Negli ultimi decenni l'universo di Star Wars si è espanso a dismisura, soprattutto grazie a una Disney in grado di sfornare serie e film che raramente però sono riusciti a restituire la stessa magia della trilogia originale.
 
Un Cal stanco ma con tanta voglia di lottare

Un'altra epoca quella, certo, ma c'è un modo diverso per raccontare le vicende della “galassia lontana lontana”: i videogiochi in tal senso hanno dato nuovo lustro e un punto di vista diverso rispetto quello da “semplice” spettatore, mettendo quest'ultimo nei panni del protagonista. Abbiamo anche in questo campo diversi titoli, anche qui più o meno riusciti, ma gli Star Wars Jedi di Respawn Entertainment hanno qualcosa di diverso, forse proprio quella "magia" di cui si parlava precedentemente.

Star Wars Jedi: Fallen Order infatti, seppur con i suoi limiti, è riuscito a restituire mondi, personaggi e situazioni in grado di andare oltre il semplice fan service, portandoci nella vita di Cal Kestis, il giovane Jedi, rimasto uno dei pochi in vita nell'Ordine. Il percorso di crescita del protagonista, scandito anche da elementi interessanti come per la creazione della celeberrima spada laser, ha meritato un sequel, ampliato e migliorato in tutti gli aspetti rispetto il precedente lavoro. Sarà bastato per riconfermarsi?

Essendo la versione PC quella esaminata, togliamoci subito il dente: è un disastro. Tra tutti i titoli rilasciati finora contornati da problemi, Star Wars Jedi: Survivor ne esce con le ossa rotte, non solo per una questione di classici bug, glitch e crash che accompagnano queste situazioni ma per come l'ottimizzazione comprometta anche il gameplay. A bordo di una RTX 3060, il titolo EA fatica a mantenere stabili i 60FPS a una risoluzione di 1440p e ray-tracing disattivato. A un certo punto, alla ricerca della stabilità, si è voluto esagerare: Jedi Survivor non regge i 60 frame per secondo nemmeno a una risoluzione di 720p con dettagli al minimo. I problemi di stuttering non si contano e i cali repentini di frame rate, rovinano in larga parte l'esperienza, essendo anche il “parry” una delle chiavi per uscire vittoriosi dagli scontri. La mancanza del DLSS poi risulta abbastanza grave.
 
Scorci mozzafiato, almeno.

Essendo una recensione dedicata a questo singolo titolo, non entriamo in lidi tangenti, sulle ultime uscite PC, su come questi titoli arrivino essenzialmente poco rifiniti ma è una faccenda che sta sfuggendo di mano. È davvero un peccato non dare una valutazione finale sulla reale essenza del titolo per via di problemi che alla release finale non dovrebbero essere presenti. Il voto finale che vedrete dunque è il risultato di un'esperienza a tratti ridicola per un videogioco di questo livello di produzione.

Detto questo, andiamo avanti, letteralmente, visto che sono passati cinque anni dalle vicende di Fallen Order, dove troviamo un Cal Kestis più maturo e con un bagaglio esperienziale tangibile, avendo con sé tutte le abilità acquisite con il precedente capitolo. Questa non è una cosa da poco: quanti titoli simili vedono un protagonista ripartire da zero o quasi, come se quanto fatto nei capitoli precedenti non fosse servito a nulla. Questo in nome del senso di progressione, fondamentale per tenere alta l'attenzione del giocatore e spingerlo a giocare questi titoli. Le abilità dunque vengono ampliate a dismisura, non solo quelle riferite alla forza ma anche quelle legate alla spada laser che ora permettono cinque stili differenti di combattimento rispetto alle “tre” della precedente iterazione.

Questa espansione nelle abilità – e non – in realtà è stata anche relativamente semplice: Fallen Order infatti è figlio di tanti tagli, soprattutto al combat system. L'uso delle doppie spade era semplicemente abbozzato e le abilità presenti scalfivano solo le reali potenzialità di uno Jedi. Certo, lasciava un po' sorridere l'apprendere nuove skill semplicemente ricordandosene (cosa ancora presente in questo capitolo) ma funziona, vista la condizione, almeno iniziale, di Cal.
 
Avrebbero meritato più attenzione, ma si capisce il perché.

