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8.5/10
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"Siamo gocce di un passato/Che non può più tornare/Questo tempo ci ha tradito/È inafferrabile" (Giorgia - Gocce di memoria - 2002)

L’atteggiamento che l'uomo ha elaborato nei confronti della morte e ciò in cui crede influenzano fortemente la sua weltanschauung sull'esistenza e il suo modo di considerare il momento fatidico del "trapasso".

"The Parades", film del 2024 di produzione della celeberrima piattaforma streaming mondiale, prende spunto dal momento tragico della dipartita e affronta il tema della morte in un modo originale e in un certo senso "coraggioso": non mette in dubbio che che il tempo della nostra esistenza sia più o meno limitato e che nessuno possa sfuggire alla transitorietà della vita ma sembra voler celebrare la vita proprio attraverso la morte e il distacco, ossia ciò che l'essere umano normalmente non comprende e non vuole o non può accettare. Dalla nostalgia e i rimpianti alla speranza di comprendere e condividere l'essenza dell'esistenza anche attraverso i più banali gesti quotidiani.

Esiste il limbo dei rimpianti?

"The Parades" propone a modo suo un modo per meditare su un possibile scenario per affrontare il trauma del distacco dalla realtà quando ci si trova ad affrontare la morte. Riporto un dialogo del film tra due dei protagonisti che rende in modo sintetico l'oggetto del film:
"- Le persone che hanno dei rimpianti nel mondo dei vivi si ritrovano qui. Beh, non solo qui. Ci sono posti come questo in tutto il paese.
– Rimpianti? Cosa intendi?
– […] Allora, in pratica, sei morta. Ma non puoi andare dall’altra parte perché hai qualcosa in sospeso".

In realtà il film non tratta solo lo status di coloro che sono irremediabilmente deceduti ma, evitando di spoilerare ulteriormente la trama per non togliere interesse allo spettatore sul messaggio di speranza che il film sembra voler trasmettere soprattutto per il grande finale sul quale invito a restare attenti e concentrati, godendo dello splendido inno alla vita.
Di certo lo scenario iniziale che prospetta il film è "inquietante": fa immedesimare lo spettatore come se si fosse risvegliato al pari dei protagonisti in un mondo del tutto simile a quello reale in cui si vaga come uno spirito con la convinzione di essere "vivi". La consapevolezza dell'essere deceduti la si acquisisce man mano che la trama avanza tra scenari in cui i loro cari continuano a vivere nel dolore della perdita... commoventi sono le sequenze in cui i protagonisti (uno yakuza ucciso in uno scontro tra bande che osserva la propria compagna e i propri familiari e membri della banda, o la giornalista che vuole a tutti i costi scoprire se il proprio figlio è sopravvissuto al terremoto e al successivo tsunami) vedono la realtà che hanno abbandonato cercando di scoprire ciò che nella vita non sono riusciti ad apprezzare o a donare agli altri. Le questioni irrisolte diventano pertanto gli ostacoli che impediscono agli spiriti di abbandonare definitivamente questa realtà meta-terrena e di proseguire verso una non meglio definito ulteriore status sul quale il film non fornisce alcuna ipotesi, restando ancorato solo alla illustrazione di questa ipotetica realtà in cui i personaggi restano in un certo senso sospesi tra la vita e una dimensione ignota, probabilmente una sorta di possibile "nirvana" ossia quello stato perfetto di pace e felicità che probabilmente consiste nella estinzione definitiva di desiderî, passioni e illusioni "terrene" fino all'annientamento della propria individualità.

Tecnicamente questo film potrebbe risultare al pubblico "occidentale" piuttosto lento e contemplativo, caratteristica tipica delle produzioni orientali che trattano argomenti piuttosto impegnativi come la vita e la morte. Soprassedendo al difetto citato (se lo si volesse considerare tale), credo che la visione di "The Parades" possa offrire allo spettatore la possibilità di cogliere attraverso un'impostazione fantasy tutta la poetica dell’opera, girata con grande delicatezza e garbo, tipiche delle migliori produzioni orientali, con l'aggiunta di una positività che limita quella connotazione cupa e triste tipica di produzioni ove il dramma della perdita prevale sul significato e il valore che l'umanità attribuisce all'esistenza.
Proprio il finale avvalora quanto appena espresso non riferendosi solo alla morte ma anche e soprattutto alla vita.
In un certo senso, questo film mi ha ricordato, mutatis mutandis, "Summer ghost", un mediometraggio animato che partendo da una leggenda su un "fantasma", tratta in altro modo il tema della morte dal punto di vista di coloro che hanno perso le speranze.

Dal punto di vista tecnico, devo riconoscere il merito al regista Michito Fujii di aver dato al film una connotazione da commedia delicata ad un tema come quello della morte che per tradizione si presta a interpretazioni drammatiche e ben più dolorose dal punto di vista emotivo.
I rimpianti, che rappresentano il leit motiv del film, rappresentano il modo per far riflettere lo spettatore sulla vita vissuta e sulle conseguenze delle proprie azioni e parole sul corso degli eventi vissuti, costringendolo a riflettere sui possibili scenari qualora avesse deciso di compiere una scelta diversa... una sorta di "what if..." su quanto vissuto.

A mio avviso merita un plauso l'interpretazione di Lily Franky con il suo personaggio Michael, non solo nell'abilità di riuscire a imitare le balbuzie ma anche nel trasmettere quel senso di umanità talvolta comica talvolta intrisa di tristezza nelle interazioni con tutti gli altri personaggi a dimostrazione di essere un attore poliedrico capace di calarsi in ruoli molto differenti (personalmente l'ho visto in "Chihiro" e "Il regista nudo" ma ha al suo attivo molte interpretazioni quali "Un affare di famiglia", "Father and son" e "Makanai").
E il ruolo che ricopre (un regista e cineasta) a me è sembrato anche un modo per generare un vero e proprio tributo al cinema e alla nobiltà della sua arte capace di rappresentare una sorta di incubatore di emozioni e sogni anche per le anime che vagolano in questa sorta di terra di mezzo un minimo di sollievo al loro patimento.
Con il suo personaggio che termina il film lasciato incompiuto quando era in vita rappresenta la metafora del film per il quale sembra che nessuno spirito dimentica la propria vita sulla terra e tutto ciò che l'ha caratterizzata, trasmettendo la sensazione positiva che in fondo "la morte non [è] più qualcosa di opposto alla vita. La morte [è] già compresa intrinsecamente nel [nostro] essere, e questa [è] una verità che, per quanto [ci si possa] sforzare, non [è possibile] dimenticare.” (Haruki Murakami- Norvegian wood).