L'uomo Tigre
L'Uomo Tigre, un'icona del wrestling anime di circa quarant'anni fa, ha lasciato un segno indelebile . Tuttavia, il suo corrispettivo cartaceo presenta alcune criticità che per me ne offuscano l'appeal. La storia è in breve questa : Naoto Date, un giovane orfano che diventa il lottatore mascherato Tiger Mask, è lotta contro i wrestler dell'associazione malvagia Tana delle Tigri.
Mi sono approcciato a questo manga lentamente, comoprandolo poco per volta, pur non essendo lungo, non ho accelerato negli acquisti quindi ci ho messo un bel po' per leggerlo tutto. Per me, è immagino anche per molti,
lettori, uno dei principali punti deboli di questo manga risiede nei disegni, che risentono pesantemente dello stile dell'epoca in cui è stato realizzato. Le tavole, seppur dinamiche, appaiono oggi molto datate e poco coinvolgenti, soprattutto per un pubblico abituato ai canoni estetici più moderni. Le espressioni dei personaggi risultano spesso statiche e le proporzioni dei corpi poco realistiche, è anche i sfondi e gli ambienti spesso sono scarsi, compromettendo l'impatto.
Inoltre, a me piaceva molto quando ero piccolo l'anime dell'uomo tigre, è sono rimasto un po' deluso dal manga, che presenta diverse discrepanze narrative. La trama, pur mantenendo alcuni elementi chiave, si sviluppa a volte in modo diverso e con personaggi e situazioni che a volte risultano molto meno approfonditi rispetto alla versione animata. Addirittura alcuni episodi e alcuni personaggi non ci sono proprio.
Questo "Tiger Mask" è un manga che ha comunque un suo valore storico e culturale, e potrebbe piacere a chi è interessato a scoprire le origini di questa leggendaria serie, ma non mi stupisce il fatto che i ragazzi di oggi possono trovare questo manga troppo datato da leggere, è un manga che affonda le sue radici in un contesto storico che è il Giappone e il mondo del wrestler di oltre cinquant'anni fa, quindi a molti potrebbe non piacere, soprattutto ai ragazzi di oggi è probabile che non lo ritengano interessante.
Mi sono approcciato a questo manga lentamente, comoprandolo poco per volta, pur non essendo lungo, non ho accelerato negli acquisti quindi ci ho messo un bel po' per leggerlo tutto. Per me, è immagino anche per molti,
lettori, uno dei principali punti deboli di questo manga risiede nei disegni, che risentono pesantemente dello stile dell'epoca in cui è stato realizzato. Le tavole, seppur dinamiche, appaiono oggi molto datate e poco coinvolgenti, soprattutto per un pubblico abituato ai canoni estetici più moderni. Le espressioni dei personaggi risultano spesso statiche e le proporzioni dei corpi poco realistiche, è anche i sfondi e gli ambienti spesso sono scarsi, compromettendo l'impatto.
Inoltre, a me piaceva molto quando ero piccolo l'anime dell'uomo tigre, è sono rimasto un po' deluso dal manga, che presenta diverse discrepanze narrative. La trama, pur mantenendo alcuni elementi chiave, si sviluppa a volte in modo diverso e con personaggi e situazioni che a volte risultano molto meno approfonditi rispetto alla versione animata. Addirittura alcuni episodi e alcuni personaggi non ci sono proprio.
Questo "Tiger Mask" è un manga che ha comunque un suo valore storico e culturale, e potrebbe piacere a chi è interessato a scoprire le origini di questa leggendaria serie, ma non mi stupisce il fatto che i ragazzi di oggi possono trovare questo manga troppo datato da leggere, è un manga che affonda le sue radici in un contesto storico che è il Giappone e il mondo del wrestler di oltre cinquant'anni fa, quindi a molti potrebbe non piacere, soprattutto ai ragazzi di oggi è probabile che non lo ritengano interessante.
Il manga de L'Uomo Tigre in Italia è arrivato dopo l'anime, il quale ha avuto un enorme successo e, insieme ad altri celebri titoli, ha trainato nel nostro paese, come in altri, l'ondata di anime giapponesi che da allora non hanno più abbandonato il cuore degli occidentali. Nonostante ciò, i manga relativi a storie che abbiamo conosciuto prima sullo schermo che su carta non sfigurano affatto e anzi sappiamo che spesso sono superiori alla versione animata . Nel caso dell'Uomo Tigre il manga non supera l'anime ma non gli è nemmeno inferiore. Si sente dire che i disegni di Naoki Tsuji, non diversamente dai suoi contemporanei,sono ormai datati e non hanno retto bene al passare del tempo. In generale è un discorso che non condivido e francamente non capisco. Sarebbe come dire che Giotto, se paragonato a Leonardo o Caravaggio, farebbe una misera figura. O anche che le stampe giapponesi sono inferiori ai quadri del rinascimento italiano. E tuttavia vediamo che gli impressionisti francesi, Monet e altri, e soprattutto Van Gogh, sono ritornati al passato e addirittura alle stampe giapponesi. Ogni opera, se è grande, non invecchia mai, in un certo senso è eterna. Ora, ritornando ai capolavori del manga, sarebbe assurdo relegare i manga del passato in un angolo, allora dovremmo fare lo stesso con i lavori di Osamu Tezuka, ma giustamente non lo fa, credo, nessuno.
Anche questo meraviglioso manga merita, e ha effettivamente, un posto di primo piano nella storia del fumetto giapponese. Va certamente annoverata fra le opere immortali. Naoto è forse il personaggio migliore nella storia dei manga, non soltanto per la indiscussa bontà d'animo, ma anche per l'evoluzione personale del personaggio, per i contrasti psicologici interiori e per un finale non comune, sorprendente e non conciliante, come ci si sarebbe forse augurati. Ikki Kajiwara è sempre stato avulso dai sentimentalismi e dagli ideali francamente irrealizzabili. Naoto è un eroe, non c'è dubbio, ma è un uomo reale, quindi non perfetto. Eppure lo adoriamo per la sua tensione sincera e assoluta al bene. Un esempio vero, non un vuoto, fumoso e irraggiungibile ideale. L'autore della storia è , come detto, Ikki Kajiwara, sul quale non possono sorgere discussioni che non siano pretestuose. Fra le sue opere migliori e famose, l'Uomo Tigre rappresenta insieme a Rocky Joe, almeno per noi in Italia che non conosciamo altre sue opere, un modello indimenticabile e indimenticato per tutti i manga 'sportivi' e di combattimento che sono nati negli anni a venire. L'esperienza personale e il temperamento di Ikki Kajiwara, che assomigliano per tanti aspetti a quelli di molti suoi personaggi, ad esempio Joe Yabuki e Naoto Date, ne fanno uno scrittore credibile e ammirevole.
Anche questo meraviglioso manga merita, e ha effettivamente, un posto di primo piano nella storia del fumetto giapponese. Va certamente annoverata fra le opere immortali. Naoto è forse il personaggio migliore nella storia dei manga, non soltanto per la indiscussa bontà d'animo, ma anche per l'evoluzione personale del personaggio, per i contrasti psicologici interiori e per un finale non comune, sorprendente e non conciliante, come ci si sarebbe forse augurati. Ikki Kajiwara è sempre stato avulso dai sentimentalismi e dagli ideali francamente irrealizzabili. Naoto è un eroe, non c'è dubbio, ma è un uomo reale, quindi non perfetto. Eppure lo adoriamo per la sua tensione sincera e assoluta al bene. Un esempio vero, non un vuoto, fumoso e irraggiungibile ideale. L'autore della storia è , come detto, Ikki Kajiwara, sul quale non possono sorgere discussioni che non siano pretestuose. Fra le sue opere migliori e famose, l'Uomo Tigre rappresenta insieme a Rocky Joe, almeno per noi in Italia che non conosciamo altre sue opere, un modello indimenticabile e indimenticato per tutti i manga 'sportivi' e di combattimento che sono nati negli anni a venire. L'esperienza personale e il temperamento di Ikki Kajiwara, che assomigliano per tanti aspetti a quelli di molti suoi personaggi, ad esempio Joe Yabuki e Naoto Date, ne fanno uno scrittore credibile e ammirevole.