Quello che funziona a metà è una narrativa che prende a piene mani da quanto raccontato sull'Alta Repubblica e che, salvo qualche sporadico momento, nella prima parte di gioco sembra quasi un contorno. Difficilmente risulta “presente”, con poca tangibilità della minaccia. Questo essenzialmente per due motivi: il primo è puramente di sceneggiatura in cui manca una reale amalgama tra le vicende dell'Alta Repubblica e quello che accade attorno a Cal Kestis, quasi una non consequenzialità dei fatti principali con quanto avviene attorno a lui. Questo anche perché i villan protagonisti risultano purtroppo sacrificati e per quanto la dinamica tra i due sia interessante (Dagan Gera e Rayvis) li si vede troppo poco per creare un legame durante tutta l'avventura (almeno per quanto riguarda loro). Tuttavia, questa soluzione si presenta piuttosto funzionale per una parte finale davvero ben orchestrata ma che lascia un po' di amaro in bocca visto quanto vissuto nelle ore precedenti. Survivor accelera vistosamente a un certo punto, prendendo anche qualche rischio qua e là ma riuscendo dove l'ultima trilogia cinematografica ha fallito: emoziona e soprattutto, rimane coerente con sé stesso fin oltre i titoli di coda.
Il secondo motivo invece è di natura prettamente pratica: aver allargato a dismisura le mappe di gioco (soprattutto Koboh), inserito diverse missioni secondarie e collezionabili a mai finire, il risultato è un diluire fin troppo una trama inizialmente poco corposa, con troppe distrazioni anche a missione principale in corso.

Spesso capita una situazione di questo tipo: ci si concentra sull'obiettivo, vitale ai fini narrativi ma ecco all'improvviso si trova un percorso secondario che porta da tutt'altra parte e che nulla c'entra con quanto dovremmo effettivamente fare. Questo è un discorso che va al di là della semplice dissociazione ludo-narrativa e non si tratta di elementi di contorno slegati dalla componente principale ma si trovano proprio nel bel mezzo di una missione fondamentale. In questi casi forse servirebbe un po' più di linearità, per permettere al giocatore di rimanere concentrato su uno snodo narrativo importante invece di perdere il "flow" necessario per entrare in empatia con quanto raccontato. Purtroppo accade spesso e in un titolo in cui l'esplorazione è un punto cardine è difficile dire “ci ritorno più tardi” e andare dritti alla meta. La curiosità è tanta è questo è sicuramente una gran cosa, ma non durante le missioni principali. 
 
Poracci.

Cal Kestis non è più un ragazzino, portando sulle spalle il destino dell'Ordine Jedi, da solo e contro forze imperscrutabili. Oltre gli Inquisitori conosciuti in Fallen Order, come detto si interseca anche la questione Alta Repubblica, troppa carne a fuoco per un ragazzo che trova la propria via attraverso vecchi e nuovi amici, alla ricerca di qualcosa che vada oltre la responsabilità. Da questo punto di vista, Survivor, è un perfetto sequel, almeno per il protagonista, in cui vediamo un'evoluzione abbastanza coerente con quanto raccontato precedentemente, sempre braccato e tendente al facile burnout, che potremmo chiamare Lato Oscuro. È per questo che serve altro, semplici distrazioni, giochi, vita sentimentale, qualcosa che dia un senso alle battaglie per il destino della galassia. Su questo fronte possono trovare giustificazione le aggiunte del saloon di Greez su Koboh e le attività secondarie come l'Olotattica, la cura del giardino piantando nuovi semi o prendersi cura dell'acquario; attività in fin dei conti fine a sé stesse ma che trovano appunto un senso se inquadriamo l'evoluzione di Cal in questo sequel.

Il saloon diventa così un hub in tutto e per tutto, sostituendo la Mantis. Qui hanno luogo nuovi incontri e missioni secondarie, nuovi incarichi relativi ai collezionabili e soprattutto l'idea di trovarsi in un posto possibile solo nell'ei fu Guerre Stellari. In questo Fallen Order e ancor di più Survivor, riescono nel sapiente equilibrio tra fan service ed esigenze ludo-narrative, senza mai stuccare come avviene in molte produzioni Disney. Questo rende il tutto estremamente godibile sia dai fan sia da chi ha appena cominciato un percorso di recupero della saga e nonostante si parli di Alta Repubblica, si riesce a seguire tutto con attenzione, anche grazie all'ampio codex. È incredibile la quantità di dialoghi e approfondimenti presenti nel titolo, un world building come si deve, in grado di dare una forte personalità a una storia tra mille.

