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Attenzione: la recensione contiene lievi spoiler!

“Fate/Stay Night” è uno di quei franchise di cui si sente parlare più spesso nel panorama anime e manga di oggi. Alla fine anch’io ho deciso di dare un’occhiata all’universo creato da Kinoko Nasu e Takashi Takeuchi. Dal momento che molti fan rinnegano le trasposizioni animate fatte dallo studio Deen al pari di un figlio mai voluto, ho deciso di partire dagli adattamenti dello studio Ufotable, iniziando da questo “Unlimited Blade Works”. Confesso subito: non è che mi abbia convinto molto.

La storia ruota attorno a Emiya Shirou, un giovane mago che si ritrova coinvolto nella guerra del Santo Graal, scontro che vede sette maghi invocare sette Servant (spiriti eroici delle leggende) per combattere e ottenere, appunto, il Graal, una coppa in grado di esaudire qualunque desiderio. Tuttavia, Shirou non è un grande esperto di magia e inizialmente si fa aiutare da Rin Tohsaka, una sua compagna di classe che si allena da anni per prepararsi a questo scontro.

Pur essendo la trasposizione della seconda route del gioco originale, Ufotable ha cercato di contestualizzare la vicenda e di dare alcune prime informazioni, cosicché chi non avesse mai giocato la novel o non si fosse mai avvicinato a Fate non rimanesse disorientato da quello che succede inizialmente. I primi due episodi sono molto utili a questo scopo che, con una durata maggiore rispetto a tutti gli altri, permettono di presentare al meglio i due protagonisti di quest’arco narrativo (Shirou e Tohsaka) e i loro rispettivi Servant, Saber e Archer.

La serie è molto incentrata sull’azione e sui combattimenti, resi ottimamente da un punto di vista sia di regia sia di animazione. Le musiche di Fukasawa rendono benissimo il tono epico che può avere la guerra per un oggetto leggendario come il Santo Graal.

Una magnifica confezione, non c’è che dire. È il contenuto il vero problema.

Se sette persone combattono per un oggetto capace di esaudire qualsiasi desiderio, è mai possibile che non ce ne sia uno che abbia un desiderio da esprimere? Se nessuno ha un desiderio, che senso ha combattere? Sembra che tutti i maghi coinvolti in uno scontro in cui, ricordo, si rischia di perdere la vita, non abbiano un’ambizione o un qualcosa che li spinga a prendere parte alla guerra.
Rin Tohsaka, sin dal primo episodio, dice che lei combatte perché semplicemente le piace vincere. Come motivazione iniziale ci può stare perché potrebbe essere un punto di partenza per una sua successiva maturazione: magari nel corso della storia perderà una persona cara o, affezionandosi sempre di più a Shirou troverà una buona ragione per combattere. E invece questa maturazione Rin non l’avrà mai.

Emiya Shirou ha effettivamente un desiderio: diventare un paladino della giustizia. Anche qui: un punto di partenza semplice, ma niente male per un protagonista da “battle shonen”. Addirittura ad un certo punto si crea una situazione in cui Shirou dovrà mettere in discussione i suoi princìpi. Peccato che il suo mettere in discussione i princìpi significa: “Gne gne, faccio comunque quello che voglio perché è la cosa giusta da fare”. Non c’è un vero e proprio momento di crisi, un attimo in cui lui mostri dei dubbi su quello in cui crede. Niente. Perché si dovrebbe empatizzare per un protagonista del genere, che rimane così com’è dall’inizio alla fine?

E i Servant come sono? Belli da vedere, ma niente di più. Tante informazioni sul loro conto vengono raccontate dando per scontato che si sia già visto Fate/Zero, il prequel di Fate/Stay Night. Non l’ho reputata una mossa corretta, soprattutto nei confronti di chi si avvicina al franchise per la prima volta.

A mio dire, gli unici che hanno una caratterizzazione minimamente interessante sono due. Gilgamesh, anche se gestito male nella prima parte, ha almeno un valido motivo per ottenere il Graal. Archer, invece, è il personaggio reso meglio di tutti perché sarà colui che metterà il protagonista di fronte a una dura verità. Senza fare troppi spoiler, mostrerà come Shirou abbia sempre vissuto per realizzare un sogno che non è il suo, ma quello di qualcun altro. Non avere un proprio sogno, nell’ottica di Archer, è come essere solo un fantoccio senza personalità. Un modo di vedere le cose in cui, personalmente, mi sono ritrovata molto.

Insomma, “Unlimited Blade Works” non si può definire un anime brutto. Tuttavia, a parte gli scontri non rimane niente dalla visione e risulta una trasposizione che sembra più indirizzata ai vecchi fan di Fate piuttosto che ai novizi. Si poteva fare di meglio.