Ha dell'incredibile l'efficacia delle quattro parole che compongono la prima frase della storica sigla italiana dell'Uomo Tigre nel descrivere l'iconico personaggio di Naoto Date: "Solitario nella notte va".
Parole che trasmettono, appunto, una sensazione di solitudine, d'oscurità, che ci permettono quasi di visualizzarla, questa figura solitaria aggirarsi nel buio per chissà quale motivo.
Ed è proprio questo il succo del personaggio centrale, unico protagonista di quest'opera, perfetta rappresentante dei tempi e degli stili che furono: Naoto è solo, solo contro un mondo difficile e duro come quello del wrestling e soprattutto solo contro il suo passato, tormento inevitabile di ogni eroe drammatico che si rispetti.
Se si volesse dipingere l'opera con poche pennellate verbali, la si potrebbe definire come un inno alla forza d'animo, a quel ruggito (di tigre) interiore che si alza nel momento in cui anche il nostro capo chino si solleva, riportando il nostro sguardo ad altezza del mondo e rimettendoci in moto contro qualsiasi avversità ci si pari davanti.
La famosa "Burning Inner Strength" che sarà poi ripresa dal più divertito Kinnikuman e dallo stesso Antonio Inoki, frequente comparsa nelle vicende di Naoto Date, per definire la sua energia combattiva.
Insegnamento, quello sul saper trovare in sé stessi la forza d'animo necessaria a superare ogni tipo d'ostacolo che ci sbarri la strada, che è andato un po' perso coi decenni a venire, forse inevitabilmente per via dei cambi di tempi e costumi, ma che trova nelle avventure di "Tiger Mask" uno dei suoi picchi massimi.
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri per farlo diventare il wrestler perfetto, allenato insieme a tanti altri orfani attraverso discipline infernali.
Cresciuto, Naoto s'appresta a debuttare nel panorama del wrestling professionistico ufficiale come Heel (con questo termine, nel wrestling, si definiscono i "cattivi", spesso scorretti e sleali e sempre poco propensi ai rapporti col pubblico).
Ma a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni e prende il largo come uomo libero, ma a chi tradisce Tana delle Tigri spetta un solo destino, un destino da preda braccata fino alla morte.
Essendo il wrestling professionistico una grande storia, ci sono più possibilità diverse di ambientarvi una storia a sua volta, e l'autore Ikki Kajiwara decide di rendere il tutto più "simile alla realtà" possibile, realtà che, però, è molto lontana da quella del Pro Wrestling attuale (d'altronde nel 1968 la situazione nel business della lotta era profondamente diversa).
Ecco quindi che i wrestler sono più o meno liberi di decidere se comportarsi da "cattivi" o da "buoni", indipendentemente dal loro carattere che può essere molto diverso dentro o fuori dal ring, esempio su tutti quello appunto di Naoto, "cattivo" più per necessità che per personalità, che in realtà è quella di un angelo.
Tutto questo ad un fan del wrestling non può che far estremo piacere, perché la disciplina viene rappresentata in maniera tanto "reale" quanto "televisiva", con faide, minacce ed incontri veri e propri, mantenimenti di "personaggi" e "personalità" effettive o di scena, stessa cura che viene poi riposta nei numerosissimi match presenti nell'opera.
Sia nella regia che nella rappresentazione delle movenze, delle mosse, delle tempistiche sceniche e del "clamore teatrale" del wrestling (quello che fu, più che altro), l'opera eccelle nel ricreare su carta le reali esibizioni dal vivo, tanto che ad un occhio esperto questi incontri parranno più realistici che mai (per quanto di quando in quando ci si lasci andare a piccole "esagerazioni", in alcuni casi necessarie per voler creare un'atmosfera di maggior clamore), a maggior ragione quando faranno la loro comparsa le numerosissime guest star dal mondo reale, dalle leggende giapponesi Inoki e Giant Baba ai più noti eroi occidentali, da Bruno Sammartino a Freddie Blassie, tutti ben tratteggiati dalla mano di Naoki Tsuji, seppur il suo stile sia talvolta un po' poco espressivo soprattutto nei volti, ma questa è più una problematica legata al periodo storico d'uscita della serie stessa che a veri limiti del disegnatore.
L'unico momento in cui i combattimenti veri e propri si allontanano dalle leggi della fisica è quando entrano in scena le mosse finali di Tigre, un tantino esagerate, ma questo è inevitabile per poter dare maggiore clamore e un maggior senso di forza al protagonista.
Gli incontri però, pur occupando la stragrande maggioranza di ogni volume sono solo una rappresentazione grafica della lotta interiore di Naoto, del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che lo perseguita e che, più spesso di quanto si possa immaginare, attenta anche alla sua vita.
Il lato interiore e spirituale della serie è quello palesemente più marcato, con un continuo cercare un motivo per riprendere a lottare, un continuo farsi forza o cadere nella disperazione, fino al momento in cui il cuore di un uomo riesce a compiere un miracolo.
Tutta questa epicità, però, talvolta finisce per cozzare con alcune piccole grandi ingenuità contestuali, figlie del loro tempo e quindi difetti solo relativi, ma comunque impossibili da non notare.
Altro dettaglio profondamente figlio del suo tempo è l'accesa, accesissima sensazione di rivalità tra Giappone e America, qui in un sottotesto abbastanza individuabile e malcelato: la stragrande maggioranza dei lottatori "buoni" è sempre d'origine nipponica, mentre, casualmente, dall'occidente arrivano sempre malvagi, scorretti e piantagrane, con leggende metropolitane (peraltro prese di peso dalla vita reale, più o meno) annesse.
Per un Giappone uscito malconcio dalla Seconda Guerra Mondiale questo è inevitabile, comprensibile e ben legato anche al contesto (il wrestling ha come patria proprio l'America, e la scuola giapponese, oggi grande territorio per ogni atleta che vuole affinare le sue abilità, ovviamente provava un istinto d'agonismo con gli ex-nemici bellici, nel tentativo di superarli grazie ad una maggiore abilità tecnica), ma in alcuni casi si raggiungono punte di rivalità che strappano più d'un sorriso (un esempio su tutti l'uscita "L'elenco telefonico dell'area metropolitana di Tokyo, il più grande del mondo") ma sono comunque sfumature molto importanti per l'affresco storico in cui questa serie s'incastra.
Maggior rappresentante del suo periodo è però, come sempre, Naoto, protagonista vecchio stile e giapponese vecchio stile, erede della volontà Yamato, eroe tragico pronto a caricarsi il peso della responsabilità del mondo sulle spalle, forte d'animo e di muscoli, tutto sushi, yukata e Monte Fuji, drammatico e solitario, pronto a qualsiasi sacrificio per quasi qualsiasi motivo.
Più che un personaggio sulla scena, una volta chiuso l'ultimo volume Naoto sarà riconosciuto per quello che è, un'icona, un simbolo di un periodo, di uno sport, di un concetto: di eroe, di uomo, d'atleta, un concetto spirituale in un contesto più fisico che mai.
L'edizione italiana più recente, targata Planet Manga, si presenta in un formato piuttosto massiccio in 14 numeri, carta abbastanza chiara e volumi piuttosto solidi.
