Recensione
Megalo Box 2: Nomad
8.0/10
Recensione di Shiho Miyano
-
«Megalo Box 2 - Nomad», serie in tredici episodi della primavera 2021, è il sequel di «Megalo Box», serie del 2018 pensata come omaggio per i cinquant’anni di «Ashita no Joe». Entrambe le serie sono prodotte da TMS Entertainment, studio che ha realizzato, ad esempio, i lungometraggi cinematografici legati ai brand di «Detective Conan» e «Lupin III».
La regia è nuovamente affidata a Yō Moriyama. Anche le musiche di mabanua e la direzione del suono di Keiichirō Miyoshi sono in continuità con la prima serie e, nuovamente, danno un'impronta molto definita che, qui, stempera le atmosfere cyberpunk per ammiccare a sonorità, a temi e a problemi dell'America latina. E poi già dalla visual fa capolino un leitmotiv, quello del colibrì, che, si intuisce subito, sarà un compagno di viaggio per una storia dai toni struggenti, tanto gradevole quanto inattesa. Inattesa perché, per come è nata e per come era scritta la prima serie, la storia si chiudeva bene senza lasciare nulla in sospeso, e l’annuncio di questo seguito mi aveva incuriosito, ma al contempo lasciato perplessa. Invece la storia si libera dei binari dell’omaggio all’opera maggiore di Tetsuya Chiba, prende una sua strada, e convince.
Dal primo episodio l’impressione è stata buona: un incipit cupo e “sporco” con un Joe, l’ex “Gearless Joe”, che tra allucinazioni e sostanze psicotrope si trascina e si tormenta in ring clandestini, confrontandosi con il fantasma di Nanbu. Anche l’ambientazione è da subito suggestiva: pochi luoghi rendono meglio l’idea di abbandono e desolazione di un parco divertimenti dismesso. La storia, libera dall’obbligo dell’omaggio, si dipana bene, ben equilibrata fra personaggi di nuova introduzione e richiami alla stagione precedente, tra l’incontrare Chief e il ritrovare Juri e il suo cane, con Joe e Sachio, che ritroviamo cresciuto come gli altri ragazzetti della prima serie, a far da ritratto l'uno dell'altro. Avventati e incapaci di fare squadra. Ottimi ancora i fratelli Shirato, con Yukiko che dà il meglio di sé e riesce a essere determinante nella frazione più autenticamente cyberpunk della serie. Ottima, a dispetto del risicatissimo minutaggio, anche l'ex “mocciosa” Oicho, cresciuta e diventata apprendista del meccanico Abuhachi.
Una scrittura che ha qualche ingenuità, ma che arriva ad una conclusione meno scontata del previsto. Merita sicuramente una visione.
La regia è nuovamente affidata a Yō Moriyama. Anche le musiche di mabanua e la direzione del suono di Keiichirō Miyoshi sono in continuità con la prima serie e, nuovamente, danno un'impronta molto definita che, qui, stempera le atmosfere cyberpunk per ammiccare a sonorità, a temi e a problemi dell'America latina. E poi già dalla visual fa capolino un leitmotiv, quello del colibrì, che, si intuisce subito, sarà un compagno di viaggio per una storia dai toni struggenti, tanto gradevole quanto inattesa. Inattesa perché, per come è nata e per come era scritta la prima serie, la storia si chiudeva bene senza lasciare nulla in sospeso, e l’annuncio di questo seguito mi aveva incuriosito, ma al contempo lasciato perplessa. Invece la storia si libera dei binari dell’omaggio all’opera maggiore di Tetsuya Chiba, prende una sua strada, e convince.
Dal primo episodio l’impressione è stata buona: un incipit cupo e “sporco” con un Joe, l’ex “Gearless Joe”, che tra allucinazioni e sostanze psicotrope si trascina e si tormenta in ring clandestini, confrontandosi con il fantasma di Nanbu. Anche l’ambientazione è da subito suggestiva: pochi luoghi rendono meglio l’idea di abbandono e desolazione di un parco divertimenti dismesso. La storia, libera dall’obbligo dell’omaggio, si dipana bene, ben equilibrata fra personaggi di nuova introduzione e richiami alla stagione precedente, tra l’incontrare Chief e il ritrovare Juri e il suo cane, con Joe e Sachio, che ritroviamo cresciuto come gli altri ragazzetti della prima serie, a far da ritratto l'uno dell'altro. Avventati e incapaci di fare squadra. Ottimi ancora i fratelli Shirato, con Yukiko che dà il meglio di sé e riesce a essere determinante nella frazione più autenticamente cyberpunk della serie. Ottima, a dispetto del risicatissimo minutaggio, anche l'ex “mocciosa” Oicho, cresciuta e diventata apprendista del meccanico Abuhachi.
Una scrittura che ha qualche ingenuità, ma che arriva ad una conclusione meno scontata del previsto. Merita sicuramente una visione.