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«After the great disaster, many people said this was no longer a place to live in.
And only a fool could think otherwise. But I was born here, and here I have spent all my life so far.

Even though the air is poisoned.
Even though my lungs get sick.
Here is where I have been given oxygen to breathe.
Choosing to abandon this placeis not as easy as you say.

And I start wondering about what kindness really is.

If there were a god, a faceless one, residing in the objects around us.
An entity lacking of a real self, existing just as simple things next to us
born only for the purpose of being used by someone.

Perhaps a truly selfless act of kindness demands relinquishment of our own human nature.

What if there could be something that will not betray you even after the entire world has fallen apart?

If I want to remain a human being, I have to run away from this place.

Following a balloon filled with air from unknown places,
I start running, I climb the wall...
As I look back, I see the place where I was born.
I take a deep breath.
A town by the seaside.
A power plant in the distance.
The wind blows fiercely.»

Machiko Kyo (fonte: http://www.productionig.com/contents/works_sp/96_/)

Traduzione (improvvisata)

Dopo il grande disastro, molte persone hanno detto che questo non era più un posto in cui vivere.
E solo uno sciocco potrebbe pensare il contrario.
Ma io sono nato qui, e qui ho trascorso tutta la mia vita finora.

Anche se l'aria è avvelenata.
Anche se i miei polmoni si ammalano.
Qui è dove mi è stato dato l'ossigeno per respirare.
Scegliere di abbandonare questo posto non è così facile come dici.

E comincio a chiedermi cosa sia davvero la gentilezza.

Se ci fosse un dio, uno senza volto, che risiede negli oggetti che ci circondano.
Un'entità priva di un sé reale, che esiste come le cose semplici accanto a noi,
nate solo per essere usate da qualcuno.

Forse un atto di gentilezza veramente disinteressato richiede la rinuncia alla nostra natura umana.

E se ci fosse qualcosa che non ti tradirebbe nemmeno dopo che il mondo intero sarà crollato?

Se voglio restare un essere umano, devo scappare da questo posto.

Seguendo un pallone pieno d'aria proveniente da luoghi sconosciuti,
inizio a correre, mi arrampico sul muro...
Mentre mi volto indietro, vedo il posto dove sono nato.
Prendo un respiro profondo.
Una città in riva al mare.
Una centrale elettrica in lontananza.
Il vento soffia forte.

Ho iniziato la recensione di "Pigtails" ("Mitsuami no Kamisama") con quanto affermato da Machiko Kyo, mangaka e autrice dell'omonimo manga serializzato tra il 2011 e il 2013, dal quale è stato tratto il corto di 25 minuti prodotto da Production IG sotto la regia di Yoshimi Itazu nel 2015 (già character design di "Sarusuberi: Miss Hokusai" e poi regista di "Benvenuti al ballo" e "The Concierge").

Il testo mi è sembrato particolarmente esplicativo di alcune delle considerazioni che la visione di questa opera potrebbe suscitare: il disastro della centrale nucleare di Fukushima, conseguenza del violentissimo terremoto e del conseguente tsunami del marzo 2011, oltre ad aver distrutto la vita di molte persone, ha stravolto quella dei sopravvissuti, segnandone indelebilmente le coscienze e diventando il peggiore incubo vissuto dal Giappone dopo la bomba nucleare di Hiroshima e Nagasaki.

Balza subito all'occhio il worldbuilding, o meglio il nulla che circonda la casetta abitata dalla ragazzina e l'atmosfera "freezata" e di apparente pace e tranquillità che circonda la quotidianità rappresentata dalle azioni più semplici della ragazzina, come lo stendere il bucato tra le scaramucce delle mollette di diverso colore che alla fine si distruggono a vicenda, fino ad essere riparate dalla ragazzina, mischiando una parte bianca e una rossa...

Sullo sfondo in qualche fugace inquadratura appare il profilo abbastanza inconfondibile della centrale nucleare di Fukushima-Daichi. che con le visite periodiche a domicilio del personale sanitario alla ragazza in tenuta anti radiazioni/batteri trasmette la drammaticità della solitudine delle persone sopravvissute, legate ai ricordi e a quel poco che sono riuscite a salvare e conservare dei loro averi, che in modo inquietante e toccante sembrano animati di vita propria e dialogano tra loro in modo malinconico, riflettendo sullo scopo della loro esistenza stravolta.

L'anime non risparmia considerazioni piuttosto scioccanti e truci sull'opportunismo umano, con la descrizione del modo in cui sono stati raccolti e trattati i cadaveri raccolti, mentre cataste infinite di oggetti giacciono in ogni dove in attesa di chissà che cosa: oggetti che hanno una loro storia da raccontare per le loro interazioni con gli umani che non ci sono più.

Intrigante poi lo stile tecnico con cui il regista utilizzi colori pastellati e acquerellati, atmosfere simil oniriche e un chara-design dal tratto molto stilizzato e quasi infantile e retrò... Il film è parzialmente muto riguardo i personaggi; solo gli oggetti prendono vita e parola, fornendoci metafore o spunti riflessivi interessanti, tra cui il palloncino rosso, metafora della vita della protagonista.

Un muro immenso divide il mondo sospeso da quello reale: i palloncini, come i sogni, possono agilmente superarlo e librarsi sulla desolante realtà. Ma non è facile abbandonare i luoghi in cui si è nati, cresciuti e in cui si sono sviluppati tanti ricordi... quei luoghi ora ostili e così diversi da come gli abitanti se li ricordavano.

Lasciarsi tutto alle spalle sarebbe l'azione più semplice da compiere: ma la scelta di vivere di illusione per non morire di realtà abdica di fronte a quella di non abbandonare i luoghi della memoria.