L'adattamento italiano è invece viziato da scelte purtroppo discutibili, per più motivi. In primis, le terminologie legate alla disciplina del Professional Wrestling: tutte le mosse hanno subito una traduzione in italiano, cosa abbastanza criticabile visto che in originale viene utilizzata la lingua inglese, e si tratta di mosse reali eseguite da persone reali da quasi un secolo, in alcuni casi, non di magie inventate dall'autore basandosi su termini giapponesi di chissà quale significato, cosa aggravata dal fatto che la traduzione è anche molto molto molto libertina, e non si tratta di una conversione in italiano fedele dei nomi originali delle mosse ma di pure invenzioni (suppongo ereditate dall'anime, che però gode di un adattamento di decenni fa), talvolta anche ben lontane dal significato orginale: che ad esempio si sia passati da Kitchen Sink (Lavabo) a "Colpo strappa-stomaco" probabilmente solo per il fatto che si tratti di una ginocchiata al ventre, non è certo una motivazione valida.
Stesso discorso vale per i soprannomi dei wrestler reali, adattati alla bell'e meglio in italiano quando si tratta di nomee ufficiali di persone vere utilizzate da sempre in tutto il mondo. Come Killer Kowalski che diventa "Kowalski l'assassino", perdendo l'allitterazione e la musicalità originale, ed anche qui, se si considera che si tratta di un soprannome reale, scelto dallo stesso Kowalski o da chi per lui, che l'ha accompagnato fino alla scomparsa qualche anno fa e ne accompagna la memoria tutt'oggi, si tratta di una mancanza ben più grave della semplice rilettura nella nostra lingua di un termine scelto dall'autore.
E questo non solo per Kowalski, ma per qualunque altro wrestler reale che fa la sua apparizione nel corso dell'opera, e sono moltissimi.
A queste "lamentele da wrestling-addicted" ne vanno aggiunte altre, ben più gravi oggettivamente, di tipo grammaticale, perché le frasi stesse sono tradotte in maniera legnosa e poco naturale, con scelte di termini poco condivisibili e persino errori/orrori da scuola media, cosa che infastidisce perché va a macchiare l'esperienza di lettura dell'opera, che non è certo l'ultima arrivata ma un caposaldo importantissimo del fumetto giapponese e mondiale, e di conseguenza avrebbe necessitato di un trattamento con i guanti di velluto.
Al di là di questi dolori di stomaco da adattamento, come definire in chiusura l'esperienza fumettistica donataci dall'Uomo Tigre?
Un viaggio nel tempo, nel Giappone che fu, nel fumetto che fu, nel wrestling che fu, ed un viaggio spirituale, alla ricerca di una forza interiore riassunta in quegli occhi di tigre che poi accompagneranno due altri grandi eroi noti per la loro scarsa propensione alla resa, sotto forma di musica e parole.
Naoto Date è un simbolo, l'Uomo Tigre come una favola senza tempo, drammatica, dura, epica, emozionante e che ci cambia dentro, come una cicatrice: fa male, e non ce ne potremo dimenticare, ma ci avrà insegnato tanto e, se siamo veri guerrieri, non avremo paura a mostrarla come un trofeo.
Parole che trasmettono, appunto, una sensazione di solitudine, d'oscurità, che ci permettono quasi di visualizzarla, questa figura solitaria aggirarsi nel buio per chissà quale motivo.
Ed è proprio questo il succo del personaggio centrale, unico protagonista di quest'opera, perfetta rappresentante dei tempi e degli stili che furono: Naoto è solo, solo contro un mondo difficile e duro come quello del wrestling e soprattutto solo contro il suo passato, tormento inevitabile di ogni eroe drammatico che si rispetti.
Se si volesse dipingere l'opera con poche pennellate verbali, la si potrebbe definire come un inno alla forza d'animo, a quel ruggito (di tigre) interiore che si alza nel momento in cui anche il nostro capo chino si solleva, riportando il nostro sguardo ad altezza del mondo e rimettendoci in moto contro qualsiasi avversità ci si pari davanti.
La famosa "Burning Inner Strength" che sarà poi ripresa dal più divertito Kinnikuman e dallo stesso Antonio Inoki, frequente comparsa nelle vicende di Naoto Date, per definire la sua energia combattiva.
Insegnamento, quello sul saper trovare in sé stessi la forza d'animo necessaria a superare ogni tipo d'ostacolo che ci sbarri la strada, che è andato un po' perso coi decenni a venire, forse inevitabilmente per via dei cambi di tempi e costumi, ma che trova nelle avventure di "Tiger Mask" uno dei suoi picchi massimi.
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri per farlo diventare il wrestler perfetto, allenato insieme a tanti altri orfani attraverso discipline infernali.
Cresciuto, Naoto s'appresta a debuttare nel panorama del wrestling professionistico ufficiale come Heel (con questo termine, nel wrestling, si definiscono i "cattivi", spesso scorretti e sleali e sempre poco propensi ai rapporti col pubblico).
Ma a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni e prende il largo come uomo libero, ma a chi tradisce Tana delle Tigri spetta un solo destino, un destino da preda braccata fino alla morte.
Essendo il wrestling professionistico una grande storia, ci sono più possibilità diverse di ambientarvi una storia a sua volta, e l'autore Ikki Kajiwara decide di rendere il tutto più "simile alla realtà" possibile, realtà che, però, è molto lontana da quella del Pro Wrestling attuale (d'altronde nel 1968 la situazione nel business della lotta era profondamente diversa).
Ecco quindi che i wrestler sono più o meno liberi di decidere se comportarsi da "cattivi" o da "buoni", indipendentemente dal loro carattere che può essere molto diverso dentro o fuori dal ring, esempio su tutti quello appunto di Naoto, "cattivo" più per necessità che per personalità, che in realtà è quella di un angelo.
Tutto questo ad un fan del wrestling non può che far estremo piacere, perché la disciplina viene rappresentata in maniera tanto "reale" quanto "televisiva", con faide, minacce ed incontri veri e propri, mantenimenti di "personaggi" e "personalità" effettive o di scena, stessa cura che viene poi riposta nei numerosissimi match presenti nell'opera.
Sia nella regia che nella rappresentazione delle movenze, delle mosse, delle tempistiche sceniche e del "clamore teatrale" del wrestling (quello che fu, più che altro), l'opera eccelle nel ricreare su carta le reali esibizioni dal vivo, tanto che ad un occhio esperto questi incontri parranno più realistici che mai (per quanto di quando in quando ci si lasci andare a piccole "esagerazioni", in alcuni casi necessarie per voler creare un'atmosfera di maggior clamore), a maggior ragione quando faranno la loro comparsa le numerosissime guest star dal mondo reale, dalle leggende giapponesi Inoki e Giant Baba ai più noti eroi occidentali, da Bruno Sammartino a Freddie Blassie, tutti ben tratteggiati dalla mano di Naoki Tsuji, seppur il suo stile sia talvolta un po' poco espressivo soprattutto nei volti, ma questa è più una problematica legata al periodo storico d'uscita della serie stessa che a veri limiti del disegnatore.
L'unico momento in cui i combattimenti veri e propri si allontanano dalle leggi della fisica è quando entrano in scena le mosse finali di Tigre, un tantino esagerate, ma questo è inevitabile per poter dare maggiore clamore e un maggior senso di forza al protagonista.
Gli incontri però, pur occupando la stragrande maggioranza di ogni volume sono solo una rappresentazione grafica della lotta interiore di Naoto, del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che lo perseguita e che, più spesso di quanto si possa immaginare, attenta anche alla sua vita.
Il lato interiore e spirituale della serie è quello palesemente più marcato, con un continuo cercare un motivo per riprendere a lottare, un continuo farsi forza o cadere nella disperazione, fino al momento in cui il cuore di un uomo riesce a compiere un miracolo.
Tutta questa epicità, però, talvolta finisce per cozzare con alcune piccole grandi ingenuità contestuali, figlie del loro tempo e quindi difetti solo relativi, ma comunque impossibili da non notare.
Altro dettaglio profondamente figlio del suo tempo è l'accesa, accesissima sensazione di rivalità tra Giappone e America, qui in un sottotesto abbastanza individuabile e malcelato: la stragrande maggioranza dei lottatori "buoni" è sempre d'origine nipponica, mentre, casualmente, dall'occidente arrivano sempre malvagi, scorretti e piantagrane, con leggende metropolitane (peraltro prese di peso dalla vita reale, più o meno) annesse.