Ma com'è Survivor pad alla mano? Meglio di Fallen Order sì, ma con qualche perplessità di troppo, soprattutto data dalla natura del titolo. Il nuovo lavoro di Respawn Entertainment si configura come un action/adventure, contornato da elementi metroidvania e soulslike (più Sekiro che altro). Un elemento che continua a richiamare una certa perplessità deriva dal Punto di Meditazione, un falò soulsiano in senso pratico ma che mal si sposa, per i suoi effetti, con la mitologia. Oltre a sbloccare potenziamenti utilizzando i punti esperienza e attivare perk passivi chiamati Benefici, è possibile riposare, ricaricando così vitalità e Stim (quelle che potremmo definire Fiaschette Estus). Fin qui nulla di male, ma riposando tornano in vita tutti i nemici fatti fuori precedentemente, come per magia. Se da un punto di vista puramente pragmatico funziona, dal punto di vista del design è quasi un pugno in occhio visto il contesto, cosa che poteva essere mitigata in qualche modo attraverso l'uso di piccole cutscene o trovare una soluzione più elegante per giustificare resurrezione di soldati e animali selvatici. Questo discorso si sposa anche con la natura del titolo che invita il giocatore a falcidiare qualunque cosa sul proprio cammino (divertendosi) mentre si è nelle vesti di un Jedi. Le azioni commesse da Cal Kestis infatti sono più simili a un Sith che altro, trucidando ignari soldati e la fauna locale, con l'aggravante che la Forza, si ricarica solo e soltanto attraverso il combattimento e con esecuzioni di una brutalità inaudita.
 
Tanti boss, poche soluzioni.

Ne Il Potere della Forza, con protagonista Starkiller, questa situazione era stata studiata in modo più furbo, visto che si partiva come allievi di Darth Vader e dunque un Sith in piena regola. Il contesto diverso permetteva al giocatore di usare i diversi lati della forza e in qualche modo si poteva trovare una giustificazione alle migliaia di morti lasciati per strada. Del resto il maestro era il Signore Oscuro per eccellenza.
Qui no, siamo Jedi nel senso puro del termine e nonostante un percorso di crescita non particolarmente comodo, in grado di creare spigoli nella mente di Cal Kestis, non vi è alcuna giustificazione per lo sterminio spesso gratuito di truppe imperiali e non. Ma ci si diverte e forse è questo che conta alla fine, nonostante la maggiore violenza e l'introduzione delle mutilazioni. Un Jedi in piena regola. A un certo punto si giocherà un po' con la cosa, una lotta interiore tra il lato chiaro e il lato oscuro della forza ma in fin dei conti, la differenza tra i due sarà risibile. E questo è un problema.

Questo anche per l'introduzione dei diversi stili citati precedentemente, con l'ampliamento delle skill delle doppie spade laser, finalmente realmente utili a qualcosa, con l'aggiunta della spada pesante in stile Kylo Ren e del blaster in stile Solo. Qui si apre un altro argomento intricato, sulla dicotomia varietà/utilità. La varietà dei nemici è sicuramente aumentata anche se la loro IA risulta abbastanza problematica, con quest'ultimi che non hanno la ben che minima consapevolezza di chi gli sta attorno e che bene o male, si combattono quasi tutti allo stesso modo (anche il limite di aggro è spesso ridicolo). Sbloccare nuovi poteri e potenziare gli stili infatti (purtroppo selezionabili solo due alla volta) non porta alla varietà d'approccio desiderata dagli sviluppatori, intaccando così il senso di progressione. Dall'inizio alla fine infatti è possibile combattere alla stessa maniera, dimenticando pure di avere determinati poteri a disposizione proprio perché i nemici non spingono il giocatore ad averne bisogno. Ampliare il ventaglio di opportunità è sicuramente un bene, sia chiaro, ma serve anche un'infrastruttura adeguata per mettere in campo questa varietà. E questo lo si nota soprattutto nelle fasi di esplorazione perché paradossalmente, è proprio questo a regalare il senso di progressione all'interno di Survivor.

