sono frettolosi e con dei disegni leggermente più approssimativi rispetto a quelli del primo lungometraggio, ma si tratta di questioni di poco conto, almeno relativamente. La prima lotta è molto classica, si tratta di un semplice scontro con uno Zakenna, non pretenzioso e dinamico quanto basta, e inoltre è utile per porre le basi di ciò che verrà dopo. Le due coppie, da un lato Black e White e dall’altro Freezen e Frozen, non solo si scontreranno reciprocamente in linea con il conflitto bene-male, ma arriveranno anche a combattere fra di loro, e saranno proprio queste lotte a dare valore al film. Ad accomunarle c’è il concetto di dualismo, in realtà sempre stato presente nelle due stagioni di “Futari Wa” (a volte con risvolti comici, presenti anche qui), ma che - e questa è un’altra occasione sprecata per “Max Heart” - non era mai stato approfondito così. Oltre alla solita contrapposizione tra buoni e cattivi, che qui viene accentuata anche dalla differenza dei poteri, da un lato il fuoco di Hinata e dall’altro il ghiaccio di Freezen e Frozen, c’è appunto una lotta anche fra personaggi della stessa fazione. E le Cure, in questo caso, non si limitano a litigare mettendo così in mostra i loro caratteri opposti, ma arrivano proprio a picchiarsi; è vero, lo fanno perché manipolate dai due malvagi, ma poi l’incantesimo si scioglie e loro sono ancora lì, perché c’era un conflitto irrisolto ed erano disposte a portarlo a termine, anche soffrendo fisicamente (a questo proposito, faccio i miei complimenti alla doppiatrice giapponese di Honoka, che è stata molto brava in queste scene e ha reso benissimo ciò che il suo personaggio stava provando). Poi ci sono Freezen e Frozen, tanto diversi dalle Cure quanto simili: vogliono competere con le protagoniste ritenendosi il duo migliore, ma si ritrovano a essere sconfitti non solo per la loro debolezza (o meglio, per l’eccessiva forza delle altre, potenziate da un deus ex machina), ma anche perché litigano fra di loro, non pensando di doversi impegnare per essere sul serio i migliori.

E ora passiamo al lato tecnico. Non voglio soffermarmi su animazioni e disegni, perché non c’è praticamente nient’altro da dire, bensì vorrei spendere qualche parolina sulle ambientazioni, abbastanza degne di nota se paragonate a ciò che “Futari Wa” e lo scorso film ci hanno abituato. In sé non sono eclatanti (in ordine sono una montagna innevata, un mondo magico fra le nuvole e lo stesso mondo però ghiacciato), ma fanno una bella figura anche grazie ai colori luminosi con cui queste zone sono rappresentate. In più appunto sono diverse dalle solite dell’universo in cui si muovono tutti i personaggi, pensiamo ad esempio alla poco dettagliata Dotsuku o alla città dai colori spenti in cui abitano le protagoniste, dunque si nota anche qui un maggiore impegno. E poi, anche se non si tratta di una location, è impossibile non citare anche i nuovi costumi delle Cure: sono pacchiani, sì, come praticamente tutti i potenziamenti nel franchise, ma almeno sono fatti bene, evitando soprattutto l’errore di ricolorarli e basta (e dunque finalmente il costume di Black ha avuto giustizia).

Infine c’è la colonna sonora. È memorabile? No, ma almeno è gradevole e non risulta mai fuori posto, ad eccezione forse dell’ending, unico brano non strumentale insieme all’opening, che ha un tono sbarazzino che si adatta male a un film ricco di momenti intensi e con un’atmosfera invernale piuttosto delicata. Per il resto, non ho notato problemi: ogni scena, che fosse leggera o meno, aveva un sottofondo appropriato, in grado di coinvolgere lo spettatore in maniera efficace.

In conclusione, devo dire che questo secondo film di “Max Heart” risulta migliore non solo dell’altro di qualche mese prima, ma anche della serie stessa da cui è tratto, per il lato tecnico ma soprattutto per la storia. Quest’ultima in entrambi i casi non aggiunge nulla alla trama, i personaggi non evolvono, ma almeno il lungometraggio compensa l’esiguità di eventi da raccontare con una durata per ovvi motivi minore rispetto a quella di una serie intera. Il mio voto è dunque un 7 ½. Forse è troppo alto per via dei difetti che oggettivamente presenta, però mi ha comunque dato delle emozioni che io non posso trascurare.