Per un Giappone uscito malconcio dalla Seconda Guerra Mondiale questo è inevitabile, comprensibile e ben legato anche al contesto (il wrestling ha come patria proprio l'America, e la scuola giapponese, oggi grande territorio per ogni atleta che vuole affinare le sue abilità, ovviamente provava un istinto d'agonismo con gli ex-nemici bellici, nel tentativo di superarli grazie ad una maggiore abilità tecnica), ma in alcuni casi si raggiungono punte di rivalità che strappano più d'un sorriso (un esempio su tutti l'uscita "L'elenco telefonico dell'area metropolitana di Tokyo, il più grande del mondo") ma sono comunque sfumature molto importanti per l'affresco storico in cui questa serie s'incastra.
Maggior rappresentante del suo periodo è però, come sempre, Naoto, protagonista vecchio stile e giapponese vecchio stile, erede della volontà Yamato, eroe tragico pronto a caricarsi il peso della responsabilità del mondo sulle spalle, forte d'animo e di muscoli, tutto sushi, yukata e Monte Fuji, drammatico e solitario, pronto a qualsiasi sacrificio per quasi qualsiasi motivo.
Più che un personaggio sulla scena, una volta chiuso l'ultimo volume Naoto sarà riconosciuto per quello che è, un'icona, un simbolo di un periodo, di uno sport, di un concetto: di eroe, di uomo, d'atleta, un concetto spirituale in un contesto più fisico che mai.
L'edizione italiana più recente, targata Planet Manga, si presenta in un formato piuttosto massiccio in 14 numeri, carta abbastanza chiara e volumi piuttosto solidi.
L'adattamento italiano è invece viziato da scelte purtroppo discutibili, per più motivi. In primis, le terminologie legate alla disciplina del Professional Wrestling: tutte le mosse hanno subito una traduzione in italiano, cosa abbastanza criticabile visto che in originale viene utilizzata la lingua inglese, e si tratta di mosse reali eseguite da persone reali da quasi un secolo, in alcuni casi, non di magie inventate dall'autore basandosi su termini giapponesi di chissà quale significato, cosa aggravata dal fatto che la traduzione è anche molto molto molto libertina, e non si tratta di una conversione in italiano fedele dei nomi originali delle mosse ma di pure invenzioni (suppongo ereditate dall'anime, che però gode di un adattamento di decenni fa), talvolta anche ben lontane dal significato orginale: che ad esempio si sia passati da Kitchen Sink (Lavabo) a "Colpo strappa-stomaco" probabilmente solo per il fatto che si tratti di una ginocchiata al ventre, non è certo una motivazione valida.
Stesso discorso vale per i soprannomi dei wrestler reali, adattati alla bell'e meglio in italiano quando si tratta di nomee ufficiali di persone vere utilizzate da sempre in tutto il mondo. Come Killer Kowalski che diventa "Kowalski l'assassino", perdendo l'allitterazione e la musicalità originale, ed anche qui, se si considera che si tratta di un soprannome reale, scelto dallo stesso Kowalski o da chi per lui, che l'ha accompagnato fino alla scomparsa qualche anno fa e ne accompagna la memoria tutt'oggi, si tratta di una mancanza ben più grave della semplice rilettura nella nostra lingua di un termine scelto dall'autore.
E questo non solo per Kowalski, ma per qualunque altro wrestler reale che fa la sua apparizione nel corso dell'opera, e sono moltissimi.
A queste "lamentele da wrestling-addicted" ne vanno aggiunte altre, ben più gravi oggettivamente, di tipo grammaticale, perché le frasi stesse sono tradotte in maniera legnosa e poco naturale, con scelte di termini poco condivisibili e persino errori/orrori da scuola media, cosa che infastidisce perché va a macchiare l'esperienza di lettura dell'opera, che non è certo l'ultima arrivata ma un caposaldo importantissimo del fumetto giapponese e mondiale, e di conseguenza avrebbe necessitato di un trattamento con i guanti di velluto.
Al di là di questi dolori di stomaco da adattamento, come definire in chiusura l'esperienza fumettistica donataci dall'Uomo Tigre?
Un viaggio nel tempo, nel Giappone che fu, nel fumetto che fu, nel wrestling che fu, ed un viaggio spirituale, alla ricerca di una forza interiore riassunta in quegli occhi di tigre che poi accompagneranno due altri grandi eroi noti per la loro scarsa propensione alla resa, sotto forma di musica e parole.
Naoto Date è un simbolo, l'Uomo Tigre come una favola senza tempo, drammatica, dura, epica, emozionante e che ci cambia dentro, come una cicatrice: fa male, e non ce ne potremo dimenticare, ma ci avrà insegnato tanto e, se siamo veri guerrieri, non avremo paura a mostrarla come un trofeo.
Tanto stretto quanto conflittuale e ambivalente il rapporto che per circa un secolo ha legato il Giappone e gli Stati Uniti, dallo sbarco delle Navi Nere del Commodoro Perry nella baia di Tokyo alla fine dell'occupazione americana.
Un rapporto che si è manifestato nei fatti storici, ma anche in svariati campi della vita sociale, come, ad esempio, lo sport.
Famoso ed emblematico l'esempio del baseball: sport americano introdotto in Giappone alla fine dell'Ottocento, ha goduto negli anni di una popolarità enorme nel Sol Levante, tanto da diventarne il secondo sport nazionale e da riempirne gli stadi di tifosi che con intensa passione seguono perfino un campionato studentesco.
Meno noto, probabilmente perché meno esplorato nell'universo dei fumetti e dei cartoni animati, è il caso del pro-wrestling.
Sin dalla fine dell'Ottocento, questo genere di lotta molto popolare negli Stati Uniti ha catturato l'attenzione dei lottatori nipponici, fossero essi dediti al sumo o al judo, che hanno intrapreso all'estero i loro allenamenti in questa disciplina.
I primi, svariati, tentativi di portare il pro-wrestling in Giappone si sono rivelati, tuttavia, infruttuosi. Troppo chiuso nelle sue tradizioni, il Giappone, per aprirsi ad uno stile di lotta proveniente dall'Occidente.
Eppure, anche in questo caso, l'ambivalenza che da sempre caratterizza il Giappone, desideroso di essere alla pari dell'Occidente e di rivaleggiare con lui nei suoi stessi campi senza dimenticare la propria identità culturale, ha fatto sì che, in seguito all'occupazione americana, fra gli anni '50 e '60, il pro-wrestling trovasse finalmente la sua personale strada anche nel Sol Levante.
Padre spirituale del pro-wrestling nipponico è Mitsuhiro "Rikidozan" Momota (1924 - 1963), un ex lottatore di sumo coreano naturalizzato giapponese che si diede al pro-wrestling a partire dai primi anni '50. Fu lui, con i suoi incontri in cui combatté e vinse avversari di tutto il mondo e la costituzione, nel 1953, della Japan Pro Wrestling Alliance, la prima federazione nipponica, a dare al pro-wrestling giapponese la spinta di cui aveva bisogno. Un vero e proprio eroe nazionale, che diede un nuovo risvolto al rapporto fra Giappone e Stati Uniti con la sua vittoria sul mitico lottatore statunitense Lou Thesz, legato a lui da una profonda rivalità e stima reciproca.
Alla sua morte, nel 1963, Rikidozan lasciò un pro-wrestling ormai riconosciuto e amato anche in Giappone, pronto a crescere e a migliorare ancor di più grazie anche all'opera di tre promettenti allievi destinati a diventare leggenda: Kintaro Ohki, Kanji "Antonio" Inoki, Shohei "Giant" Baba.
L'Uomo Tigre (Tiger Mask), firmato da Ikki Kajiwara (uno degli pseudonimi di Asao "Rocky Joe" Takamori) e Naoki Tsuji, fa la sua comparsa sulle riviste a fumetti nel 1968, cinque anni dopo la morte del maestro Rikidozan, la cui eredità pesa ancora sul mondo del pro-wrestling nipponico.