Sempre con l'espediente del ricordo, Cal sbloccherà nuovi poteri contornati a nuovi attrezzi per sé come il rampino o per BD-1, il droide più tenero mai creato. Sono questi potenziamenti a farci sentire che stiamo progredendo davvero, arrivando in zone prima inaccessibili. La mappa di Koboh in questo senso è un piccolo gioiello, strapiena di percorsi nascosti e nuove aree da esplorare, tutte interconesse, con lo sblocco di nuove scorciatoie in grado di dare lo stesso senso di appagamento riscontrato nei lavori From Software. In questo caso Respawn ha fatto bene i compiti, portando meno pianeti da esplorare ma più complessi nel level design (anche se rispetto Koboh gli altri pianeti sono molto più striminziti). Esplorare regala grosse soddisfazioni, trovando boss segreti, informazioni e persino nuovi personaggi con cui interagire e in grado magari di sbloccare nuove missioni secondarie. È in questi ambienti che tutte le abilità di Cal e BD-1 saranno fondamentali, con la deflezione stile Sekiro a farla da padrone nelle fasi di combattimento. Assistiamo anche a una migliore integrazione dei poteri della Forza in queste circostanze, con la spinta ad esempio che ci permetterà addirittura di parare un colpo una volta sbloccata questa abilità. Tuttavia, come detto, non se ne sentirà mai particolarmente bisogno. Il feedback dei colpi rende però giustizia a un combat system più "fisico" anche grazie a hit box ben integrate: colpire un droide o un biologico fa la differenza. Inoltre, molta di questa varietà è spesso inficiata da un vistoso tracking dei nemici, fastidioso quando si cercano delle aperture e colpire a colpo sicuro.
 
La capitale dell'Impero è un bel vedere.

Un potere che però risulta molto utile e che meriterebbe un ulteriore approfondimento, magari nel sequel, è il controllo mentale, ovvero la possibilità di manipolare i nemici avversari al fine di farli combattere al nostro fianco. Salvo alcuni momenti scriptati al di fuori del combattimento, questa feature risulta vitale quando si è circondati da nemici, soprattutto da quelli di grosse dimensioni o più tenaci. Quello che però fa ogni tanto storcere il naso è l'arbitrarietà: alle volte funziona, alle volte no, nonostante il potere evoluto al massimo. Questa in realtà è una questione un po' delicata, del resto abbiamo una spada laser in grado di tagliare qualunque cosa, ma solo se è necessario a quanto pare. Ricordiamo senza infierire Metal Gear Rising uscito in epoca PlayStation 3. Ci siamo capiti.

Terminiamo con la personalizzazione che qui assume contorni prettamente EA, con diversi componenti per BD-1, spada laser e blaster ma anche nuovo vestiario e persino acconciature diverse tra capelli, barba e baffi. Non è chiaro come mai si è puntato anche a personalizzare il protagonista in tal modo, essendo un personaggio fatto e finito ma rimane una piccola occasione mancata l'aggiunta di un minimo di parametria, di valori come danno, difesa o poteri speciali applicati ai vari componenti. Ovviamente Survivor diventerebbe un'altra cosa, ma è un peccato notare una personalizzazione così marcata ma con valore solo estetico. Da applausi invece il doppiaggio italiano, non semplice visti gli eventi narrati e la colonna sonora, capace di rielaborare al meglio quanto fatto da John Williams e temi originali che non fanno rimpiangere quelli della trilogia originale. Anche il sound design migliora vistosamente, con dettagli davvero unici, dipendenti dal materiale della superficie con la quale interagiamo.
 
Star Wars Jedi: Survivor è indubbiamente un buon sequel, ampliato a dismisura ma nel complesso, non necessariamente migliore del suo predecessore. Una narrativa godibile solo nell'ultima parte non basta e per quanto a livello di gameplay si siano fatti passi avanti manca un'infrastruttura solida soprattutto nel combat system. Il sequel potrebbe essere un capitolo di svolta, sperando di non trovare tutti questi problemi di ottimizzazione ancora una volta. È questo il vero peccato del titolo e purtroppo non può che influenzare la valutazione finale.