Recensione
Kamikaze
7.0/10
Questo manga mi ha affascinato per lungo tempo: lo leggevo infatti un episodio al mese su Kappa Magazine ma se ben ricordo non venne concluso sulla rivista ma ripubblicato dall’inizio in versione volumetto monografico. Mi è capitato spesso in passato qualcosa di simile con fumetti iniziati su rivista e poi quando spostati non li ho conclusi…
Ora ho davanti agli occhi la vecchia edizione completa in sette volumi di Tokyopop, quindi la versione in inglese.
Probabilmente il lavoro italiano era molto migliore in quanto il traduttore e l’adattatore americani lasciano troppi termini in giapponese anche dove la traduzione renderebbe bene anche in inglese.
Esempio: Mizu no tami… non rende meglio in popolo dell’acqua?
Ma tralasciamo la traduzione per concentrarci sul fumetto: la prima parte è bella e ci troviamo in un mondo contemporaneo in qui esistono accanto agli umani normali, uomini con poteri particolari in virtù del loro legame con i principi elementari (acqua, terra, aria, fuoco e cielo). Tutti coloro che sono legati ad un principio elementare fan parte di un popolo (esempio il popolo del vento) in quanto discendenti di guerrieri leggendari che un tempo sconfissero le 88 bestie.
A distanza di 1000 anni questi popoli sono spaccati: alcuni vogliono far risorgere queste terribili creature, altri sono contrari.
Personaggi forti sono Misao la dama dell’acqua (nella versione inglese diventa semplicemente la ragazza dell’acqua) e Kamuro Ishigami l’uomo della terra.
Sebbene all’inizio si rimanga colpiti favorevolmente dai personaggi e dalla storia, arrivati ad un certo punto troviamo svolte non spiegate a sufficienza e combattimenti non sempre chiarissimi, e ciò è grave in quanto è un fumetto dove la lotta ha un gran peso.
Anche sui disegni avrei da ridire perché nonostante restino simili dall’inizio alla fine di fatto il loro fascino decresce con l’andare avanti della storia, non so spiegarmi il perché di questa sensazione.
Certamente il finale è stato velocizzato o almeno sono di questo avviso, altrimenti vorrebbe dire che l’autore Satoshi Shiki non è riuscito a creare un finale veramente incisivo.
Alla fine di tutto mi sento di dover dare un sette meno meno.
L’autore ha iniziato bene e poi è caduto su cliché e soluzioni poco chiare.
Ora ho davanti agli occhi la vecchia edizione completa in sette volumi di Tokyopop, quindi la versione in inglese.
Probabilmente il lavoro italiano era molto migliore in quanto il traduttore e l’adattatore americani lasciano troppi termini in giapponese anche dove la traduzione renderebbe bene anche in inglese.
Esempio: Mizu no tami… non rende meglio in popolo dell’acqua?
Ma tralasciamo la traduzione per concentrarci sul fumetto: la prima parte è bella e ci troviamo in un mondo contemporaneo in qui esistono accanto agli umani normali, uomini con poteri particolari in virtù del loro legame con i principi elementari (acqua, terra, aria, fuoco e cielo). Tutti coloro che sono legati ad un principio elementare fan parte di un popolo (esempio il popolo del vento) in quanto discendenti di guerrieri leggendari che un tempo sconfissero le 88 bestie.
A distanza di 1000 anni questi popoli sono spaccati: alcuni vogliono far risorgere queste terribili creature, altri sono contrari.
Personaggi forti sono Misao la dama dell’acqua (nella versione inglese diventa semplicemente la ragazza dell’acqua) e Kamuro Ishigami l’uomo della terra.
Sebbene all’inizio si rimanga colpiti favorevolmente dai personaggi e dalla storia, arrivati ad un certo punto troviamo svolte non spiegate a sufficienza e combattimenti non sempre chiarissimi, e ciò è grave in quanto è un fumetto dove la lotta ha un gran peso.
Anche sui disegni avrei da ridire perché nonostante restino simili dall’inizio alla fine di fatto il loro fascino decresce con l’andare avanti della storia, non so spiegarmi il perché di questa sensazione.
Certamente il finale è stato velocizzato o almeno sono di questo avviso, altrimenti vorrebbe dire che l’autore Satoshi Shiki non è riuscito a creare un finale veramente incisivo.
Alla fine di tutto mi sento di dover dare un sette meno meno.
L’autore ha iniziato bene e poi è caduto su cliché e soluzioni poco chiare.