E' un wrestling diverso, crudo, spartano, ancora lontano dallo spettacolo pacchiano, colorato ed appariscente della "Gimmick Era" del wrestling a stelle e strisce di qualche anno più tardi, che sarà, invece, alla base del più scanzonato Kinnikuman, manga realizzato dal duo Yudetamago a partire dal 1979.
Un wrestling che, ancora, non riesce a trovar bene la sua identità e che, come spesso accade nei manga di genere sportivo, rappresenta il sogno e la speranza di riprendersi dalle difficili condizioni economiche degli anni Sessanta e di dar gloria al proprio paese che ancora sente su di sé il peso della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Ma il wrestling, abbiam detto, è una disciplina americana, e quindi il rapporto dei giapponesi con esso è ambiguo e ambivalente: da un lato c'è la voglia di primeggiare sugli stranieri; dall'altro, sono quegli stessi stranieri ad averli instradati a quello sport...
E' in questo scenario che si consuma l'epopea di Naoto Date alias Uomo Tigre (Tiger Mask), orfano cresciuto sin da bambino allo scopo di diventare un wrestler esperto e crudele, che decide di tagliare definitivamente i ponti con l'organizzazione criminale che lo allevò e combattere per dar voce ai sogni di tutti i piccoli orfani che, come lui da bambino, desideravano una vita migliore.
Perfettamente inquadrato nel suo tempo, Naoto è un eroe tragico e solitario, che sceglie di ribellarsi al suo destino, anche se questo lo condurrà ad una vita irta di ostacoli e sofferenze. Nessuno conosce il volto dietro a quella minacciosa maschera di tigre, nessuno conosce i tormenti che affliggono Naoto e che egli tiene per sé, trasformandoli nella forza che gli permette di andare avanti.
La maschera di tigre è il volto di una leggenda, nata sulla carta e passata all'animazione, facendo il giro dei canali televisivi e delle librerie di tutto il mondo, per poi arrivare perfino al pro-wrestling vero e proprio, grazie a numerosi lottatori, giapponesi e non, che l'hanno indossata portando sul ring il personaggio di Tiger Mask in diverse incarnazioni.
Più che un personaggio, l'Uomo Tigre è un eroe, un simbolo, un'icona, proprio come i wrestler reali, noti dappertutto per il personaggio che interpretano sul ring e/o col nome fittizio a lui associato (in quanti, fra voi che leggete queste righe, sapete il nome di battesimo di Hulk Hogan, Superstar Billy Graham, Big Show o Triple H?).
Leggere L'Uomo Tigre è come guardare un incontro di wrestling: salvo il protagonista Naoto e rarissimi altri casi, gli autori presentano i molti lottatori che calcheranno il loro ring di carta unicamente col volto dei personaggi che interpretano, quasi sempre quello del wrestler scorretto, del cattivone senza scrupoli assetato di sangue, del demone talmente violento da sembrar uscito dall'Inferno. Anche questi lottatori hanno un nome proprio, una storia, una famiglia e sono atleti preparati e competenti che hanno sogni non meno forti di quello di Naoto, ma questo aspetto non verrà mai esplorato. Escludendo il tragico e complesso protagonista, sicuramente annoverato fra i migliori eroi della narrativa giapponese per ragazzi, i personaggi saranno caratterizzati in maniera semplice e stereotipata, senza risparmiarsi qualche punta di nazionalismo perfettamente figlia del suo tempo.
I wrestlers giapponesi, infatti, sono sempre dipinti come degli atleti disciplinati e corretti, che seguono i principi del loro maestro Rikidozan e lottano con abnegazione e lealtà, mentre i lottatori stranieri sono sempre dei buzzurri violentissimi, dei selvaggi, dei demoni sanguinari, degli avanzi di galera. Se sui wrestler di fantasia questo difetto si sente meno, si fa decisamente più disturbante quando entrano in gioco lottatori realmente esistiti, qui dipinti in maniera esagerata e fuorviante. Dubito, infatti, che Dory Funk Sr. picchiasse i figlioli perché giocavano ai cowboy e non alla lotta o che Freddie Blassie fosse un vampiro assetato di sangue uscito direttamente da un romanzo dell'orrore.
Poche le eccezioni, guarda caso principalmente coincidenti con wrestler stranieri che hanno più avuto a che fare col Giappone e i suoi lottatori, come Bruno Sammartino o Lou Thesz, elogiati come mitici esempi di forza e correttezza.
Va bene così, però. In fondo, L'Uomo Tigre è un fumetto per i bambini di diversi decenni fa ed è un fumetto che dal wrestling prende non solo l'ambientazione, ma anche i meccanismi. Poco importa dei volti dietro alle maschere, dei nomi e cognomi dietro ai personaggi. Quel che conta è l'emozione provata durante gli spettacolari incontri di questi lottatori, che vanno visti con gli occhi sognanti di un bambino più che con quelli cinici e disillusi di un adulto.
Eroi, simboli, icone, si diceva.
Certo, L'Uomo Tigre è un manga che ha diversi anni sulle spalle e che, dunque, porta con sé uno stile ormai obsoleto nel disegno e nella narrazione. Un protagonista odierno non lotterebbe mai da solo fra mille sofferenze, come fa Naoto, ma le condividerebbe con i suoi amici e compagni, ricevendo il loro aiuto nella lotta, come accade a Kinnikuman, l'altro grande wrestler dell'universo manga, e come accade allo stesso Naoto in una delle parti finali dell'opera, inaspettatamente moderna per il suo tempo di pubblicazione e molto diversa dallo stile con cui è narrato il resto del fumetto.
Lo stile di disegno di Naoki Tsuji è molto semplice, altalenante, sgraziato: i suoi wrestler hanno tutti un fisico tozzo e mai particolarmente esagerato nelle muscolature, i volti sono bambineschi e poco espressivi. Una semplicità che, tuttavia, rende perfettamente chiari e comprensibili i combattimenti, privi di guizzi particolari o di inquadrature complesse.
Quanto allo stile narrativo, non mancano diverse ingenuità figlie del loro tempo e del fatto che si cerca sempre di esagerare in pathos e drammaticità. Il risultato è duplice: si creano scene di gran pathos, ricche di emozioni, ma si cade anche, a volte, nel trash e nel ridicolo involontario (si veda quando Ruriko paragona l'Uomo Tigre, che lotta a rischio della vita per il bene dei bambini, a Gesù Cristo, crocifisso per espiare i peccati degli uomini, e parte una ventina di pagine di racconto a fumetti del Nuovo Testamento).
La nuova edizione italiana a cura di Panini Comics ha il pregio di essere più economica rispetto a quella precedente targata Salda Press e di mantenere senso di lettura e numero di volumi originali.
Spiace invece constatare come lo spessore tenda a variare di volume in volume, mentre lascia dubbiosi la grafica di copertina dai colori un po' kitsch, che presenta immagini tagliate e "raddoppiate" rispetto a quelle originali giapponesi.
All'interno si rileva la presenza di pecette, onomatopee non adattate e un font dei testi dall'aspetto un po' retrò ed eccessivamente "cartoonesco" in alcuni punti.
I dialoghi spesso sono legnosi, con qualche errore (ad esempio, l'uso recidivo dell'errato termine "wrestling professionale" invece che "professionistico") e diverse scelte di termini discutibili che appesantiscono la lettura: si veda il terribile "Orfanolandia", nome del luna park che Naoto sogna di costruire coi soldi degli incontri, o l'uso del termine "malvagio" per rendere "Heel" (terminologia del wrestling che indica un lottatore cattivo e scorretto), che genera espressioni poco felici come "lotterò per il mio onore di malvagio", "diventerò il più malvagio di tutti", "il campionato mondiale dei malvagi".
