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"Non vorrei mai offendere nessuno, ma sono così stupidamente timido, che spesso sembro freddo e indifferente, quando invece sono solo trattenuto dalla mia naturale goffaggine." (Jane Austen - "Ragione e sentimento")

Pensando che l'ambientazione più matura (due giovani colleghi di lavoro di un'agenzia di viaggi) potesse garantire una rom-com diversa e più matura rispetto a un certo standard di ambientazione scolastica, mi sono avvicinato a "365 Days to the Wedding" con un po' di curiosità e aspettative di assistere a una serie che, pur mantenendo alcuni degli aspetti standard che contraddistinguono le opere romantiche (il percorso dell'innamoramento piuttosto accidentato e qualche plot twist, nonché la timidezza oltre ogni umana comprensione dei protagonisti), poteva distinguersi appunto dalle commedie con ambientazione scolastica, per offrire delle reazioni più "adulte" e mature alle situazioni narrate, cercando di mostrare dei giovani adulti capaci di affrontare il percorso di una relazione d'amore, sebbene l'incipit formale della loro relazione sia piuttosto originale.

Le premesse dei primi episodi tutto sommato erano anche interessanti: due colleghi piuttosto introversi, Takuya e Rika, decidono di inventarsi una bugia colossale (annunciano il loro matrimonio che intendono celebrare tra un anno), per evitare di rischiare di essere trasferiti dal Giappone ad Anchorage in Alaska per l'apertura di una nuova filiale della società di viaggi.
Esperita l' "annunciazione" forzata al capoufficio e ai colleghi, inizia per i due soggetti, noti per non essere propriamente due persone solari e affabili, per i quali nessuno avrebbe scommesso nulla su una loro relazione, un percorso piuttosto divertente che potrei descrivere parafrasando la frase attribuita a Massimo D'Azeglio nel 1861 a valle della Seconda Guerra di Indipendenza, "Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani", per trasformarla in "Dichiarata la nostra fake relationship, dobbiamo anche simulare di amarci".

E, almeno inizialmente, la trama pur nella sua assurdità puerile della premessa mi stava anche piacendo: l'intraprendenza maldestra di Rika e la dabbenaggine di Takuya sembrava spingere la coppia farlocca a interrogarsi seriamente sui sentimenti reciproci e sui possibili scenari, adottando forzosamente degli atteggiamenti con un approccio che manco una coppia di bambini delle elementari sarebbero riusciti ad immaginare...

Tuttavia, da superficialotti e ingenui seriali quali realmente sono, i due "furbacchioni" (in senso ironico...) non avevano considerato le conseguenze che tale farsa avrebbe determinato non solo a livello lavorativo ma anche a livello familiare e della loro vita extra-lavorativa (sempre che si possa definire come tale...).
E finiscono abbastanza in fretta a provare il disagio dei sensi di colpa per aver preso in giro tutti con la loro "bugia", tanto da impegnare la metà della seconda parte della serie a negare e a scusarsi con tutti per quello che avevano architettato, secondo la solita e ipocrita mentalità tutta nipponica della rettitudine a tutti i costi, che a noi Occidentali può sembrare ancora più astrusa della bugia iniziale.

Ed ecco l'aspetto che rappresenta a mio avviso il limite profondo della serie: da profondi timidi quali sono, la paura di aver fatto una brutta figura e aver abusato della fiducia delle persone che li circondano li porta con i sensi di colpa ad autoinfliggersi la negazione di una verità che lentamente stava emergendo in entrambi.
Tutti gli episodi che rappresentano questa fase della negazione dell'evidenza hanno reso la serie un po' indigesta e ancor più surreale, rendendola molto se non tutto simile alle solite insulsaggini della miriade di rom-com scolastiche che partono da una premessa più o meno originale, per svilupparla più o meno sempre nello stesso modo...

Non nascondo che per me sarebbe stato meglio e sicuramente molto più comico che la relazione fosse proseguita sulla falsariga del mantenere la coerenza con la bugia iniziale e vedere gli equivoci e le situazioni più assurde con tutti, piuttosto che vedere lo strazio di due pseudo-adulti alle prese con le insicurezze tipiche di ragazzini delle medie, incapaci di comunicare o esternare qualsivoglia emozione, pensiero o desiderio, aggravato dal senso di colpa al limite dell'auto-martirio. Atteggiamento accettabile in certi limiti in ragazzini ma non in due giovani adulti.

Ed ecco che l'aspettativa rimane delusa, ancor più da un finale molto frettoloso che, sebbene rappresenti il classico e atteso risvolto positivo, sembra ancor più posticcio e raffazzonato di tutto quanto lo ha preceduto.

Qualcuno scriverebbe che si tratta della classica occasione sprecata? Forse sì, dodici episodi di goffaggine al limite del surreale (e ci può stare per la comicità...), una rom-com con una morale latente e stucchevole con anche delle divagazioni su storie di personaggi paralleli per corroborarla, che non sempre riesce nell'intento di far sorridere delle "acrobazie" dei due protagonisti (l'aspetto un po' più irritante...).

Allora, cosa resterà di questa serie in coloro che la vedranno? Credo poco o nulla di memorabile al di fuori di qualche gag riuscita sul dramma dell' "incomunicabilità moderna" tra due personaggi che sembrano delle macchiette inizialmente adorabili, ma che in non pochi frangenti tendono poi anche ad annoiare nel loro atteggiamento da Quinto Fabio Massimo Verrucoso nelle battaglie contro i Cartaginesi (non a caso definito il "cunctatōr", ossia il "temporeggiatore").

"365 Days to the Wedding", non supportato da un comparto tecnico di eccellenza (anzi...) è per me rimasta purtroppo vittima dei soliti cliché delle rom-com che sembrano tanto apprezzare in Giappone, e neanche la guest star della inossidabile Fiat Panda vecchia serie è riuscita a nobilitarla verso un giudizio di discreto apprezzamento.

"Panda. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarla"

Così recitava un advertisement di molti anni fa. Purtroppo, per "365 Days to the Wedding", la Panda esiste e si mostra bene della serie, mentre il vero romance è rimasto da inventare...