Si è lavorato con un certo pressappochismo nel rendere i termini del wrestling, i nomi delle mosse e i soprannomi dei tanti lottatori reali che costellano la storia: ora lasciando i termini in inglese e ora traducendoli in italiano molto liberamente, con qualche tecnica scambiata per un'altra di quando in quando.
Dispiace, infine, la mancanza pressoché totale (salvo un paio di asterischi con note volanti negli ultimi numeri) di note e articoli di approfondimento che potessero inquadrare il contesto e presentare al lettore i molti wrestler reali che compaiono nella vicenda.
L'Uomo Tigre è un manga inequivocabilmente "vintage". Quello che, al tempo della pubblicazione, era un fumetto per ragazzi anche un po' commerciale che voleva farli divertire mettendo in scena incontri fra lottatori che al tempo erano conosciuti e sulla cresta dell'onda, oggi rimane più il documento storico di un'epoca che una storia ancora apprezzabile da tutti.
E' un fumetto per i bambini di un tempo che oggi sono cresciuti e, soprattutto, per gli appassionati di wrestling, che saranno felicissimi di ritrovare in questo manga diversi volti molto noti a chi segue questo sport in maniera seria e competente o magari molti idoli della loro infanzia.
Non gli mancano le ingenuità e i difetti e, perciò, difficilmente potrà ancora piacere a tutti come faceva un tempo, ma L'Uomo Tigre riesce a mantenere ancora oggi un grandissimo fascino ed è riuscito a toccarci un po' nel profondo, nonostante i decenni che ci separano dai suoi anni Sessanta degli orfanotrofi poverissimi e dei grandi eroi tragici dei fumetti, di Umanosuke Ueda e di Abdullah The Butcher.
I motivi sono tanti, differenti e anche un po' inspiegabili.
Forse per l'epoca dura e lontana in cui è ambientato; forse per il suo protagonista solitario e incrollabile, tormentato e dal carisma straordinario, che ci insegna, rischiando la sua stessa vita su un ring insanguinato, a non mollare mai di fronte alle avversità.
Forse perché il fumetto e il wrestling da sempre regalano sogni e l'unione delle due cose genera un sogno ancora più grande.
O, chissà, forse perché, leggendo, ci sembra di essere lì a bordo ring anche noi, piccoli Kenta col cuore che batte e gli occhi che brillano alla vista di quell'eroica maschera di tigre che rappresenta il simbolo di ciò che vorremmo essere nella vita.
Un rapporto che si è manifestato nei fatti storici, ma anche in svariati campi della vita sociale, come, ad esempio, lo sport.
Famoso ed emblematico l'esempio del baseball: sport americano introdotto in Giappone alla fine dell'Ottocento, ha goduto negli anni di una popolarità enorme nel Sol Levante, tanto da diventarne il secondo sport nazionale e da riempirne gli stadi di tifosi che con intensa passione seguono perfino un campionato studentesco.
Meno noto, probabilmente perché meno esplorato nell'universo dei fumetti e dei cartoni animati, è il caso del pro-wrestling.
Sin dalla fine dell'Ottocento, questo genere di lotta molto popolare negli Stati Uniti ha catturato l'attenzione dei lottatori nipponici, fossero essi dediti al sumo o al judo, che hanno intrapreso all'estero i loro allenamenti in questa disciplina.
I primi, svariati, tentativi di portare il pro-wrestling in Giappone si sono rivelati, tuttavia, infruttuosi. Troppo chiuso nelle sue tradizioni, il Giappone, per aprirsi ad uno stile di lotta proveniente dall'Occidente.
Eppure, anche in questo caso, l'ambivalenza che da sempre caratterizza il Giappone, desideroso di essere alla pari dell'Occidente e di rivaleggiare con lui nei suoi stessi campi senza dimenticare la propria identità culturale, ha fatto sì che, in seguito all'occupazione americana, fra gli anni '50 e '60, il pro-wrestling trovasse finalmente la sua personale strada anche nel Sol Levante.
Padre spirituale del pro-wrestling nipponico è Mitsuhiro "Rikidozan" Momota (1924 - 1963), un ex lottatore di sumo coreano naturalizzato giapponese che si diede al pro-wrestling a partire dai primi anni '50. Fu lui, con i suoi incontri in cui combatté e vinse avversari di tutto il mondo e la costituzione, nel 1953, della Japan Pro Wrestling Alliance, la prima federazione nipponica, a dare al pro-wrestling giapponese la spinta di cui aveva bisogno. Un vero e proprio eroe nazionale, che diede un nuovo risvolto al rapporto fra Giappone e Stati Uniti con la sua vittoria sul mitico lottatore statunitense Lou Thesz, legato a lui da una profonda rivalità e stima reciproca.
Alla sua morte, nel 1963, Rikidozan lasciò un pro-wrestling ormai riconosciuto e amato anche in Giappone, pronto a crescere e a migliorare ancor di più grazie anche all'opera di tre promettenti allievi destinati a diventare leggenda: Kintaro Ohki, Kanji "Antonio" Inoki, Shohei "Giant" Baba.
L'Uomo Tigre (Tiger Mask), firmato da Ikki Kajiwara (uno degli pseudonimi di Asao "Rocky Joe" Takamori) e Naoki Tsuji, fa la sua comparsa sulle riviste a fumetti nel 1968, cinque anni dopo la morte del maestro Rikidozan, la cui eredità pesa ancora sul mondo del pro-wrestling nipponico.
E' un wrestling diverso, crudo, spartano, ancora lontano dallo spettacolo pacchiano, colorato ed appariscente della "Gimmick Era" del wrestling a stelle e strisce di qualche anno più tardi, che sarà, invece, alla base del più scanzonato Kinnikuman, manga realizzato dal duo Yudetamago a partire dal 1979.
Un wrestling che, ancora, non riesce a trovar bene la sua identità e che, come spesso accade nei manga di genere sportivo, rappresenta il sogno e la speranza di riprendersi dalle difficili condizioni economiche degli anni Sessanta e di dar gloria al proprio paese che ancora sente su di sé il peso della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Ma il wrestling, abbiam detto, è una disciplina americana, e quindi il rapporto dei giapponesi con esso è ambiguo e ambivalente: da un lato c'è la voglia di primeggiare sugli stranieri; dall'altro, sono quegli stessi stranieri ad averli instradati a quello sport...
E' in questo scenario che si consuma l'epopea di Naoto Date alias Uomo Tigre (Tiger Mask), orfano cresciuto sin da bambino allo scopo di diventare un wrestler esperto e crudele, che decide di tagliare definitivamente i ponti con l'organizzazione criminale che lo allevò e combattere per dar voce ai sogni di tutti i piccoli orfani che, come lui da bambino, desideravano una vita migliore.
Perfettamente inquadrato nel suo tempo, Naoto è un eroe tragico e solitario, che sceglie di ribellarsi al suo destino, anche se questo lo condurrà ad una vita irta di ostacoli e sofferenze. Nessuno conosce il volto dietro a quella minacciosa maschera di tigre, nessuno conosce i tormenti che affliggono Naoto e che egli tiene per sé, trasformandoli nella forza che gli permette di andare avanti.
La maschera di tigre è il volto di una leggenda, nata sulla carta e passata all'animazione, facendo il giro dei canali televisivi e delle librerie di tutto il mondo, per poi arrivare perfino al pro-wrestling vero e proprio, grazie a numerosi lottatori, giapponesi e non, che l'hanno indossata portando sul ring il personaggio di Tiger Mask in diverse incarnazioni.
Più che un personaggio, l'Uomo Tigre è un eroe, un simbolo, un'icona, proprio come i wrestler reali, noti dappertutto per il personaggio che interpretano sul ring e/o col nome fittizio a lui associato (in quanti, fra voi che leggete queste righe, sapete il nome di battesimo di Hulk Hogan, Superstar Billy Graham, Big Show o Triple H?).
Leggere L'Uomo Tigre è come guardare un incontro di wrestling: salvo il protagonista Naoto e rarissimi altri casi, gli autori presentano i molti lottatori che calcheranno il loro ring di carta unicamente col volto dei personaggi che interpretano, quasi sempre quello del wrestler scorretto, del cattivone senza scrupoli assetato di sangue, del demone talmente violento da sembrar uscito dall'Inferno. Anche questi lottatori hanno un nome proprio, una storia, una famiglia e sono atleti preparati e competenti che hanno sogni non meno forti di quello di Naoto, ma questo aspetto non verrà mai esplorato. Escludendo il tragico e complesso protagonista, sicuramente annoverato fra i migliori eroi della narrativa giapponese per ragazzi, i personaggi saranno caratterizzati in maniera semplice e stereotipata, senza risparmiarsi qualche punta di nazionalismo perfettamente figlia del suo tempo.
I wrestlers giapponesi, infatti, sono sempre dipinti come degli atleti disciplinati e corretti, che seguono i principi del loro maestro Rikidozan e lottano con abnegazione e lealtà, mentre i lottatori stranieri sono sempre dei buzzurri violentissimi, dei selvaggi, dei demoni sanguinari, degli avanzi di galera. Se sui wrestler di fantasia questo difetto si sente meno, si fa decisamente più disturbante quando entrano in gioco lottatori realmente esistiti, qui dipinti in maniera esagerata e fuorviante. Dubito, infatti, che Dory Funk Sr. picchiasse i figlioli perché giocavano ai cowboy e non alla lotta o che Freddie Blassie fosse un vampiro assetato di sangue uscito direttamente da un romanzo dell'orrore.
Poche le eccezioni, guarda caso principalmente coincidenti con wrestler stranieri che hanno più avuto a che fare col Giappone e i suoi lottatori, come Bruno Sammartino o Lou Thesz, elogiati come mitici esempi di forza e correttezza.
Va bene così, però. In fondo, L'Uomo Tigre è un fumetto per i bambini di diversi decenni fa ed è un fumetto che dal wrestling prende non solo l'ambientazione, ma anche i meccanismi. Poco importa dei volti dietro alle maschere, dei nomi e cognomi dietro ai personaggi. Quel che conta è l'emozione provata durante gli spettacolari incontri di questi lottatori, che vanno visti con gli occhi sognanti di un bambino più che con quelli cinici e disillusi di un adulto.
Eroi, simboli, icone, si diceva.
Certo, L'Uomo Tigre è un manga che ha diversi anni sulle spalle e che, dunque, porta con sé uno stile ormai obsoleto nel disegno e nella narrazione. Un protagonista odierno non lotterebbe mai da solo fra mille sofferenze, come fa Naoto, ma le condividerebbe con i suoi amici e compagni, ricevendo il loro aiuto nella lotta, come accade a Kinnikuman, l'altro grande wrestler dell'universo manga, e come accade allo stesso Naoto in una delle parti finali dell'opera, inaspettatamente moderna per il suo tempo di pubblicazione e molto diversa dallo stile con cui è narrato il resto del fumetto.
Lo stile di disegno di Naoki Tsuji è molto semplice, altalenante, sgraziato: i suoi wrestler hanno tutti un fisico tozzo e mai particolarmente esagerato nelle muscolature, i volti sono bambineschi e poco espressivi. Una semplicità che, tuttavia, rende perfettamente chiari e comprensibili i combattimenti, privi di guizzi particolari o di inquadrature complesse.
Quanto allo stile narrativo, non mancano diverse ingenuità figlie del loro tempo e del fatto che si cerca sempre di esagerare in pathos e drammaticità. Il risultato è duplice: si creano scene di gran pathos, ricche di emozioni, ma si cade anche, a volte, nel trash e nel ridicolo involontario (si veda quando Ruriko paragona l'Uomo Tigre, che lotta a rischio della vita per il bene dei bambini, a Gesù Cristo, crocifisso per espiare i peccati degli uomini, e parte una ventina di pagine di racconto a fumetti del Nuovo Testamento).
La nuova edizione italiana a cura di Panini Comics ha il pregio di essere più economica rispetto a quella precedente targata Salda Press e di mantenere senso di lettura e numero di volumi originali.
Spiace invece constatare come lo spessore tenda a variare di volume in volume, mentre lascia dubbiosi la grafica di copertina dai colori un po' kitsch, che presenta immagini tagliate e "raddoppiate" rispetto a quelle originali giapponesi.
All'interno si rileva la presenza di pecette, onomatopee non adattate e un font dei testi dall'aspetto un po' retrò ed eccessivamente "cartoonesco" in alcuni punti.
I dialoghi spesso sono legnosi, con qualche errore (ad esempio, l'uso recidivo dell'errato termine "wrestling professionale" invece che "professionistico") e diverse scelte di termini discutibili che appesantiscono la lettura: si veda il terribile "Orfanolandia", nome del luna park che Naoto sogna di costruire coi soldi degli incontri, o l'uso del termine "malvagio" per rendere "Heel" (terminologia del wrestling che indica un lottatore cattivo e scorretto), che genera espressioni poco felici come "lotterò per il mio onore di malvagio", "diventerò il più malvagio di tutti", "il campionato mondiale dei malvagi".
Si è lavorato con un certo pressappochismo nel rendere i termini del wrestling, i nomi delle mosse e i soprannomi dei tanti lottatori reali che costellano la storia: ora lasciando i termini in inglese e ora traducendoli in italiano molto liberamente, con qualche tecnica scambiata per un'altra di quando in quando.
Dispiace, infine, la mancanza pressoché totale (salvo un paio di asterischi con note volanti negli ultimi numeri) di note e articoli di approfondimento che potessero inquadrare il contesto e presentare al lettore i molti wrestler reali che compaiono nella vicenda.
L'Uomo Tigre è un manga inequivocabilmente "vintage". Quello che, al tempo della pubblicazione, era un fumetto per ragazzi anche un po' commerciale che voleva farli divertire mettendo in scena incontri fra lottatori che al tempo erano conosciuti e sulla cresta dell'onda, oggi rimane più il documento storico di un'epoca che una storia ancora apprezzabile da tutti.
E' un fumetto per i bambini di un tempo che oggi sono cresciuti e, soprattutto, per gli appassionati di wrestling, che saranno felicissimi di ritrovare in questo manga diversi volti molto noti a chi segue questo sport in maniera seria e competente o magari molti idoli della loro infanzia.
Non gli mancano le ingenuità e i difetti e, perciò, difficilmente potrà ancora piacere a tutti come faceva un tempo, ma L'Uomo Tigre riesce a mantenere ancora oggi un grandissimo fascino ed è riuscito a toccarci un po' nel profondo, nonostante i decenni che ci separano dai suoi anni Sessanta degli orfanotrofi poverissimi e dei grandi eroi tragici dei fumetti, di Umanosuke Ueda e di Abdullah The Butcher.
I motivi sono tanti, differenti e anche un po' inspiegabili.
Forse per l'epoca dura e lontana in cui è ambientato; forse per il suo protagonista solitario e incrollabile, tormentato e dal carisma straordinario, che ci insegna, rischiando la sua stessa vita su un ring insanguinato, a non mollare mai di fronte alle avversità.
Forse perché il fumetto e il wrestling da sempre regalano sogni e l'unione delle due cose genera un sogno ancora più grande.
O, chissà, forse perché, leggendo, ci sembra di essere lì a bordo ring anche noi, piccoli Kenta col cuore che batte e gli occhi che brillano alla vista di quell'eroica maschera di tigre che rappresenta il simbolo di ciò che vorremmo essere nella vita.
"Non preoccuparti, l'Uomo Tigre sa bene ciò che fa"
L'Uomo Tigre è sicuramente una storia di cui tutti dovrebbero aver sentito parlare almeno una volta nella vita. L'anime è girato sui teleschermi per generazioni e ha incantato i ragazzini per decenni. Sicuramente l'anime era più apprezzabile della versione cartacea, che comunque non è da cestinare del tutto.
La trama dell'Uomo Tigre è piuttosto originale e se consideriamo l'epoca in cui fu scritta probabilmente anche abbastanza rivoluzionaria. Leggendolo questa differenza generazionale si sente parecchio, a partire forse da uno dei luoghi principali dove si svolge la trama, ossia un orfanotrofio. Al giorno d'oggi i manga si svolgono in una scuola, in un club sportivo ecc, ovvero in luoghi simbolo comunque di un benessere sociale che nell'Uomo Tigre non ci sono. Questo non soltanto per volere dell'autore ma anche perché la situazione giapponese di allora era appunto quella. Lo stesso lo possiamo vedere in altri manga "d'epoca". Questo passaggio di scenografie si sente a mio avviso.
La storia comunque si evolve nel migliore dei modi, il manga non si dilunga all'infinito e l'autore è bravo a mantenerlo sempre su buoni livelli creando delle situazioni particolari che a me non sono dispiaciute.
I personaggi, con l'esclusione forse del protagonista, non sono buoni. A partire dall'antagonista poco incisivo agli avversari, ai bambini dell'orfanotrofio e ai personaggi femminili. Tutti questi non mi hanno convinto. Il protagonista è un tantino più curato, ha una personalità riconoscibile e un carattere ben formato. Ovviamente i disegni a livello di espressività non aiutano e per questo forse anche per gli altri personaggi il giudizio è ingiusto.
Le immagini risentono del tempo in maniera quasi smisurata nei combattimenti, meno nella vita quotidiana. Il fatto che il combattente protagonista porti una maschera poi gli dà il colpo di grazia. Nelle fasi appunto di azione ne vengono fuori in sostanza immagine statiche, prive di movimento e non si può non tenerne conto.
Passando all'edizione è piuttosto onerosa per quello che offre. 10,00 euro a volume sono veramente tanti, anche perché non è che abbia numerosissime pagine, tranne forse un paio di volumi. Apprezzo sicuramente le note a fondo volume e la copertina rigida anziché la sovracoperta, ma per un totale di 150,00 euro, che è il costo complessivo dell'opera, si può avere di meglio sia come edizione sia come contenuti.
Tirando le somme a questo manga avrei dato comunque la sufficienza per quello che è stato, considerando l'età, nel panorama fumettistico e di animazione. Do un 7 per incentivare i giovani d'oggi a ripescare i manga originali, le matrici di quelli che sono i manga odierni.
L'Uomo Tigre è sicuramente una storia di cui tutti dovrebbero aver sentito parlare almeno una volta nella vita. L'anime è girato sui teleschermi per generazioni e ha incantato i ragazzini per decenni. Sicuramente l'anime era più apprezzabile della versione cartacea, che comunque non è da cestinare del tutto.
La trama dell'Uomo Tigre è piuttosto originale e se consideriamo l'epoca in cui fu scritta probabilmente anche abbastanza rivoluzionaria. Leggendolo questa differenza generazionale si sente parecchio, a partire forse da uno dei luoghi principali dove si svolge la trama, ossia un orfanotrofio. Al giorno d'oggi i manga si svolgono in una scuola, in un club sportivo ecc, ovvero in luoghi simbolo comunque di un benessere sociale che nell'Uomo Tigre non ci sono. Questo non soltanto per volere dell'autore ma anche perché la situazione giapponese di allora era appunto quella. Lo stesso lo possiamo vedere in altri manga "d'epoca". Questo passaggio di scenografie si sente a mio avviso.
La storia comunque si evolve nel migliore dei modi, il manga non si dilunga all'infinito e l'autore è bravo a mantenerlo sempre su buoni livelli creando delle situazioni particolari che a me non sono dispiaciute.
I personaggi, con l'esclusione forse del protagonista, non sono buoni. A partire dall'antagonista poco incisivo agli avversari, ai bambini dell'orfanotrofio e ai personaggi femminili. Tutti questi non mi hanno convinto. Il protagonista è un tantino più curato, ha una personalità riconoscibile e un carattere ben formato. Ovviamente i disegni a livello di espressività non aiutano e per questo forse anche per gli altri personaggi il giudizio è ingiusto.
Le immagini risentono del tempo in maniera quasi smisurata nei combattimenti, meno nella vita quotidiana. Il fatto che il combattente protagonista porti una maschera poi gli dà il colpo di grazia. Nelle fasi appunto di azione ne vengono fuori in sostanza immagine statiche, prive di movimento e non si può non tenerne conto.
Passando all'edizione è piuttosto onerosa per quello che offre. 10,00 euro a volume sono veramente tanti, anche perché non è che abbia numerosissime pagine, tranne forse un paio di volumi. Apprezzo sicuramente le note a fondo volume e la copertina rigida anziché la sovracoperta, ma per un totale di 150,00 euro, che è il costo complessivo dell'opera, si può avere di meglio sia come edizione sia come contenuti.
Tirando le somme a questo manga avrei dato comunque la sufficienza per quello che è stato, considerando l'età, nel panorama fumettistico e di animazione. Do un 7 per incentivare i giovani d'oggi a ripescare i manga originali, le matrici di quelli che sono i manga odierni.
"Voglio diventare forte come una tigre!" Questa l'esclamazione del giovane Naoto Date, in visita allo zoo, alla vista del gigantesco felino. Vedeva forse il futuro se stesso il povero orfano? Voleva diventare come una tigre, che non si fa piegare da niente e nessuno e che conserva fierezza e dignità anche se legata ad una catena, anche se rinchiusa in una gabbia. Purtroppo per Naoto, egli riuscirà fin troppo bene nei suoi propositi. Diverrà una Tigre in gabbia, prigioniero dei doveri morali nei confronti di orfani che in lui e come lui nutrono speranze e sogni di riscatto, ma sopratutto dei doveri "amorali" nei confronti di Tana delle Tigri, che ha fatto di lui L'Uomo Tigre, il Demone giallo.
Sebbene l'uomo tigre sia un classico, la versione cartacea risente dell'assenza di personaggi storici che compaiono nell'anime, come Daigo Daimon, le tre tigri, Ken e, cosa più importante, di un finale totalmente diverso che finisce per snaturarne il messaggio.
Graficamente il disegno è di basso livello. I corpi sono tozzi e poco proporzionati, mentre il protagonista ha il volto di un bambino diversamente dall'anime, forse per permettere una maggiore immedesimazione nel personaggio da parte di un pubblico di giovane età.
L'edizione italiana è assolutamente apprezzabile, con una rubrica finale che approfondisce le storie dei personaggi reali che compaiono nel manga e si fregia delle splendide copertine di Giuseppe Camuncoli. Il tutto però risulta penalizzato dal prezzo 10 euro a volume e dalla pubblicazione Salda Press praticamente annuale.
In conclusione un manga mediocre, che però ha il pregio di aver tracciato il sentiero di quel capolavoro che L'uomo Tigre versione anime.
Sebbene l'uomo tigre sia un classico, la versione cartacea risente dell'assenza di personaggi storici che compaiono nell'anime, come Daigo Daimon, le tre tigri, Ken e, cosa più importante, di un finale totalmente diverso che finisce per snaturarne il messaggio.
Graficamente il disegno è di basso livello. I corpi sono tozzi e poco proporzionati, mentre il protagonista ha il volto di un bambino diversamente dall'anime, forse per permettere una maggiore immedesimazione nel personaggio da parte di un pubblico di giovane età.
L'edizione italiana è assolutamente apprezzabile, con una rubrica finale che approfondisce le storie dei personaggi reali che compaiono nel manga e si fregia delle splendide copertine di Giuseppe Camuncoli. Il tutto però risulta penalizzato dal prezzo 10 euro a volume e dalla pubblicazione Salda Press praticamente annuale.
In conclusione un manga mediocre, che però ha il pregio di aver tracciato il sentiero di quel capolavoro che L'uomo Tigre versione anime.